The PotT (Emanuele, Simone, Fabio, Manuele)
Il senso comune della professione imporrebbe il taglio. Insomma: sei pagine sei di intervista possono essere troppe, specialmente se l’oggetto dell’articolo è una band all’esordio. Ma i The PotT (maiuscola! Questa la capirete poi in sede di intervista, non vi preoccupate) sono una band con così tante idee, espresse molto bene non solo qui ma anche sul loro inciso d’esordio “To Those In The Eyes Of God”, che era semplicemente criminale operare, da parte mia, una qualsiasi forma di sintesi o epurazione. Signori, il pensiero-fiume di una band vi attende qui di seguito, ed è mio piacere presentarvelo senza alcun filtro. Vi auguro una buona lettura.
Articolo a cura di Fabio Rigamonti - Pubblicata in data: 23/12/11

C’è un forte senso ascetico attorno alla vostra band: il titolo del disco, la cover, i testi, certe atmosfere dei brani…come mai questa attenzione verso il divino?

Emanuele: Volenti o nolenti, è qualcosa con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. Sia chiaro che il tema del divino all'interno di questo disco non è sviluppato solamente seguendo la scia religiosa, anzi: questa è solo una delle tante sfaccettature. Non vogliamo dire a chi ascolta il nostro album cosa ci dovrebbe sentire - facciamo sempre molta attenzione a non nominare esplicitamente quello di cui si parla nelle nostre canzoni per lasciare libera l'interpretazione - in ogni caso sono molte le "divinità" che adoriamo quotidianamente, il più delle volte inconsciamente… Però, sai: non ci teniamo a rivelare proprio tutto perché teniamo particolarmente a quanto ti dicevo prima riguardo alla libertà d'interpretazione. Per quanto riguarda il senso ascetico, siamo contenti che sia evidente per chi ci ascolta… Il nostro modo di comporre musica e di viverla anche per immagini ci porta a palesare i nostri suoni attraverso un'atmosfera sacrale.

Simone: Bisognerebbe soffermarsi un attimo sul significato del termine "divino"… Io considero divino tutto ciò che non riesco a spiegarmi e che mi affascina, nel bene e nel male, spesso e volentieri senza riuscire a creare una distinzione netta tra le due categorie. Invece, gli argomenti che trattiamo con le parole e descriviamo con le musiche nel nostro disco sono decisamente concreti, tangibili nell'ordinario, terrestri. Occorre evidenziare la differenza tra forma e contenuto, significante e significato: per poter comprendere il linguaggio con cui il nostro disco si esprime. La religione è forma laddove la società è contenuto, le terminologie ed i richiami religiosi sono espressioni per descrivere e ricoprire di sacralità tematiche e problemi legati alla quotidianità che ci avvolge coi suoi tentacoli soporiferi ogni giorno.


E cosa attende infine “coloro che sono negli occhi di Dio”?


Emanuele:
Non siamo nichilisti, affatto. Il nostro lavoro tenta di gettare luce su alcune delle tante zone scoperte e scomode che accuratamente evitiamo di osservare nella nostra vita quotidiana: questo solo per evidenziare il fatto che l'uomo può essere molto migliore di quanto stia dimostrando in questo preciso momento storico, purché si applichi in modo tale da colmare le sue lacune. Speriamo che si capisca che sosteniamo questi concetti senza pensare di essere su alcun piedistallo, anzi: alcune volte siamo noi stessi i primi ai quali ci rivolgiamo per scuoterci e osservare in maniera più lucida la situazione nella quale ci troviamo. Per concludere, "coloro che sono negli occhi di Dio" dovrebbero, con il loro risveglio, illuminare chi è ancora assopito in modo da chiarire se si è ancora in grado di fare grandi cose. Vogliamo pensarla così, ed entro queste fondamenta ci muoviamo.


Simone: Se Dio è il mostro mediatico che tutti e tutto avvolge coi suoi tentacoli, per chi si trova sotto il suo sguardo le strade sono solo due: la resa all'ignoranza o la conquista della consapevolezza. Non ci sono vie di mezzo: o si dorme o si è svegli. Il nostro disco è un grido che vuole destare i dormienti e rinvigorire chi già è sveglio.


Musicalmente, in voi mi è piaciuto molto l’incrocio tra il rock più progressivo e l’industrial più elettronico…quali sono le vostre influenze musicali? E soprattutto: come avete trovato il giusto senso della misura in fase di composizione per far sì che tutto scorresse adeguatamente?


Emanuele: Ti ringrazio. Alcune delle nostre influenze musicali sono quelle di cui hai parlato anche tu nella recensione, poi posso dire che apprezziamo lo stoner, partendo da quello "bastardo" di Sleep ed Om per arrivare a quello più "educato" dei Queens Of The Stone Age; poi, ovviamente, l'industrial che si riferisce sì ai Nine Inch Nails, ma anche a quelle muse che hanno ispirato Mr. Reznor come Coil, Throbbing Gristle, Foetus, Nurse With Wound…ovviamente, tutto filtrato attraverso la nostra necessità di convertire le influenze in maniera efficace all'interno del nostro sound. Poi, direi che ognuno di noi ha influenze sia affini che divergenti, ed è bello che sia così.Per quanto riguarda la scorrevolezza e l'amalgama fra rock ed elettronica, non so dirti se esiste una maniera tecnica per spiegare come ci siamo riusciti… Magari su questo argomento gli altri hanno un punto di vista più lucido del mio; semplicemente, è stato spontaneo. Non lo dico con presunzione, ma non abbiamo fatto molta fatica a trovare quella che per il momento è la nostra strada e la musica che proponiamo.


Simone:
Personalmente, posso citare Genesis, Tool, System Of A Down, Muse, Nine Inch Nails, Queens Of The Stone Age. Ti ringrazio per aver implicitamente asserito nella tua domanda che il giusto senso della misura lo abbiamo effettivamente trovato, mi auguro sia così. La verità è che è tutto frutto della spontaneità, come ha detto prima Emanuele: abbiamo semplicemente suonato ciò che ci piaceva.


Manuele:
Io, invece, sono molto legato a band quali Deftones, Nine Inch Nails, Sonic Youth, Queens Of The Stone Age, A Perfect Circle, ed inevitabilmente il mio approccio alla musica e allo strumento si riconduce a quel tipo di ascolti, di sonorità. In fase di produzione del disco abbiamo voluto mantenere l'anima elettronica che contraddistingueva il duo composto da Emanuele e Simone, ma anche dare la percezione che ci fosse una vera band che suonasse; da qui la soluzione di utilizzare l'elettronica come se fosse un altro membro della band, evitando i classici "loop" a ripetizione, o gli sdoppiamenti di fraseggi elettronici sui brani. Ci sono i synth? Bene, suoniamoli!


Parlando di cose che piacciono, ho visto riscontri generalmente positivi dalla stampa sul vostro disco. Anche a me è piaciuto molto, ed ho avuto modo di leggere la vostra reazione entusiasta sulla vostra pagina Facebook. Ma al di là della felicità, della soddisfazione e dell’entusiasmo: per una giovane band italiana come voi, tutto questo ha oggi ancora un senso?


Emanuele: Sì guarda, devo dire che per ora ci è andata decisamente bene. "To Those In The Eyes Of God" sta piacendo, ma non diciamolo troppo forte… Io sono molto sanguigno: generalmente curo io il nostro profilo su Facebook, e generalmente seguo l'onda dell'entusiasmo, per cui vedere il nostro disco riscuotere un certo apprezzamento lo vivo un po' come se potessi osservare mio figlio trovare la felicità nella sua vita. Diciamo che comunque fa bene all'ego e per la promozione di un disco è sicuramente meglio che sia apprezzato piuttosto che descritto come una ciofeca… Per cui direi che sì, un senso ce l'ha. Bisogna, secondo me, trovare la giusta distanza fra il parere di chi scrive e la consapevolezza di quello che si è compiuto nel proprio lavoro, essere conscio tu stesso dei suoi pregi e difetti. Ad ogni modo, direi che la carriera di una band è data anche dal riscontro della critica, oltre ad altri fattori ovviamente fondamentali.Simone : Non è così facile capire l'effettiva utilità di certi fenomeni. Avere tanti fans su Facebook, tante belle parole scritte qua e là… Certo, come tu stesso hai detto, è un piacere assistere al loro verificarsi, ma gli effetti concreti di questi episodi non sono così evidenti. Logicamente parlando, avere tante recensioni e fans ci aiuterà senza dubbio ad acquisire maggiore credibilità nei rapporti che avremo con label, locali, e via dicendo… Però, da un punto di vista puramente emotivo, il piacere che può darmi anche solo una persona che, dopo aver assistito ad un nostro concerto, viene a parlarci e ci fa capire che la nostra musica gli ha trasmesso qualcosa è di gran lunga superiore a quello datomi dal vedere che ci sono dieci fans in più sul solito Facebook… Niente, per ora, ha saputo competere con questo.


Fabio:
Ha senso, e sempre lo avrà, il riscontrare una sensazione positiva intorno a una band emergente. Nella sfera underground spesso si percepiscono parole snob per ogni soluzione nuova o nuovo lavoro di un gruppo… Non voglio credere all'invidia né dare a essa peso, ma sovente si pone l'accento sul proprio gusto musicale piuttosto che preferire un pensiero più analitico del progetto in ascolto. Leggere o udire parole entusiaste, quindi, in questo ambiente mi fa sorridere di cuore e capire di lavorare nella direzione giusta, essendo riusciti a superare lo scoglio difficile di chi è specializzato in un solo genere; parimenti mi riempie di gioia essere arrivati a scalfire qualche anima attraverso la musica che proponiamo.

Manuele:
Ovvio. Perché celarsi dietro un rigoroso ed autocelebrativo silenzio, limitandosi a pubblicare meccanicamente su un sito o su Facebook recensioni, date, articoli vari? Abbiamo dato la pelle, il cuore ed i soldi per questo disco, quindi ben vengano i nostri commenti e le nostre emozioni, e ben vengano i commenti e le emozioni di chi ci recensisce e, soprattutto, di chi ascolta il disco e si rispecchia in quello che suoniamo e cantiamo. Proprio per questo, tutto ha un senso, anzi ha un immenso valore: c'è ancora chi ascolta i dischi dei gruppi emergenti, e meno male!



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…però il disco dura un po’ poco, dai! I Sigur Ròs con tre canzoni delle loro ricoprono in durata tutto il vostro esordio. Come ribatti a questa mia provocazione? (risate)

Emanuele: Ribatto che fare musica non è come andare dal macellaio: se ho voglia di un filetto non necessariamente devo voler mangiare una fiorentina. Non so se mi spiego, secondo me ci sono veramente pochissimi gruppi che possono permettersi di fare canzoni da 10 minuti senza inevitabilmente farti venire voglia di morire à la Enya… Al momento noi siamo in grado di comporre musica che è efficace sulla "breve" distanza, e va assolutamente bene così: dentro un disco ci devono essere le cose che uno è capace di fare, odio i "vorrei ma non posso"… Qualsiasi cosa per essere bella deve prima di tutto essere genuina.

Simone: I libri che non potrò mai dimenticare non sono più lunghi di due centinaia di pagine, le poesie più belle esprimono concetti infinitamente profondi con un numero esiguo di parole. Il nostro disco dice ciò che deve dire nel tempo di cui ha bisogno per dirlo. Tutto qui.

Fabio: … e i Dream Theater con una canzone ne fanno tre dei Sigur Ròs! L'importanza la pongo sulla sensazione post-ascolto piuttosto che pensare quanto mostrare in durata del brano. E poi, vuoi mettere vivere quarant'anni alla grande rispetto a ottanta di fatica e tribolazioni?

Manuele: Facciamo musica, non statistiche! Se il pezzo gira, ti piace, ci piace… Va bene così! Dura tre minuti? Pazienza!


Tornando al discorso delle menti che creano la musica, mi piace molto come spiegate la genesi della band sul vostro Facebook. L’incontro tra le melodie nella testa di uno e le parole in quella dell’altro…ma basta davvero così poco per formare una band? Cosa caratterizza il vostro legame come membri dei The Pott?


Emanuele: Ovviamente, non basta solo questo. Stare in una band può essere sicuramente divertente, ma come tutte le cose porta i suoi oneri, se proprio devo chiamarli così. L'unità più piccola che compone una band è, ovviamente, la persona, ed è quella che va curata sempre, in modo che il gruppo possa esprimersi al meglio. Non è affatto facile a livello pratico, ma l'affetto e il rispetto che nutriamo l'uno nei confronti dell'altro - ognuno con i propri talenti e debolezze - cerchiamo di dimostrarcelo quotidianamente, e di rimanere il più compatti possibile per far sì che i nostri progetti vadano a buon fine.


Simone:
In Italia ci sono molte "band" che, sinceramente, non credo abbiano nemmeno una lontana idea di cosa significhi essere chiamate tali. Il divertimento, quando si suona seriamente in un gruppo, deve limitarsi ad una sorta di sottofondo distante e costante, ma non può diventare il motivo principale che spinge due o più persone a "formare una fottutissima rock band". Per formare una band basta poco. Per formare una band degna di questo nome ci vuole dedizione, costanza, pazienza (tantissima) e intesa. I The PotT hanno raggiunto la formazione attuale da poco, ma il rispetto reciproco e l'impegno ci hanno permesso di creare un progetto credibile e ben strutturato che continua a consolidarsi di prova in prova.


Manuele:
Quando suoniamo i problemi non esistono… Semplicemente spariscono. Ciascuno è in funzione dell'altro; poi, ci scorniamo anche parecchio, ma alla fine dei conti troviamo sempre una soluzione. Comunque no, non basta così poco per formare una band… Anzi quella frase che hai citato prima testimonia l'esatto contrario.


Forse questa domanda andava fatta prima, ma…cosa significa esattamente “The Pott”? Perché vi chiamate così?


Emanuele:
Senza offesa, ma questa è una cosa sulla quale vorremmo un po' giocare e che ci diverte tenere misteriosa. Sono in pochi a saperlo, quei pochi che ci hanno ascoltato quando i The PotT eravamo solamente io e Simone, e per ora ci va bene che le cose rimangano così. Posso però dirti che questa nostra volontà la sfrutteremo nel prossimo futuro, ma non vado oltre…

Simone: Invecchierete chiedendovelo.


La “T” maiuscola in fondo al vostro nome è importante? No perché temo di averla usata poco, sia in sede di recensione che in questa intervista…(risate)


Emanuele: Direi che… Sì, è importante! Essendo il nostro nome un acronimo, c'è un motivo se l'ultima T è maiuscola; un po' come quando si scrive correttamente il nome dei dEUS, il nostro dovrebbe essere scritto come abbiamo fatto finora: The PotT. Niente di grave comunque, gli unici grafomani del gruppo siamo io e Simone.


Simone:
Non penso di poterti rivolgere più la parola a questo punto…


Manuele:
Non preoccuparti: ti facciamo causa.


Ok, avverto la legale di SpazioRock, allora! (risate) Sentite, una domanda che riservo di solito ai milanesi, ma anche a voi che siete di Torino va molto bene, perché Torino si sta particolarmente risvegliando culturalmente nell’ultimo periodo, no?


Emanuele: Diciamo di sì. Sicuramente dopo le olimpiadi invernali del 2006 c'è stato un bel rinnovamento. Ora abbiamo addirittura la metropolitana… Provocazioni a parte, la città è diventata più vivace, ci sono cose più stimolanti da fare rispetto a prima ed è una fortuna aver potuto godere di questo cambiamento nel pieno della nostra giovinezza. Comunque sia, le iniziative culturali sono sicuramente tante e spesso lodevoli, penso però che non sempre siano assegnate alle giuste persone, purtroppo… Non voglio dire altro però, preferisco usare il mio tempo in maniera più costruttiva.


Simone:
Ah sì? Non me ne sono accorto di questo risveglio culturale che dici. Ma io sono un orso che sta sempre chiuso in casa a suonare e quando esce lo fa per andare a passare il weekend a Milano, quindi…

Fabio: È sempre stata una città sveglia sotto il profilo culturale e spesso ci si dimentica di questo… Sarà per abitudine, sarà per possibilità di fruire di questo o quello. È una città piena di concerti, di teatri, di mostre magari celate qua e là nei vicoli; da qualche anno addirittura si pubblicizza l'esistenza di un fermento di menti e arte nella città grigia, della FIAT, di operai tutti a casa alle 20… Insomma, nella città capitale dello stereotipo della catena di montaggio si crea e si è sempre creato parecchio. La rete ha dato luce e risalto a ciò che al di fuori delle mura cittadine si credeva non esistesse… Io penso questo.


…per non parlare del fatto che, comunque, Torino è sempre stata una città frizzante dal punto di vista della scena musicale. Ecco: in cosa vi aiuta la vostra città per creare la vostra arte?


Emanuele:
Torino ha un'atmosfera molto particolare e per noi il nostro disco non è altro che una delle sue naturali espressioni. Non è che la scena musicale in sé ci abbia influenzati particolarmente… Ci sono alcuni gruppi che apprezziamo, ma non direi che siamo degli animali sociali, quindi non andiamo inseguendo possibilità nei club come dei disperati… Anzi: per quanto mi riguarda, l'idea di dover uscire per forza (e dover frequentare quei quattro o cinque locali giusti) perché altrimenti non sei nessuno mi spaventa abbastanza…Preferisco non essere nessuno agli occhi degli altri ma essere qualcuno per le persone a cui tengo. Tornando al discorso di prima, crediamo nei nostri mezzi tanto da voler tracciare da noi il nostro percorso e ottenere con le nostre forze ciò che guadagneremo o meno, senza alcun tipo di prostituzione. Concludendo, Torino ci ha aiutati infinitamente, tant'è che in certe occasioni abbiamo reso evidente il nostro omaggio alla città per come la viviamo utilizzando dei field recordings assolutamente estemporanei… Più esplicito di così!


Simone:
Frizzante, comunque, non sempre è sinonimo di buono… Ci sono tanti gruppi, la cui maggior parte trovo indecente, il che genera solo problemi. In ogni caso, la nostra città si riflette inevitabilmente nella nostra musica. "To Those In The Eyes Of God" è un disco torinese, senza ombra di dubbio. Ma allo stesso tempo è attraversato da un respiro internazionale che speriamo possa aprirci tante porte in futuro.

Fabio: Ho anticipato nella risposta precedente una parte di questa. Torino affascina per la fame di musica che esprime, c'è un continuo nascere e sciogliersi di band e da quest'ultima (spesso tristissima) soluzione può derivare un mescolamento di elementi provenienti da esperienze eterogenee in grado di apportare un miglioramento sostanziale alla musica che avevano fino ad allora composto. Se non sbaglio è proprio questo che la teoria dell'evoluzione spiega: i corredi genetici tendono a mescolarsi, con il risultato che i geni dominanti generalmente scalzano quelli recessivi affinché una determinata specie possa svilupparsi al meglio.



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Mi permettete, a questo punto, una domanda generalista e qualunquista? Dai su, ci sta! Tra poco è Natale: cosa sperate di trovare sotto l'Albero?

Emanuele:
Un invito della Ipecac a registrare il nostro secondo disco per loro!


Simone:
Soldi. Non c'è niente di peggio che avere tante idee e pochi soldi. Voglio avere tante idee e tanti soldi. Ecco.


Fabio:
Una schiera di fans imbattibili, capaci di percepire tutta l'anima che mettiamo nel progetto in sé. Ma più che un regalo da trovare sotto l'albero, è in effetti un regalo che dovremo costruire noi per primi e poi metterlo sotto l'albero.

Manuele: La mia serenità.


Ancora una, da Simona Ventura stavolta, dai! I The PotT (maiuscola!) a X-Factor: “impossibile perché siamo musicisti di una certa scorza morale”, “impossibile perché non accettano le band” oppure “perché no”?


Emanuele:
Bravo per la maiuscola! Ma no assolutamente, quale scorza morale… Non vorrei fare la fine dell'intellighenzia di cui ho parlato qualche domanda più su. Il fatto è che, stringi stringi, X-Factor non mi sembra un programma culturale, quanto piuttosto una bella fabbrica scintillante che produce personaggi da consumare in fretta e furia. Non c'entra la morale, c'entra l'idea che uno ha di sé: dopo aver fatto questo disco di cui stiamo parlando, con che faccia ci presentiamo a X-Factor? Penso che il lavoro che abbiamo fatto abbia una dignità, e bruciarla con comportamenti ad esso antitetici non ci va proprio… Saremmo ridicoli.


Simone:
Mah, sinceramente X-Factor mi fa l'effetto di una bottiglia di olio di ricino… Forse anche per questo non nutro nessun interesse a riguardo. Forse eh…


Fabio:
“Mai perché l'imposizione e l'impostazione mediatica distruggerebbero il progetto a favore di giochi che non ci appartengono.”


Manuele: Prima di tutto, io ti dico che mi sposerei Simona Ventura (se mi stai leggendo Simona: ti amo, contattami su Facebook). Fatto questo, personalmente non sarei in grado di suonare o cantare brani di altri artisti, non riuscirei a sentirli miei. Poi mai dire mai, "che con questa storia del mai dire mai ho detto e fatto cose"…


Dai, adesso la smetto con le domande cretine! In chiusura, come nostro solito avete la possibilità di dire tutto quello che le domande di questa intervista non vi hanno dato modo di esprimere, in un bel messaggio libero ai nostri lettori. Prego, accomodatevi!


Emanuele: Innanzitutto, ti ringraziamo per le belle domande succose e per aver apprezzato il nostro primo album, davvero. Ai lettori: se volete rimanere in contatto con noi, seguiteci su Facebook (http://www.facebook.com/The.PotT.music) perché c'è molto che bolle nella pentola del 2012 che sta per arrivare!

Simone: Vorrei solo invitare i lettori ad ascoltare il nostro disco con attenzione e soprattutto con curiosità. Non capite bene le parole? Scaricatevi i testi, sono lì. Non parlate inglese? C'è il traduttore di Google che, se usato con senno, è più che sufficiente e i dizionari non hanno mai morso nessuno. Poi, se il disco, ascoltato come esige di essere ascoltato, vi piace… Scaricatelo, è disponibile per tutti gratuitamente oppure offrendo quello che vi pare. Se vi fa schifo, pazienza. Avrete almeno espresso un giudizio consapevole e il nostro lavoro avrà comunque raggiunto il suo scopo: incuriosirvi e stuzzicare il vostro senso critico. Grazie, saluti.


Manuele:
Siate rock. Prendete 20€, metteteveli in tasca, partite per Amsterdam e sopravvivete con quelli per una settimana. Ne riparliamo quando tornate.


Fabio:
In principio era… No, forse è troppo! Continuate a seguirci, gente! Noi siamo i The PotT e, nel bene o nel male, faremo parlare di noi!




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