Triste Colore Rosa (Francesco Bresciani, Giuseppe Falco)
Sono rimasto tanto piacevolmente colpito dall’opera prima completamente autoprodotta dei Triste Colore Rosa, che non ho potuto fare a meno di organizzare questa chiacchierata con i miei concittadini. Siate dunque i benvenuti in questo salotto: scoprirete che questa band ha davvero molto da dire. Buona lettura!
Articolo a cura di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 11/10/10

“Triste Colore Rosa” è sicuramente un nome affascinante. Mi spiegate la sua origine ed il suo significato?

(FRANCESCO) L’abbiamo scelto perché, principalmente, è un nome che rimane, sia in positivo che in negativo. Molti lo trovano bellissimo, ad altri non piace – specialmente per l’associazione “triste” e “rosa” – ma a tutti rimane in testa, e questo è importante.

(GIUSEPPE) Questa è diciamo la versione “fine” della spiegazione, in realtà il nome lo abbiamo “rubato” da una poesia di Ungaretti che si chiama “Di Luglio”.

Come band emergente, un’altra cosa che mi piacerebbe chiedervi, per capire anche meglio da dove arriva il vostro sound, è quale musica vi piace ascoltare, questo anche per arrivare a capire come arrivate a fare la vostra musica...

(FRANCESCO) Diciamo che la nostra fortuna è che componiamo insieme, quindi al di là che io possa portare un’idea melodica o vocale per un pezzo, il resto dell’arrangiamento lo costruisce il gruppo. Quindi, gli altri avranno una loro tipologia di ascolti, che è diametralmente opposta alla mia, quindi è come se fosse un doppio mixaggio di gusti musicali e predisposizioni di ognuno di noi. Io posso dirti che sono partito, da ragazzino, col nu-metal ed il grunge, mentre oggi ascolto tantissimo indie e cantautorato, e magari passo anche per jazz e classica che non sono proprio nei miei ascolti abituali, ma a cui ogni tanto mi piace dedicare attenzione per avere una visione più a 360 gradi possibile, e trovare per ogni genere una qualità da portare nella mia musica.

(GIUSEPPE) Anche io condivido questa visione globale di Francesco: io e lui abbiamo 5 anni di differenza, anagraficamente e musicalmente parlando, ma abbiamo in comune questo ascoltare tutta la musica e trarre il meglio da ogni cosa. Poi io, rispetto a lui, sono anche più curioso: amo tantissimo, per dire, ascoltare tutta la musica che passa per radio, specialmente quella internazionale di un certo livello di mainstream, per capire più che altro la produzione che sta dietro certi lavori.
Per farti un esempio: Lady Gaga a me non piace, però i suoi dischi sono superlativi, dal punto di vista della produzione e dei suoni, per cui io cerco anche di capire cose tipo “Perché la batteria qui pompa così tanto? Perché qui c’è questo suono?” e cerco di portare tutto questo dentro la nostra musica. Anche perché non c’è storia: dal punto di vista tecnico, sono sempre queste super realtà internazionali a vincere, noi italiani non possiamo far altro che inseguire e sempre in ritardo.

(FRANCESCO) Potremmo continuare a lungo, dicendoti che la nostra tastierista è diplomata in conservatorio, mentre il nostro batterista è più dedito a sonorità metal, e così via. Ognuno di noi, come vedi, ha la sua personalità e porta le sue esperienze. Speriamo che questo mix porti ad un risultato con una certa originalità, l’ideale sarebbe che chi ci ascolta non ci debba necessariamente associare a qualche nome.

Cominciamo ad eviscerare la vostra opera prima: “Scomparire In 11 Semplici Mosse”. Perché il fine ultimo è la sparizione? Da cosa si deve fuggire?

(FRANCESCO) Diciamo che la sparizione è proprio una cosa fisica e personale: tu sparisci e lasci spazio alla musica, a quello che essa ti provoca. Sai, lavorare a queste canzoni è stata un’impresa parecchio serrata e frenetica, ci ha in un qualche modo dissolto – oltre che esaurito (risate) – per cui noi eravamo in un qualche modo scomparsi come persone e vivevamo in funzione del prodotto che cercavamo di ottenere, ovvero le canzoni, ovvero queste 11 semplici mosse che ci hanno disciolti nel meccanismo ricettivo della creazione della musica. Vorremmo tanto che anche gli ascoltatori, proprio come noi, riescano in un qualche modo a dissolversi all’interno della nostra musica.

 

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Mara è cannibale e mangia cuori a colazione”, mentre “Chiara vuole trovare un amore, ma lo cerca dove si dorme”. Una via di mezzo tra la romanticheria e la superficialità oggi è per voi possibile?

(FRANCESCO) Mah, sai…alla fine, sono entrambe persone perse, entità che perseguono un obiettivo ma lo inseguono sulla strada sbagliata, non riescono a trovare il giusto modo. Sono due riflessi diametralmente opposti di questo modo di fallire nel perseguimento di un obiettivo comune.

In “mio padre è un albero” credo parliate dell’incomunicabilità tra genitori e figli. Sbaglio?

(FRANCESCO) Sì, perché in quella canzone parlo della malattia, di una situazione familiare limite dove l’infermità, sotto forma di un duro colpo del destino, arriva a colpire un padre trasformandolo fisicamente e psicologicamente. Si viene quindi ad interrompere il normale flusso della comunicazione che si instaura tra un padre e figlio, ed è di questo senso di disagio che parlo nella canzone.

Ecco! Avevo colto l’aspetto dell’incomunicabilità, ma credevo fosse collegato a qualcosa di più banale come il gap generazionale. Sentite: il divano è per voi un elemento molto importante. Come mai proprio il divano ed il salotto?

(GIUSEPPE) Diciamo che abbiamo dei testi, ed abbiamo una musica che li accompagna, e quindi abbiamo delle cose da dire attraverso uno strumento che è la voce di Francesco. Mancava un metodo, un linguaggio…e visto che consideriamo la nostra musica abbastanza raffinata, abbiamo quindi scelto il contesto del salotto, che non si riduce solo al divano, ma comprende anche il fatto che suoniamo sempre seduti ai nostri concerti, al fatto che ci sono sempre persone a dividere il palco insieme a noi…

(FRANCESCO) Non è molto che suoniamo con questa formazione, ed un po’ di tempo fa ci siamo trovati nella situazione di fare un live semi-ascustico dove siamo finiti tutti seduti a suonare. Immediatamente, abbiamo avvertito un forte senso di familiarità, era come se stessimo suonando nel nostro salotto, e da qui la decisione di farlo diventare il nostro “marchio di fabbrica”: cercare di creare con gli ascoltatori un forte senso di calore, di accoglienza e di familiarità, appunto.
Anche perché l’arredamento del salotto che ricreiamo sul palco è arrivato gradualmente: abbiamo iniziato con sedie di un certo tipo, poi alla nostra tastierista serviva una base di appoggio per lo strumento ed il PC, ed abbiamo preso quel mobiletto, ed infine è arrivato anche lui, quel divano che vedi nella copertina del nostro disco e che ci siamo portati appresso quando abbiamo fatto il live di presentazione del cd. Quindi, abbiamo ricreato questo salotto, e ci invitiamo della gente dentro, gente che sale sul palco e che crea anche un poco di smarrimento tra il pubblico.

Infatti, quando vi ho visto live, ho visto salire un’attrice a rappresentare i personaggi delle vostre canzoni sullo sfondo. Per voi questa visualità è così importante?


(GIUSEPPE) Sì, ma non solo. Per farla breve, così non tagli troppo (risate generali), diciamo che noi siamo per il concetto: “arte per arte”. Tu hai visto l’attrice, ma puntiamo ad avere presto altre persone che porteranno la loro arte attraverso la nostra. Tutto questo, come vedi, sposa il concetto di salotto che dicevamo prima.

Diciamo che, in effetti, sono stato già stato testimone di un’invasione barbarica di palco a quel concerto di qualche sera fa! (risate) Sentite, so è che siete molto attivi sul sociale. In particolare, sul tema della mafia al nord, che non è propriamente un aspetto su cui si schierano i musicisti. Come siete entrati in contatto con questa problematica?

(FRANCESCO) Tutto è iniziato dal fatto che siamo entrati in contatto con le persone che hanno a che fare concretamente con la lotta alla mafia, e non puoi non rimanere affascinato da gente che prova davvero a fare delle…rivoluzioni, non saprei come altro definirle. Siamo venuti a scoprire che la mafia non è solo un problema del sud, ma che è anche un “problema celato” qui al nord.

(GIUSEPPE) Diciamo che, attraverso queste persone, siamo riusciti a capire davvero concretamente il problema, perché loro ti possono fare esempi tangibili, anche con i nomi, e facendoti aprire gli occhi su realtà che ignoravi fossero colluse con la mafia. Noi siamo davvero affascinati dal coraggio di queste persone, dal fatto che riescono a fare quei nomi, e cerchiamo di dare una mano nel nostro piccolo, supportandoli con la nostra musica dedicando loro una canzone, la conclusiva “Maracas”, nonché lanciando messaggi a tema nei nostri live. Sia chiaro, tuttavia, che non siamo una band schierata: non ci interessa lanciare messaggi politici e religiosi o quant’altro; ognuno di noi ha le sue idee in merito, ma ce le teniamo per noi. Se no, altro che scomparire, ti facciamo essere ancora più presente, e con la nostra musica non evadi più! Se dovevamo essere così, tanto valeva che ci mettessimo a fare cover dei Rage Against The Machine! (risate)

tristecolorerosaa_2010_02Avete realizzato un digipack davvero originale e lo vendete a prezzo davvero concorrenziale. Ritenete sia questa la strada giusta per stimolare l’acquisto della musica, piuttosto che il download indiscriminato sulla rete?

(FRANCESCO) Guarda: nel pieno della libertà con cui è nato questo disco, essendo un’autoproduzione, anche dal punto di vista della presentazione dell’opera abbiamo potuto fare quello che volevamo. C’è anche da dire che, in questo momento, non è nel nostro interesse fare soldi vendendo dischi - cosa, peraltro, che credo non si possa permettere quasi più nessuno - quanto piuttosto l’idea di far girare la nostra musica e farla conoscere. Riteniamo che un digipack accattivante come questo, venduto a 7 Euro (7 Euro ragazzi: rendetevi conto! Io ai live vedo gente vendere simil-demo in copertine di cartone a 10 Euro. N.d.r.), possa invogliare sì all’acquisto, ma soprattutto all’ascolto.

In questi giorni è ricominciato il carrozzone di X-Factor…in effetti, la vostra proposta musicale si presterebbe bene ad essere fagocitata dal sistema televisivo per essere rigurgitata in qualcosa di meno significativo e sicuramente sminuito. Sareste mai disposti a pagare un tale prezzo per la notorietà?

(FRANCESCO) Il problema non si pone neanche, perché quella è una strada che non andiamo minimamente a cercare.

(GIUSEPPE) Noi non abbiamo bisogno del grande, effimero, successo televisivo, ma di qualcuno che ci ascolti. Preferiremmo un percorso simile a quello che hanno fatto i nostri amici Marta Sui Tubi con cui abbiamo condiviso il palco pochi giorni fa…prendi appunto d’esempio loro: il mainstream li considera indie, l’indie li considera mainstream, ed in pratica sono la giusta via di mezzo per fare qualcosa di underground, ma comunque conosciuto, col risultato che si possono ignorare gli introiti derivanti dalla vendita dei cd, con tutto ciò che questo meccanismo si trascina dietro, ma guadagnando esclusivamente dai live. Questa “situazione di mezzo” è il nostro sogno nel cassetto, l’obiettivo da perseguire.

(FRANCESCO) Come musicista, ovviamente, vorresti far conoscere la tua musica pressoché a chiunque, ma non puoi farlo senza scendere a compromessi, per cui noi preferiamo l’altra strada.
 
Bene, per me è tutto ragazzi. Vi lascio questo spazio per un messaggio ai nostri lettori!

(GIUSEPPE) Grazie per essere arrivati in fondo alla lettura di questa intervista! Se volete conoscerci, oltre che a far riferimento alle nostre risorse su internet, vi invitiamo a vederci live, perché lì abbiamo sicuramente molto da dirvi…

(FRANCESCO) …ed ascoltate i dischi sempre più di una volta!




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