White Skull (Tony Fontò)

Approfittando dell’imminente uscita in casa White Skull di “Will Of The Strong”, prevista per il 9 giugno, ne abbiamo parlato con il fondatore e leader Tony Fontò, viaggiando tra le curiosità del nuovo album e aneddoti del passato: una carriera lunga trent'anni all'insegna della coerenza e ben lungi dal ritenersi conclusa.

Articolo a cura di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 25/05/17

Ciao Tony, benvenuto su SpazioRock. Come stai?

 

Molto bene, grazie.

 

Un gradito ritorno il vostro, a cinque anni di distanza da “Under This Flag”, un lasso di tempo piuttosto lungo.

 

Sì è vero, ma i ritmi dei White Skull sono questi: abbiamo da sempre preferito una pausa consistente tra un lavoro e l'altro. Pubblicare a raffica significa mettere troppa carne al fuoco in poco tempo, con il rischio di ripetersi: a ciò aggiungi qualche problema personale dei membri della band, i numerosi concerti e si può facilmente comprendere il motivo dello stop. Però visti i risultati posso dire che ci siamo presi i giusti tempi.

 

Infatti il nuovo disco ha già ricevuto una buon apprezzamento.

 

Da subito è stato accolto con ottime recensioni sia in Italia che all'estero: qualcuno ha detto che sono tornati i White Skull di una volta, altri che "Will Of The Strong" è il disco migliore dell'intera carriera. Certo rispetto al più tradizionale "Under This Flag", "Will Of The Strong" suona classico e moderno al tempo stesso e mi auguro possa attrarre una fetta eterogenea di ascoltatori.

 

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Quando è nata l’idea di “Will Of The Strong”?

 

Il songwriting è iniziato subito dopo l'uscita di "Under This Flag": abbiamo buttato giù dei brani passo dopo passo, scrivendone un numero maggiore di quelli che poi effettivamente sono finiti sul disco, ma che essendo lontani dalle sonorità complessive dell'album, sono morti in fase di pre-produzione. Siamo entrati in studio nel novembre del 2016 e completato il tutto a fine febbraio: personalmente sono stato presente ogni giorno, coadiuvato da Luigi Stefanini che ci ha dato una grossa mano durante l'intero iter di registrazione. Mi piace però sottolineare che si è trattato di un lavoro di gruppo, anche molto faticoso, dal momento che abitiamo abbastanza distanti l'uno dall'altro e ciascuno di noi è impegnato in un lavoro secondario che ci permette di sopravvivere, perché di sola musica non è concepibile.

 

Ascoltando “Will Of The Strong” si ha la sensazione di un notevole cambio di marcia rispetto al lavoro precedente.

 

Innanzitutto con Danilo Bar abbiamo utilizzato tecniche chitarristiche in cui ci siamo divisi davvero i compiti: sebbene negli altri album non avessimo mai suonato all'unisono, tranne che in alcune parti, in "Will Of The Strong" abbiamo arricchito tale modalità cercando di non far perdere compattezza al sound. Inoltre dato che si trattava del decimo album e volevamo confezionare qualcosa di speciale, abbiamo inserito le orchestrazioni, una prerogativa che ci ha permesso di aggiungere freschezza e maggiore epicità.

 

Anche la prestazione di Federica De Boni appare di un livello superiore.

 

Indubbiamente Federica ha osato di più. Oltre ad occuparsi dei testi, ha utilizzato l'intera gamma delle sue linee vocali, passando dal registro pulito a quello più graffiante; l'intero lavoro ne ricava un'ulteriore sfumatura.

 

A proposito dei testi, già l’artwork di copertina, opera di Gaetano di Falco, suggerisce le tematiche dell’album: anche qui troviamo delle novità rispetto al passato.

 

Beh non è un concept album, ma le canzoni sono unite da un filo conduttore unico, ovvero le vicende di alcuni personaggi femminili di spicco della storia. In realtà per essere precisi sette brani trattano questo tema: ad esempio "Holy Warrior" si ispira alla figura di Giovanna d'Arco, "Lady Of Hope" a Evita, Grace O'Malley alla famosa pirata irlandese, "Metal Indian" ad una donna indiana divenuta capotribù. Invece la title-track, "I Am Your Queen", "Shieldmaiden" riprendono la saga vichinga di "Tales From The North". 

 

“Sacrifice” si discosta dal resto delle tracce.

 

"Sacrifice" è un brano a sé stante, legato sì al mood del platter, ma che si configura come un omaggio a coloro che non si sono mai piegati e hanno accettato le sfide fino a perdere la vita, ma non il proprio onore.

 

Un album che rappresenta dunque una completa immersione nella Storia.

 

Sai, abbiamo sempre dato importanza all'esame accurato dei testi; Federica, particolarmente in "Will Of The Strong", si è documentata in maniera puntigliosa, ma quest'aspetto è una caratteristica del nostro percorso, anzi a questo proposito ti racconto un aneddoto. Un professore americano utilizzò "Public Glory, Secret Agony" per una lezione di storia ai suoi allievi: direi un grande onore.

 

“Will Of The Strong” ha il suo punto di forza in una produzione estremamente pulita: pressoché perfetto il bilanciamento tra aggressività e atmosfera.

 

In effetti è stata la difficoltà maggiore incontrata: oltre agli strumenti, le voci e i cori, avevamo settantadue tracce di orchestrazioni, un calderone così ribollente che con Luigi Stefanini ci guardavamo ridendo e chiedendoci cosa ne avremmo tratto fuori. Poi la sua bravura e conoscenza tecnica e la mia professionalità affinata da anni di produzione, oltre alla fondamentale collaborazione dell'intera band, in particolare Danilo che ascoltava tutto in tempo reale dispensando sempre nuovi consigli, hanno permesso di ottenere un buonissimo esito. Con orgoglio posso affermare che ogni brano suona diverso, di fatto nessuno uguale all'altro.

 

Sembri davvero entusiasta del prodotto finale.

 

Tutti gli album che abbiamo scritto appartengono ai singoli membri della band: troveresti tracce del loro DNA in ognuno di noi. Non perché è l'ultimo nato, ma "Will Of The Strong" come importanza e valore ha preso il posto di "Tales From The North", che comunque rimane una pietra miliare nella discografia dei White Skull. Non smetto di sentirlo, provo gusto a suonarlo e non cambierei né una nota né lo registrerei di nuovo, mentre negli altri qualcosa mi lasciava sempre insoddisfatto, vuoi per qualche intoppo, vuoi per qualche imperfezione in fase di produzione. "Will Of The Strong" è carico di energia e sintonia e penso si senta abbastanza.

 

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Avete mantenuto la stessa line-up in questi ultimi cinque anni. Insolito per la storia dei White Skull. 

 

Il percorso dei White Skull è stato spesso costellato da stravolgimenti. Dopo i primi due lavori con gli stessi componenti, tra "Tales From The North" e "Public Glory, Secret Agony" è variato un chitarrista, poi in "Dark Ages" è stata la volta del cantante e strada facendo gli elementi sono cambiati continuamente. Adesso invece abbiamo acquisito senza perdere (Alexandros Muscio alle tastiere) e questo comporta una migliore condivisione del lavoro. Si discute, ci si affiata, sia in studio che on stage, e il processo di composizione in questo modo ne trae un grosso vantaggio. 

 

Ormai siete da anni una band dall’identità ben definita. Parlare di particolari influenze per il nuovo disco sarebbe limitante.

 

Guarda, siamo sulla breccia da così tanto tempo che se ci esistono influenze, sono per la maggior parte inconsce, visto che ognuno di noi ascolta tanta musica e della più varia. Spesso si dà troppo peso al fatto che un determinato brano possa somigliare a quello di un gruppo magari celeberrimo, parlando troppe volte e a sproposito di plagio: bisogna stare attenti a queste fanfaronate.  

 

Quasi trent’anni di carriera, dieci full length, innumerevoli concerti: qual è stata la sliding doors della vostra carriera?

 

I momenti significativi sono stati tanti, si potrebbe scrivere un libro sulla storia dei White Skull. Tuttavia l'incontro al Gods Of Metal del 1998 con Chris Boltendhal dei Grave Digger è stata una svolta per il gruppo: gli chiesi se volesse ascoltare il nostro primo album, lui accettò e dopo due mesi si fece vivo, riuscendo a ottenere un contratto dalla Nuclear Blast, tanto che "Tales Of The North" venne distribuito in Italia dalla Underground Symphony, mentre nel circuito internazionale fu proprio la label tedesca ad occuparsene. Per carità, Chris ha avuto il suo tornaconto anche perché per un po' di tempo fu il nostro manager, oltre a partecipare come ospite in "Tales From The North", ma si è comportato da amico, credendo ciecamente nella band.

 

La scena metal ha mutato pelle rispetto ai vostri esordi?

 

Non c'è dubbio, anche a livello tecnologico si nota la differenza: quando iniziammo non c'era ancora il cd e i demo si registravano su cassetta. Un volta quindi per i giovani le possibilità di emergere erano minori, poi, dopo un grande picco tra la fine degli anni '90 e l'inizio dei 2000, dovuto all'avvento di Internet e di conseguenza alla maggiore opportunità per i musicisti di uscire dall'anonimato, le case discografiche hanno cominciato a tirare i remi in barca perché produrre un album costa e le vendite hanno subito una forte contrazione rispetto al passato. Tuttavia il power e l'heavy metal in generale godono ancora di discreta salute e lo testimoniano le innumerevoli band vecchie e nuove con cui abbiamo condiviso il palco in questi anni. A tale proposito all'appello mancano solo Iron Maiden e Judas Priest: chissà, non è mai troppo tardi.

 

Ci sarà un tour a supporto dell’album?

 

In primo luogo saremo presenti ai festival estivi, tra cui l'Agglutination. Poi da settembre/ottobre fino all'estate prossima ci saranno una serie di date più che un vero e proprio tour. In seguito se fossimo soddisfatti potremmo anche fermarci e preparare un nuovo album, altrimenti proseguiremo con altri live. 

 

Era l’ultima domanda. Un messaggio ai lettori di SpazioRock e ai vostri fan…

 

Spero di incontrarvi tutti on the road e ringraziare del sostegno che da anni riceviamo: in alto gli scudi!




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