Ihsahn (Ihsahn)
Ihsahn pubblicherà tra pochi giorni "Pharos", EP speculare di "Telemark", uscito a febbraio. L'artista ci ha concesso una chiaccherata, illustrandoci le idee contrastanti dietro questi suoi due ultimi lavori e ripercorrendo le sperimentazioni passate.
Articolo a cura di Lucia Bartolozzi - Pubblicata in data: 10/09/20

Benvenuto Ihsahn, è un piacere averti su SpazioRock!

 

Grazie a voi.

 

Durante la tua carriera, spesso hai parlato dei tuoi album come frutto di un paesaggio mentale, ad esempio la natura artica o uno spazio interno. Quale processo mentale ti porta a elaborare tali idee e come le traduci in suono, anche dal punto di vista della produzione?

 

Questa è una cosa importante. Ho iniziato a lavorare in questo modo quando ho cominciato la mia carriera solista, perché finché lavori con altri ci sono molte cose che ti limitano, come ad esempio la storia della band, i desideri contrastanti e i gusti di ciascuno. Come solista queste restrizioni vengono meno, puoi fare tutto e da subito ho voluto darmi certi parametri per canalizzare l’energia creativa su un certo progetto. Sono cresciuto con gli album degli Iron Maiden, dei Judas Priest e insomma, album pensati come un tutt’uno, non come compilation. Questa cosa è rimasta alla base del mio lavoro. Dal mio primo album ho questo libretto in cui accumulo tutte le mie idee su come voglio che sia il suono e su quale paesaggio vorrei creare. A volte immagino che tutto si svolga in uno spazio chiuso e per questo non userei una grande orchestra, ma piuttosto suoni più elettronici, mentre per uno spazio artico mi vengono in mente arrangiamenti di archi. Mi scrivo tutto, come fosse l’impalcatura delle mie idee. Quando sono sviluppate bene tecnicamente e esteticamente so anche scegliere meglio le mie idee, visto che in realtà sbucano fuori in ogni momento. Sono come pezzi di puzzle che posso confrontare con quell’impalcatura che ho steso fra le pagine, vedendo chiaramente se qualcosa combacia. È questo il mio approccio.

 

Tua moglie Heidi (anche lei musicista) ti ha aiutato in qualche pezzo. Come lavorate insieme?

 

Eravamo in una band insieme e da quando abbiamo il nostro studio, la cosa si è allargata diventando una società di produzione. Lei ha cominciato a pubblicare il suo materiale solista ed io il mio, ma collaboriamo strettamente. Uno controlla sempre l’altro e ovviamente ognuno ha risultati diversi, ma c’è una grande fiducia di fondo: lei mi conosce perfettamente e anche solo dal punto di vista estetico, sa se ad esempio sto facendo un buon lavoro con le parti vocali o se serve che mi sforzi di più. Mi ha aiutato molto a portare alla luce cose molto concettuali. Credo che il nostro sia un team in cui ci completiamo, ma in fondo siamo sposati ormai da ventidue anni! (ride, NdR)

 

Come dicevi, insieme avete fondato lo studio Mnemosyne, che pubblica anche il progetto Starofash di Heidi. Com’è nato tutto?

 

È cominciato tutto nel 2002. Con Heidi avevamo già cominciato il progetto Peccatum, che era più sul progressive metal in un certo senso. Durante lo stesso tour facevo doppi concerti, suonando sia coi Peccatum che con gli Emperor. Era molto stressante, ma in realtà lo faccio tutt’oggi, quando magari a un festival suono sia con la mia band d’origine che con gli Ihsahn, preferibilmente in giorni separati! (ride, NdR). È da questo nucleo che è partito lo studio. Anche la famiglia di mia moglie è molto legata alla musica e sono stato in una band con suo fratello Einar Solberg dei Leprous, ancora prima di conoscerla. Einar canta in “Manhattan Skyline” su questo EP.

 

Hai preceduto la mia domanda! Volevo proprio chiederti di “Manhattan Skyline” e del vostro lavoro insieme.

 

Fa piacere avere così tante persone di talento in famiglia. Il perché della nostra collaborazione è molto semplice: volevo tanto fare una cover di quel pezzo, ma non ce l’avrei mai fatta a cantare gli A-ha. Sapevo che mio cognato era nei paraggi e lui sapeva benissimo di dovermi un favore, perciò gli ho chiesto di impararsi il testo e seguirmi in studio, niente più (ride, NdR).

 

ihsahn2020

 

Raccontaci della genesi di “Pharos”, che sarà pubblicato tra pochissimo. Uscirà pochi mesi dopo “Telemark”, ma si distanzia molto da esso. Ci sono dei pezzi nati in concomitanza o delle idee di fondo che hai applicato ad entrambi gli EP? Il contrasto fra i due era voluto?

 

Per quanto riguarda il contrasto, era tutto puramente intenzionale. Prima di questi EP ho pubblicato già 7 album solisti, uno ogni due anni. Ho pubblicato tanto anche prima, se consideri che ora ho 44 anni e ho fatto uscire un album ogni due anni da quando ne ho 16. Era l’ora di un cambiamento. Ho esplorato vari approcci scrivendo i miei album, ma è stata Heidi negli ultimi anni a sfidarmi a fare qualcosa di solo black metal, senza gli elementi progressive. Volevo qualcosa di puro ma al contempo sentivo difficile scrivere un album intero di pezzi black, perciò un EP era il formato migliore per “Telemark”. Cercavo un sound più da band nella sala prove, più crudo, ma al contempo avevo bisogno di una controparte, opposta alle mie origini e più dinamica: “Pharos” è nato così, legato al viaggio e spinto con un occhio verso l’esterno, verso ciò che è straniero e non familiare per me. Mi ero preparato per suonare gli EP live quest’anno e verso Pasqua avrei dovuto portare in tour l’intero “Telemark”, insieme a pezzi scelti del mio repertorio che fossero in linea con la sua estetica. Per quanto riguarda “Pharos”, l’idea era quella di fare un tour europeo in cui suonarlo insieme a pezzi più progressive e pop. Non volevo fare in ogni caso un best of, ma volevo estendere in qualche modo il lavoro fatto in studio.

 

Spiace davvero sapere che tutto sia stato annullato, ma possiamo sperare nell’anno prossimo.

 

Certamente. Porterò direttamente “Telemark” per comodità, visto che ci eravamo preparati per partire con quello. Temo che per “Pharos” l’idea venga annullata, distaccando così tanto il tour dall’uscita, ma sicuramente ci sarà modo di rendere omaggio a quei pezzi in altri live e in altri modi.

 

Sia in “Telemark” che in “Pharos” troviamo delle cover: “Wrathchild” e “Rock And Roll Is Dead” nel primo e “Roads” e “Manhattan Skyline” nel secondo. Che importanza hanno per te le cover? Qual è il tuo approccio quando vuoi rendere omaggio ad un pezzo non tuo facendolo tuo?

 

Ne parlavo durante la produzione, quando mi hanno detto che le mie cover erano fin troppo vicine alle originali. In realtà volevo che andasse proprio così e questi sono pezzi importanti per me, anche quelli che si distaccano da quello che faccio di solito. Prima ho costruito il concetto degli EP e poi ho scelto questi quattro pezzi accuratamente. Pensavo che avessero degli elementi che risuonavano bene nella visione che avevo del sound. Ad esempio in “Pharos” per i Portishead, volevo quel loro suono soffice e quieto ma al contempo pregno di energia. Un suono che sta per distorcersi ma non completamente ed è fragile. Per me, dover ricreare questi sound così diversi è stato una lezione, una grande pratica. In contrasto con “Roads” invece, il pezzo degli A-ha! era interessante, non costruito su un loop di 4 minuti come tanta roba pop ma anzi con un buon arrangiamento e elementi rock, elementi più melensi e quel chorus che mi fa impazzire.

 

Mi chiedo come sia stato sperimentare così tanto nella tua carriera. Ti sei messo in gioco più volte.

 

Questa domanda l’hanno ripetuta in molti. Credo che il mio album più sperimentale sia forse “Das Seelenbrechen” e tutti al tempo si sono chiesti il perché di tutti questi esperimenti. Alcuni dicevano che era per provocare, secondo altri volevo ingraziarmi un’altra parte del pubblico o scioccare i miei fan, ma non si tratta di niente di tutto ciò. Io prendo come esempio due miei miti, Lemmy e David Bowie: il primo è stato famoso per la sua figura di rappresentanza nella scena, come un padrino, mentre l’altro è stato famoso per una carriera camaleontica e ciononostante sempre coerente con sé stessa. Non vorrei mai fare una carriera come quella degli AC/DC, nonostante mi piacciano. Vorrei qualcosa tipo i Radiohead, che sono stati un punto di svolta per me. Accumulo tutte queste influenze e non voglio essere come nessun altro, voglio essere solo me stesso.

 

Che impatto ha avuto questo periodo particolare di lockdown sul tuo lavoro?

 

Personalmente credo di essere stato molto fortunato visto che i miei figli non sono più piccoli, il che è stato un sollievo per la quarantena. Per quanto riguarda il lavoro, sono vent’anni che lavoro nel mio studio a casa con mia moglie, quindi diciamo che eravamo avvantaggiati (ride, NdR). A parte gli show cancellati non è andata troppo male e sono riuscito a lavorare. Inoltre ho la fortuna di avere vicino la foresta. Non invidio minimamente chi è forzato a stare in città con dei bambini piccoli.

 ihsahnpharos

 

“Spectre At The Feast” è il tuo primo singolo da “Pharos”, raccontaci un po’ della traccia e del video. Se non sbaglio, l’artwork e il video sono stati creati dallo stesso artista. Ci racconteresti anche dell’aspetto artistico?

 

Della copertina e del video si è occupato Costin Chioreanu, con cui ho già collaborato molte volte. Per le illustrazioni di “Telemark” invece ho lavorato con David Thiérré. Per il video di “Spectre At The Feast” è stato bello poter vedere Costin in azione, come se fosse un timelapse della natura. Ogni canzone ha una versione video in cui si vede la rappresentazione visuale della canzone che prende vita.

 

Cosa ci dici invece riguardo al testo?

 

Parla dell’interazione fra noi umani tramite una metafora musicale. L’ho scritto prima del Covid, ma ci si adatta abbastanza. È la prospettiva di una mosca sul muro, un’occhiata verso la nostra società privilegiata, in cui alcuni dettagli diventano fondamentali. Spesso conta di più come dici qualcosa e non cosa intendi e questo si ricollega ad una cosa attuale come il politically correct. Quindi il testo parla di questa fragilità, di questa superficialità e ne fa una critica.

 

Insieme a Matt Heafy dei Trivium, hai messo su il progetto MRITYU e vi state preparando per l’uscita del vostro materiale d'esordio. Cosa dovremmo aspettarci? Com’è nato tutto?

 

È cominciato tutto nel 2008, quando Matt mi aveva contattato per un album solista. Era un progetto black e voleva che fossi io a produrlo. Ci è voluto tanto a fare qualcosa insieme, visto che siamo sempre impegnati ma il Covid ci ha dato modo di lavorare insieme. Penso che i fan dei Trivium saranno sorpresi da Matt e non sarà un album black metal tradizionale.

 

Questa era l'ultima domanda, grazie mille per questa intervista! Vorresti dire qualcosa ai tuoi fan italiani che aspettano il nuovo EP e presto una data?


Spero che tutti potremo presto tornare a qualcosa che assomigli a quello che avevamo prima della pandemia. Spero che torneremo a passare del tempo insieme per ascoltare musica e viverla. Vi ringrazio per il supporto e spero di tornare presto in Italia con entrambe le band!




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