Holebones (Holebones)
Gli Holebones hanno uno scopo preciso e determinato: far avvicinare la gente al blues. La band milanese di recente formazione presenta quindi il suo album di debutto "Loud", un'ode alla storia del blues e a tutto quello che ne è derivato.
Articolo a cura di SpazioRock - Pubblicata in data: 21/04/21
Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di SpazioRock, come state?

Ciao e grazie a SpazioRock per l’intervista. Bene, a parte il periodaccio per la musica!

Visto che questa è la nostra primissima intervista insieme, presentate chi sono gli Holebones e cosa vogliono fare e dire attraverso la musica.  

Gli Holebones sono Andrea Caggiari al basso e voce, Heggy Vezzano e Niccolò Polimeno alle chitarre e Leif Searcy alla batteria. Siamo quattro musicisti con storie ed età differenti, ma con le radici comuni nel blues e che sono cresciuti nella stessa città. Vorremmo far ascoltare il nostro modo di reinterpretare alcuni brani che hanno fatto la storia della musica e del blues, anche con testi di un certo spessore. Lo scopo è quello di far avvicinare gente a questo genere meraviglioso.

Il vostro debut album, in uscita tra pochi giorni, si intitola "Loud". Un nome interessante e auto esplicativo, è un nome che urla qualcosa, cosa esattamente?

Il progetto è nato durante il primo lockdown e tutto il lavoro è stato fatto con le limitazioni che conosciamo. Già solo questo fa venir voglia di urlare. “Loud” è riferito al volume alto degli amplificatori di chitarra, ma anche alle ritmiche spinte di basso e batteria e, in generale, ad una voglia e un bisogno di gridare la nostra rabbia e indignazione attraverso la musica che abbiamo fatto.

Parlateci più nel dettaglio del processo creativo di "Loud". Quest'album è composto da otto brani che ripercorrono la storia del rock blues, qual è stata la logica che avete seguito per 'selezionare' questi brani? Cosa vi ha ispirato? Siete soddisfatti del risultato che avete ottenuto?

Parte dei brani arrivano dal repertorio che il trio (prima dell’arrivo di Niccolò) suonava dal vivo già da un po', e sono dei veri classici senza tempo del blues come "Catfish Blues" e "Mojo Hand". Per altri ci siamo lasciati ispirare da canzoni che non solo sono dei grandi classici del blues, ma anche trattano tematiche strettamente connesse con il nostro presente. "Black Man", ad esempio, è una celebrazione delle diversità etniche, un inno all’antirazzismo, tema purtroppo attualissimo. "Ain’t Gonna Let Nobody Turn Me Around" è un canto dedicato alla libertà e alle dure lotte che molti popoli hanno dovuto affrontare per conquistare la propria. Il risultato ci ha soddisfatti molto. Durante il periodo delle registrazioni, ci siamo sentiti liberi di poter contribuire ognuno con la propria personalità e le proprie idee. Questo ha fatto sì che ne uscisse un lavoro sentito e personale, una rivisitazione in cui ci sentiamo rappresentati. Il rischio di snaturare delle pietre miliari del blues è davvero dietro l’angolo. Abbiamo cercato di rivisitare dei classici restituendoli in una veste diversa, ma pur sempre rispettosa della versione originale.

A livello di musica, come avete innovato il sound del passato? Quali nuovi elementi avete introdotto?

In realtà non abbiamo inserito suoni “moderni” come elettronica o altro, ma abbiamo scelto brani roots, spesso chitarra e voce, o addirittura solo voce (come nel caso di "Death Have Mercy" di Vera Hall), e lavorato agli arrangiamenti con un approccio più moderno. Alcuni brani hanno groove hip-hop, temi di chitarra spostati sul tempo come si usa nel neo soul e nella black music di oggi. Ci siamo lasciati ispirare dai nostri diversi background individuali e agli arrangiamenti originali ognuno di noi ha contribuito portando diverse influenze. Il risultato è un sound più moderno e personale, che si pone l’obiettivo di ridare una veste nuova a questi otto classici.

Ad oggi avete estratto tre singoli da questo album, "Ain't Gonna Let Nobody Turn Me Around", "Mojo Hand" e "Death Have Mercy"...

Abbiamo scelto questi brani perché rappresentano i tre filoni del disco: blues, funk e rock. Il primo è stato scelto per un motivo molto semplice. Stiamo attraversando un periodo storico molto difficile, il 2020 non è stato caratterizzato solo dalla pandemia, ma anche da una forte crescita di movimenti razzisti. Ci sembrava doveroso da parte nostra far capire che bisogna continuare a lottare.

"Ain't Gonna Let Nobody Turn Me Around" vanta la collaborazione di Andy J. Forest, com'è stato collaborare con un artista di questo calibro? Vi siete portati a casa qualche “prezioso consiglio”?

Heggy collabora con Andy dal ’95 e in ogni caso sarebbe stato ospite in questo disco per via dell’amicizia che c’è con la band, ma quando abbiamo arrangiato “Ain’t Gonna Let Nobody” è venuta fuori una jazz funeral tipica di New Orleans. A quel punto la scelta di Andy per questo pezzo è stata logica. Andy ha inciso più di quindici dischi, scritto più di cento canzoni, partecipato in dieci film come attore, ha scritto un libro e dipinto svariati quadri. Crediamo sia un artista incredibile.

Qual è il brano, se ce n'è uno, a cui siete più legati e perchè? Quale invece non vedete l’ora di suonare live (quando si potrà) e perché?

Sinceramente non c’è un brano in particolare a cui siamo più affezionati. Sì, forse all’inizio delle registrazioni c’era qualche preferenza, ma una volta ultimato il lavoro ci siamo affezionati a tutti i brani. Dopo qualche prova ci siamo resi conto che suonarli live con i nuovi arrangiamenti sarebbe stato divertentissimo. Vi assicuriamo che non vediamo l’ora di suonarli, dal primo all’ultimo, dal vivo di fronte ad un pubblico.

Cosa significa fare blues nel 2021? Pensate che il genere sia ancora baluardo di principi sociali da veicolare?

Crediamo che il blues sia alla base di tutto, le radici dell’albero genealogico tutta la musica black e tutti i suoi derivati. Heggy ha iniziato a suonare la chitarra facendo blues ed era il 1981. Dopo quarant’anni è ancora qui a suonarlo. La risposta alla domanda “cosa significa suonare blues nel 2021” sarebbe la stessa nel 1921 e nel 2121. Il blues non deve e non dovrà morire mai. Oggi il blues e tutti i suoi derivati hanno spesso contenuti e testi legati ai diritti umani, rimane un genere portatore di principi e storie che saranno per sempre interessanti e attuali e sicuramente meritevoli di essere veicolati.                                                                                        

Quali sono i vostri progetti per il futuro? Pensate già ad un nuovo album?

Sicuramente fare un sacco di attività live e suonare il più possibile. Stiamo pensando al prossimo disco di brani originali, anche se ci piace riarrangiare e reinterpretare vecchi brani blues. Qualche cover ci sarà, portiamo avanti il messaggio.

Il tempo a nostra disposizione è terminato, vi ringraziamo per la vostra disponibilità. C'è un messaggio che vorreste lasciare ai nostri lettori?

Grazie a voi tutti e ai lettori di SpazioRock! Continuate ad amare la musica, il blues e tutti i progetti autoprodotti che hanno bisogno di essere sostenuti. Grazie!



Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool