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NOTIZIA STRAORDINARIA: ELVIS NON È MORTO. RIPETIAMO, ELVIS NON È MORTO. IL SIGNOR PRESLEY ERA IN REALTÀ UN ALIENO SOTTO MENTITE SPOGLIE E HA FATTO RITORNO A CASA.

Quanto sarebbe sconvolgente sapere che l’Agente K di Men In Black aveva ragione sul Re? Parecchio. E quanto sarebbe sconvolgente trovare i Sex Pistols come headliners di un festival nel 2024? Verrebbe da chiedersi che cosa sia fantascienza e cosa no. Eppure, quelli di AMA Music Festival non hanno ancora sviluppato una macchina del tempo. Perciò, la risposta all’ultima domanda è sì: sconvolgente, perché fottutamente reale. Paul Cook, Steve Jones e Glen Matlock sono tornati – i più attenti avranno notato un’assenza, ma ne parliamo più avanti – per salvare Bush Hall, storico locale londinese che ora rischia di chiudere i battenti.

AMA si conferma una delle rassegne più importanti e meglio organizzate a livello nazionale: immersi nel parco di Villa Ca’ Cornaro, ai piedi del monte Grappa, si può fare davvero di tutto. Beer pong, test di sigarette elettroniche, stand per farsi truccare, zona svacco, nebulizzatori per rinfrescarsi (oppure per lanciarsi in uno scivolo di fango), venditori di vario tipo, perfino una distro… Possiamo dire che, oltre a soliti aspetti come il divieto di introdurre cibo e l’obbligo di acquisto dei famigerati token a numero fisso, non vi sono lati negativi.

La quinta e ultima giornata di questa edizione si apre con i mama.in.inca, trio quasi local (vengono da Cittadella, PD) fortemente ispirato all’universo alternative/noise degli anni 90. Alle 18, il sole è ancora piuttosto alto e batte incessantemente sul pit, scoraggiando i primi arrivati dal posizionarsi di fronte al gruppo piuttosto che assistere da lontano, all’ombra. Ciononostante, i tre veneti non si danno per vinti e suonano per una buona mezz’ora, lasciando anche un bel ricordo a chi ha resistito in transenna.

Il prossimo è un nome ben più noto e alquanto divisivo: Bambole di pezza. Le musiciste, che in passato seguivano tutto il filone del punk roncio milanese (Punkreas, Porno Riviste), negli ultimi anni riscuotono un discreto successo sui social e si ripropongono come paladine del pop punk femminile e femminista italiano. L’emozione sui loro volti è ben visibile, suonano la loro scaletta in modo abbastanza genuino – forse fin troppo durante il confuso mashup di “These Boots Are Made For Walkin” e “Surfin’ Bird”. Tra chi le considera il giusto compresso tra provocazione e argomenti per quanto riguarda il pop punk in Italia e chi invece l’ennesima trovata commerciale, rimane il fatto che il quintetto meneghino regala un’ora di divertimento ai presenti.

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Editors

Il movimento in platea e in tutto il parco aumenta notevolmente, tra chi corre a prendere un boccone e chi si accinge a prendere posto per non perdersi gli Editors. Fa strano leggere questo nome nella lineup di oggi, ma si sa che i grossi festival funzionano così: devono tirare fuori nomi grossi e accontentare un po’ tutti. Quindi, una parentesi tra il pop punk in giarrettiera e il Punk Rock con le maiuscole potrebbe essere ottimo. Il tramonto è quasi al termine quando Tom Smith e soci – assente il neoarrivato Benjamin John Power – imbracciano gli strumenti e aprono il loro set con “Strawberry Lemonade”, tratta dal loro ultimo lavoro in studio.

Il post-punk è un genere di musica piuttosto introverso ed è uno stereotipo comune credere che gli inglesi siano persone fredde. L’anno scorso abbiamo visto il post-punk proposto dagli americani e oggi, tirando le somme, possiamo sottolineare come gli stereotipi spesso siano solo stupide approssimazioni. Pur considerando le doverose differenze tra Interpol ed Editors, è evidente come lo show dei secondi sia molto più caldo, elaborato e coinvolgente. L’allestimento del palco e l’impianto luci si cuciono alla perfezione sulla performance dei brummies. Smith si muove continuamente, che sia una danza sinuosa o una semplice corsa, ipnotizza il pubblico anche quando imbraccia la chitarra o si siede alla tastiera. I suoni sono tutti ben definiti, dalle melodie di basso di Russell Leetch ai contorni elettronici di Elliott Williams, passando per le altissime pelli di Ed Lay e la tagliente chitarra di Justin Lockey.

Gli Editors propongono uno show quasi esclusivamente musicale, Smith non si rivolge al pubblico se non per ringraziare e lanciare baci con le mani. È una formula vincente la loro, basta guardarsi intorno: tantissimi ballano in trance su brani come “Karma Climb” e “Bricks and Mortar”. Perfino i punkers più duri, sicuramente lontani da questo tipo di proposta, guardano attenti l’esibizione, senza lamentarsi. Conquistata per l’ennesima volta l’Italia, gli inglesi spariscono dietro le quinte.

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Sex Pistols & Frank Carter

L’attesa per gli headliners sembra eterna. Se durante gli Editors il pit si era discretamente riempito, ora tutti si stanno accalcando verso il palco, il tempo per l’ozio è finito. Chissà quanti sono i fortunati qui presenti che sono riusciti a vedere i Sex Pistols nelle poche occasioni possibili in Italia (1996 e 2008). Ecco, costoro devono ritenersi più che fortunati, siccome oggi non vedremo precisamente il gruppo londinese. Difatti, facendo attenzione alla lineup esposta, si può leggere “Frank Carter and Paul Cook, Steve Jones, Glen Matlock of the Sex Pistols”. Esatto, manca Johnny Rotten, ma non c’è da stupirsi molto, conoscendolo.

È innegabile che la prima sensazione sia stata quella di vedere una tribute band: l’unico Pistol ad essere rimasto per sempre giovane e spericolato è Sid Vicious, e ne ha pagato caro il prezzo. Gli altri invece hanno dovuto subire la pena del tempo e ora, tutti e tre quasi settantenni, si ritrovano a dover rendere credibili canzoni estremamente giovanili, energiche, emblematiche per una generazione (e non solo). Beh, la band ci riesce, eccome. Il corpo invecchia, ma se sei fortunato, l’attitudine ti rimane dentro.

Il palco è ancora più scarno rispetto al set degli Editors, ci sono solo gli strumenti. Loro non hanno bisogno di null’altro. Compaiono da dietro le quinte e, mentre la folla già li acclama, loro aprono le danze proprio come si faceva negli anni 70: Cook dà il 4 con le bacchette e “Holidays in the Sun” ha inizio. E dobbiamo dire che l’attitudine è rimasta davvero tutta – non possiamo pretendere di vedere dei ventenni scalmanati sul palco, ma l’energia c’è, l’impatto c’è. I Sex Pistols ci sono. E anche il pubblico c’è: finora aveva ballato, aveva applaudito, ma non si era ancora fatto sentire davvero. Sono pochissime le frasi che i fan non conoscono, essendo che ci è stato donato un solo e unico disco a loro nome. Di conseguenza, “Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols” viene suonato per intero – senza seguire la tracklist –, con l’aggiunta di “Did You No Wrong” e “Satellite”, permettendo alla band di raggiungere i 60 minuti di scaletta.

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Sex Pistols & Frank Carter

Una cosa è certa: sostituto migliore non poteva essere scelto. Carter ha l’attitudine perfetta per rendere un concerto l’inferno, la voce che può essere “fastidiosa” à la Rotten, ma anche molto di più e lui sa rimanere saggiamente in equilibrio tra la fedeltà all’originale e la propria interpretazione. Dopo pochi minuti, non soddisfatto del responso del pubblico, si cala giù dal palco e raggiunge il centro del pit, eseguendo “Bodies” e “Did You No Wrong” nel centro di un ciclone fatto di corridori impazziti, che alla fine lo solleveranno per riportarlo da dove era venuto.

Carter e i tre Pistols hanno trasformato Villa Ca’ Cornaro in un pub su grande scala, popolato rigorosamente da fan che bevono, pogano e se le danno pure: che concerto dei Sex Pistols sarebbe senza una rissa?

Setlist

EDITORS

Strawberry Lemonade
An End Has a Start
Sugar
Bones
Eat Raw Meat = Blood Drool
Karma Climb
A Ton of Love
The Weight of the World
Heart Attack
Picturesque
Killer
Munich
Smokers Outside the Hospital Doors
Ocean of Night
Bricks and Mortar
The Racing Rats
Papillon

SEX PISTOLS

Holidays in the Sun
Seventeen
New York
Pretty Vacant
Bodies
Did You No Wrong
Liar
God Save the Queen
Submission
Satellite
No Feelings
E.M.I.
Problems
Anarchy in the U.K.

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