Enslaved (Ivar Bjørnson)
A pochi giorni dalla nuova release degli Enslaved prevista per il 13 ottobre, Ivar Bjørnson, membro fondatore con Grutle Kjellson della storica band scandinava, ci ha concesso un'intervista ricca di curiosità riguardo il nuovo album "E". Il titolo enigmatico, il progressivo allontanamento dagli stereotipi del black metal, il significato profondo alla base del concept sono solo alcuni dei temi toccati dal chitarrista norvegese che non ha tralasciato aspetti legati al passato e ai nuovi progetti: in attesa di ascoltarli dal vivo a Brescia il 30 novembre.
Articolo a cura di Giovanni Ausoni - Pubblicata in data: 08/10/17

Ciao Ivar e benvenuto su SpazioRock.

Il primo elemento del nuovo album in uscita il 13 ottobre che ha davvero catturato la mia attenzione è stato il titolo. Quale significato speciale si cela dietro "E"?

 

Possiede due significati: uno mistico, l'altro letterale. Il concept dell'album si lega sia alla lettera dell'alfabeto latino sia alle rune: la runa ‘Ehwaz', raffigurata come una "M" e che è riprodotta anche sull'artwork. Infatti esse vengono tracciate per somigliare al loro senso letterale. Il concetto alla base si riferisce alla fiducia e alla cooperazione: uno dei più profondi legami dell'uomo primitivo con le entità superiori è quello con il cavallo, che assume un ruolo centrale e simbolico. Quando essi furono addomesticati e utilizzati, probabilmente nacque la nozione di un legame esoterico tra i due. Abbiamo potuto muoverci con rapidità, scappare più velocemente e persino mangiare e bere dall'animale, sia il latte che il suo sangue, e naturalmente vantarci con i nostri nemici e coetanei di possedere i purosangue più spettacolari. Ovvio che qualcuno abbia visto un richiamo agli Enslaved stessi per la lettera E: non è stata nostra intenzione utilizzare un simbolo che richiamasse la band, ma una tale casualità non nuoce di certo all'album. Solo, ecco, meglio chiarire l'equivoco.

 

In qualche modo è stato coraggioso scegliere una canzone così stratificata quale "The Storm Son" come singolo, soprattutto se paragonata alla più immediata "The River's Mouth". Quali sono state le ragioni di questa scelta?

 

Perché no, possiamo anche dire che è stata una scelta irrazionale, ma arrivati al quattordicesimo album non ci facciamo di questi problemi. In particolare considero "The Storm Son" la traccia rappresentativa dell'intero disco, una combinazione di stili forse inusuale o quantomeno poco frequentata. È vero, il brano che hai citato certamente colpisce al primo impatto, forse è meno complesso e progressive, ma il singolo riassume e sintetizza sia la tematica generale che le sfaccettature del lavoro. Sì, siamo stati coraggiosi, tuttavia credo sia un'opzione che a lungo possa solamente pagare.

 

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Come supporto al vostro sound così complesso la band ha preso a bordo diversi musicisti ospiti: Einar Kvitrafn Selvik dei Wardruna, il flautista Daniel Mage e il sassofonista jazz Kjetil Møster. Il loro contributo è evidente soprattutto nei due brani "Hiindsiight" e "Feathers Of Eolh". Come è stato lavorare con loro? Qual è stato il loro ruolo nel risultato finale?

 

Direi che è stato fantastico: la loro presenza ha arricchito il nostro sound, ma non solo. Abbiamo registrato le tracce suonando come una big band e credo si noti nel risultato finale. Potenza, atmosfera, complessità: una mescolanza non inedita per noi, ma forse è la prima volta che abbiamo collaborato con un gruppo così numeroso e in modo quasi sinfonico, nell'accezione classica del termine. Poi sono tutti musicisti di diverso pedigree: pop, chill music, jazz... Il giorno dopo la fine della registrazioni ci siamo ritrovati tutti in studio per riascoltare il disco. È stata davvero un'esperienza particolare e ci siamo quasi commossi nel riscontrare da parte di tutti un esito che probabilmente non pensavamo fosse così ben equilibrato. Siamo riusciti ad alternare rallentamenti e velocità: un perfetto cinematic sound.

 

"E" offre un mix senza precedenti di prog, extreme metal e shoegaze. Consideri questo il vostro album più sperimentale finora? Devo ammettere che è leggermente distante dalle vostre radici tradizionali...

 

Sì e no. Nei nostri lavori precedenti abbiamo sempre sperimentato, non c'è dubbio: non abbiamo mai cercato di ripeterci e penso che ci siamo riusciti. Per "E" utilizzerei un'altra parola simile, ma differente: esplorare. Quando sperimenti provi della musica che magari prima non avevi per niente sfiorato, esplorare invece significa amalgamare il vecchio con il nuovo, operare una sintesi delle sperimentazioni passate e sì, in questo senso ci siamo spostati verso lidi che ancora non avevamo raggiunto. Le nostre radici black ci sono sempre, ma a partire da "Times" sia a livello tematico che musicale abbiamo preferito prendere delle strade alternative o meno battute. 

 

Per quanto riguarda i testi, ho rinvenuto diversi livelli e temi che trattano di vari simbiosi come quella appunto di uomo e natura. Come siete riusciti a districarvi in tale complessità concettuale?

 

Beh innanzitutto le simbiosi che abbiamo affrontato sono quelle che ci circondano e che sono vitali per la nostra esistenza e il nostro sviluppo, in tutte le scale e in qualsiasi contesto: uomo e nave, una persona e il proprio partner, figlio e genitore, musicista e strumento, caos e ordine, Odino e Sleipnir, saggezza e comunicazione. Ci sono molti livelli e varianti di questo concetto nell'album: la dualità dell'uomo e della natura, le personalità presenti e passate all'interno di un sé, la paura cosciente e la spinta subconscia, il legame tra microcosmo e macrocosmo, gli esseri viventi e l'universo. La nostra lunga storia  compositiva e il fatto di non aver mai affrontato temi banali ci ha permesso di accostarci a tali aspetti con una certa sicurezza; del resto già nel recente passato non disdegnammo incursioni del genere.

 

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"E" è il primo album che coinvolge Håkon Vinje. Il suo arrivo ha cambiato l'equilibrio della band? In caso affermativo, in che modo? E come lo avete scelto?

 

Håkon è stato scelto con dei semplici provini: quello che ha sorpreso tutti noi non era solo la sua tecnica strumentale ma la voce cristallina e dai toni molto alti. Ci ha dato grandissima energia in studio e ci ha stupito che conoscesse alla perfezione i nostri album nonostante l'età non fosse propriamente la stessa. La band ne ha giovato e il suo contributo è stato importante per spingerci oltre; uno stimolo continuo per giovinezza e capacità. All'inizio c'era una comprensibile tensione da parte sua, ma è un ragazzo molto in gamba e non ha avuto difficoltà a inserirsi.

 

Cosa puoi dirci riguardo alla decisione di registrare una cover di una canzone dei Röyksopp? Una scelta insolita...

 

Sì vero (ride, ndr.) I Röyksopp sono considerati in Norvegia una band che si richiama per le atmosfere a Twin Peaks: volevamo inserire nell'album questo tratto particolare e insieme profumi da West Coast e country filtrati dal synth e dall'elettronica. Certo l'abbiamo interpretato secondo la nostra sensibilità, ma penso sia venuto fuori qualcosa di interessante e non è escluso che prossimamente potremo rifare l'operazione, perchè no. Non abbiamo preclusioni per alcun genere come puoi vedere, ancor di più in questo caso: Röyksopp per me vuol dire anche essere black metal nello spirito, al di là di qualsiasi etichetta.

 

Uno sguardo al passato ora. Cosa puoi dirci circa il tuo primo incontro con Grutle Kjellson e la trasformazione da Phobia a Enslaved, con la creazione dello storico demo "Yggdrasil"?

 

La prima volta fu durante un concerto per ragazzi in una grande città: venivo da un piccolo paese, anzi da un villaggio ed essere a contatto con tanti coetanei mi emozionava. Allora avevo quattordici anni, Grutle invece undici. Decidemmo subito di fondare una band death metal, i Phobia: ma trascorse relativamente poco tempo che decidemmo di avviare un nuovo corso più in sintonia con il black metal, considerando quest'ultimo come una sorta di collegamento e non di piena adesione. Avevamo delle idee diverse. Scoprii che ci accomunava un fascino incredibile per la mitologia norvegese. Formammo così gli Enslaved nel maggio-giugno 1991: aggiungemmo un batterista mio amico d'infanzia ovvero Kai Johnny Mosaker (Trym, batterista degli Emperor, ndr.). Il nostro concerto d'esordio fu a Haugesund, in Norvegia, il 30 novembre 1991, mentre  registrammo il nostro primo nastro promozionale nello stesso periodo alla fine del 1991. Nel giugno del 1992 fu la volta del demo "Yggdrasill" che ci diede la possibilità di firmare un accordo record con la Deathlike Silence Productions, l'etichetta di proprietà di Euronymous. Il resto è storia!

 

Quali sono i tuoi progetti futuri? Un nuovo album con la band neofolk Skuggsjà dopo "A Piece For Mind And Mirror"?

 

L'idea è di continuare ovviamente a lungo il progetto Skuggsjà, con cui abbiamo in programma una serie di date. Certo "A Piece For Mind And Mirror" è andato molto bene e ce ne saranno altri, non c'è dubbio. Uno dei punti forti è il fantastico know how di Einar (Selvik, ndr.) per tutto ciò che riguarda l'autenticità della natura e la componente acustica capace di evocarne la quintessenza. Ha costruito da sè molti strumenti tradizionali e questo lo rende davvero speciale. Skuggsjà si pone tra l'accuratezza archeologica e quella artistica, per conferire alla musica un valore che trascenda il semplice ascolto e si ponga come conoscenza mistica.

 

Il 16 settembre siete partiti per un nuovo tour mondiale. L'Europa e il resto del mondo hanno la stessa percezione del vostro sound? O si avvertono le differenze?

 

Fondamentalmente credo nell'universalità della musica: non penso ce ne sia una che vada meglio per un paese o per l'altro. Esiste quella buona o quella cattiva, questa è l'unica differenza, In ogni live c'è sempre stato grande entusiasmo, in Norvegia, In Europa e nel resto del mondo. Non sempre i messaggi vengono recepiti univocamente e con chiarezza perché le culture spesso sono lontanissime tra loro, tuttavia la musica è la protagonista principale e posso dire che ad avere la meglio su qualsiasi incomprensione è il feeling, l'interazione con il pubblico. Australia o Germania non fa differenza.

 

Il 30 novembre suonerete a Brescia. C'è un aneddoto che ti piacerebbe condividere con noi sulla tua esperienza dal vivo in Italia finora?

 

Abbiamo sempre avuto grandi riscontri in Italia e contiamo di venirci più spesso. Impossibile raccontare degli episodi particolari: davvero sono tanti ed estremamente piacevoli e direi che non riuscire a ricordarli esattamente rende merito alla piacevolezza dei concerti tenuti da voi. Cose spiacevoli le avrei ricordate subito, eccome!

 

Un messaggio da lasciare ai vostri fan e ai nostri lettori?

 

Ci vediamo on stage e grazie per lo spazio concesso! 




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