Polistrumentista, carriera sfavillante come metà maschile degli Eurythmics, produttore e collaboratore di artisti come Bon Jovi, Bob Dylan, Tom Petty, vulcanico produttore di se stesso: è da praticamente oltre 30 anni che David Stewart non sta fermo un attimo. Ecco quindi arrivare il suo ultimo lavoro solista, scritto, composto, suonato e prodotto da lui stesso, "The Ringmaster General".
Da un artista di così lunga carriera e di così prolifica attività non ci si aspetta che un prodotto pressoché perfetto, ed apparentemente tant'è. La produzione cristallina valorizza ogni strumento, ogni sapiente orpello studiato per impreziosire gli arrangiamenti ricchi, di tanto in tanto pomposi, atti ad enfatizzare quegli attimi d'apparente emozione. Ottima altresì la prestazione vocale del Nostro, ineccepibile tecnicamente. Ecco, "tecnicamente" è tutto perfetto, nulla fuori posto. "Tecnicamente", questo disco è uno dei migliori proposti nel 2012. Ma dal punto di vista delle emozioni trasmesse? Sì, "The Ringmaster General" si lascia ascoltare senza intoppi particolari. Sì, globalmente tutti i brani sono ben congegnati. Ma no, nessuno di loro lascia il segno.
Come detto poco sopra, gli arrangiamenti sono molto buoni, ma un po' troppo spesso si sfocia nel ruffiano o, peggio, nel mero manierismo, nel semplice esercizio di stile. Sembra quasi che Stewart sia più interessato a mostrare la sua bravura, peraltro innegabile, perdendo però di vista l'impatto emotivo che dovrebbe incontrare l'ascoltatore. È un po' come scartare un un bellissimo uovo di Pasqua, ma nel momento in cui lo si assaggia si rimane delusi dal sapore non cattivo, ma neppure eccezionale come ci si aspettava.
Tutto sommato, un buco nell'acqua, seppur bello. Esteticamente si difende bene, ma è nel contenuto, nell'emozione che "The Ringmaster General" manca completamente il bersaglio. Peccato.