Overkill (Blitz Ellsworth)
Le parole di Blitz ripercorrono trent'anni passati tra le viscere di quel rock'n' roll puro che impregna l'underground newyorkese, e approdano nel 2017 intrise di una dolce nostalgia e un'inarrestabile energia. Ci consegnano un unico, chiarissimo messaggio: la ruota, per gli Overkill, continua a girare.
Articolo a cura di Marta Scamozzi - Pubblicata in data: 14/02/17

Iniziamo dal tuo album. Che parola sceglieresti per definirlo?

Diverso!
 
Diverso... da “White Devil Armony”?
 
Sí, specialmente dagli ultimi album. Penso che tocchi argomenti più vari. Penso che, preso individualmente, contenga una varietà maggiore al suo interno. C’è di tutto: rock'n'roll, heavy metal, new wave… ed energia thrash. Quindi sí, penso sia diverso.
 
Sei sempre stato pittosto attivo sul fronte politico sociale. I cambiamenti avvenuti nel mondo in questi ultimi anni hanno influito sui contenuti di "The Grinding Wheel"?
 
No, per niente. La chiave di lettura è proprio questa: il 2016 è stato un anno di cambiamenti politici e geografici significativi nel mondo. “The Grinding Wheel” è lo specchio dei valori della band che scaturiscono da un senso di comunione che non è cambiato per niente nel tempo. 
 
Come sono cambiati questi valori in trent’anni di carriera?

Inizialmente il senso di comunità era rafforzato sul tour bus, data dopo data. La connessione tra noi cresceva e, man mano, costruivamo con i nostri fan un rapporto più familiare. Quelli erano ancora i tempi in cui, chi cercava lo spirito dell’heavy metal, lo trovava radicato nell’ambiente underground. 
 
Continui a riferirti alla musica degli Overkill parlando di metal, thrash metal heavy meta. In realtà, una delle vostre caratteristiche più sorprendenti è la moltitudine di influenze di cui la vostra musica è intrisa. Si riesce a sentire distintamente del punk rock, soprattutto nei primi lavori degli Overkill. 

Certo: siamo cresciuti nell’area attorno a New York. Questa diversità di cui stiamo parlando è un tratto distintivo di questa città, lo è sempre stato… così come lo è questo forte senso di comunità, il bisogno di sentirsi parte di un tutto. A pensarci bene, avere la possibilità di crescere e conoscere questa cittá in un periodo in cui succedevano una moltitudine di cose, musicalmente parlando, è stata un’opportunità grandiosa. Negli anni Ottanta non esisteva ancora un’ossessiva necessità di dividere la musica secondo i generi: la buona musica era solo buona musica, ed era lì per essere assorbita. Era tutto un circolo vizioso: suonavi, uscivi dal locale e te ne andavi in giro per la città; capitavi in un locale in cui suonava qualcun altro, e la prendevi come una grande opportunità per conoscere qualcosa di diverso e farne tesoro. 
 
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Tenendo come punto di riferimneto geografico New York, credi che la situazione per una band emergente sia diversa, oggi? 
 
Penso che sia più difficile in generale… New York, in quanto ad opportunità, rimane sopra la media. Il problema di fondo è che oggi la dimensione geografica passa in secondo piano: adesso per assorbire nuovi elementi puoi evitare di uscire di casa e rinchiuderti da qualche parte con Facebook o You Tube. Da un certo punto di vista, questa è una grande opportunità. D’altro canto, il rischio è quello di omologare la musica. Il rischio è quello di sfornare prodotti che si somigliano più o meno tutti tra di loro. 
 
E per quanto riguarda la musica live? Pensi che con l’avvento di internet abbia perso valore?
 
Penso che la musica live sia oggi il più grande regalo che un musicista potrebbe farsi. Le band utilizzano sempre di più internet per promuoversi, ma lo scopo finale è sempre arrivare su un palco ed essere acclamati da un pubblico. Non c’è sensazione più gratificante per una band che quella causata dal contatto diretto con i propri fan che si instaura da un palco durante un’esibizione. Detto ciò, la realtà è che, a causa dello sviluppo della tecnologia, un cambiamento dell’approccio con i fan c’è stato. Da una parte il contatto con i fan è più semplice. In pratica, questo vuol dire che per una band giovane è diventato facile e veloce radunare un discreto numero di fan che li segua durante i concerti. Dall’altra, a causa di questo il successo di una band dipende spesso tanto dal marketing quanto dalla musica. In conclusione, probabilmente è più difficile per le band che davvero meritano di essere riconosciute emergere sulla massa grazie al loro talento. 
 
A proposito dei live, in particolare dei vostri primi live nei club di New York. Abbiamo detto che si trattava di un ambiente molto particolare. C’è qualcosa di quei tempi che ricordi con particolare piacere? 
  
Non riuscirò mai a dimenticare la sensazione di adrenalina pura che ci portava a pensare che lo show seguente sarebbe stato il più importante della nostra vita. A volta mi chiedo se sia ancora così, se quell’energia ingiustificata sia la stessa che muove le band di oggi. Penso che, in parte, la responsabile di quelle sensazioni di positività fosse New York stessa. È difficile da spiegare. A volte penso alla moltitudine di generi musicali che dominavano la scena newyorkese all’epoca, e la cosa incredibile è che, nonostante le ideologie diverse e i diversi stili, l’energia che si sprigionava era la medesima, ed eravamo mossi dalle stesse sensazioni.
 
È questa l’energia di cui si parla in “The Grinding Wheel”? A cosa si riferisce il nome?
 
In un certo senso, sí. In “The Grinding Wheel” sono intrappolate moltissime emozioni che abbiamo messo insieme disordinatamente: parla di tragedia, di commedia, di vita, di morte. È un riassunto di molte cose che ci siamo trascinati dietro per trent’anni e sono esplose tutte insieme. Più vai avanti e più, sorprendentemente, scopri che hai cose nuove da dire. E allora ti preoccupi solo di metterle insieme e farle girare.
 
Gli Overkill sono un gruppo che è stato interessato da diversi cambi di line up negli anni. In che modo lo spirito di una band cambia, dopo che la line up viene sconvolta?
 
Diciamo che lo spirito di una band non cambia proprio perché la line up viene sconvolta. Intendo dire che, quando un componente abbandona il gruppo, in genere è perché lui non puó piú dare niente alla band e viceversa. Invecchiando, subentrano, giustamente, altre cose: famiglia, altri interessi… è giusto così.
 
Tu, invece, tieni duro, nonostante abbia avuto parecchi problemi di salute anche significativi… non hai mai pensato di mollare?
 
Una parte di te, quella razionale, inevitabilmente ci pensa. Ma poi c’è qualcos’altro che ti dice che, dopotutto, l’unica cosa che ha senso è andare avanti finché i tuoi limiti te lo permettono. Questi limiti possono essere fisici o mentali… nel mio caso sono fisici: mi è andata meglio che ad altri, dunque. Nel senso che, alla fine, è la mente che comanda: finché vuoi andare avanti, il modo lo trovi.  Alla fine uno ha due scelte nella vita: continuare a fare quello che sta facendo, oppure passare a qualcos’altro. Continuare a fare quello che ho sempre fatto, per ora, continua a sembrarmi la cosa più naturale. Ecco: probabilmente il concetto di “The Grinding Wheel” è proprio questo.



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