Kutso (Matteo Gabbianelli)
Ironici, irriverenti, fuori dalle regole, ma non chiamateli solo demenziali: i Kutso sono tra le realtà italiane più originali degli ultimi anni, ma dietro la voglia di scardinare le regole e la seriosità di situazioni istituzionali come Sanremo c'è una preparazione tutt'altro che fancazzista (anzi, fankutsista). Abbiamo passato una piacevole e divertente mezz'ora con il frontman, cantante, autore e fondatore (e anche batterista originale) Matteo Gabbianelli, ed ecco cosa ne è venuto fuori.
Articolo a cura di Andrea Mariano - Pubblicata in data: 03/04/15
Ciao Matteo, benvenuto su SpazioRock! Partiamo subito: visto e considerato che i Kutso sono reduci da Sanremo, come è andata, come avete vissuto quest’esperienza? È stato un palcoscenico piuttosto differente rispetto il vostro solito.

Sicuramente è stata un’esperienza unica nel suo genere, nel senso che per una settimana vieni catapultato sotto i riflettori di qualunque testata e televisione. È un lavoro di promozione enorme: dalle otto di mattina fino alle otto di sera sei in giro per tutta la città per fare le interviste, e poi la sera c’è ovviamente l’esibizione. Noi abbiamo vissuto tutto in maniera molto professionale, non c’è stato molto spazio per il divertimento, nel senso che stavamo li e facevamo quel che si doveva fare. Il placo dell’Ariston è bello per la scenografia, l’orchestra, tutto è gestito in maniera professionale, si sente tutto benissimo… Naturalmente Sanremo è anche un programma televisivo, quindi quello che si vede in televisione è solo una piccola parte di quel che accade anche dietro le quinte, che è abbastanza serio… Come posso spiegarti: in pratica si arriva all’Ariston tre minuti prima dell’esibizione, si fa l’esibizione e subito dopo torni in albergo. È tutto stile catena di montaggio. Ogni volta mi chiedono se è stato bello, emozionante… È stato bello sapere di essere sul palco dell’Ariston, ma nella pratica noi eravamo li per lavorare, quindi non l’abbiamo proprio vissuta in maniera rock n’ roll, ecco!
 
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Da spettatore sembrava un po’ il contrario, nel senso che avete scardinato un po’ quelli che erano i canoni dell’esibizione sanremese. Mi viene in mente Donatello, il chitarrista, che si è presentato in versione cabina doccia e con la maschera di Carlo Conti.

Ahahah, quello assolutamente! Noi siamo andati a Sanremo per portare il nostro progetto, chi conosce il nostro gruppo sa che in quei due minuti e mezzo abbiamo concentrato quello che succede nei nostri concerti. Già soltanto l’aver portato il nostro progetto sul palco dell’Ariston aveva un che di dissacrante e sovversivo, se vuoi. Non abbiamo forzano nulla, abbiamo fatto quel che abbiamo sempre fatto, essendo coscienti di essere dei guastafeste e dei pesci fuor d’acqua. Sul palco siamo molto concentrati, però sicuramente la nostra performance trasmette piacere, divertimento, gioia, non-sense se vuoi, sempre con un carattere un po’ provocatorio e sicuramente sovversivo. Non vogliamo adeguarci all’ufficialità dei contesti, la nostra essenza vuole sempre smentire la seriosità della situazione.

Beh, devo dire che vi riesce benissimo!

Ahahah!

Avete portato “Elisa”, il vostro nuovo singolo: come è nato? E, conseguentemente, come nascono le canzoni dei Kutso?

La catena di montaggio è la seguente: inizialmente ci sono io, da solo a casa mia con una chitarraccia scordata. Non la so suonare bene, però riesco a buttare giù una base strumentale su cui improvviso delle melodie con la voce, cantando in finto inglese. Quando una melodia mi rimane in testa dopo vari giorni, la ritengo valida e comincio a scrivere le parole. Una volta composto lo scheletro della canzone, la porto in sala e tutti quanti contribuiamo ad arrangiarla e anche a modificarla compositivamente.

Dato che sei tu a portare agli altri l’idea base dei brani, ci son state delle volte in cui hai portato un’idea che poi è stata letteralmente stravolta rispetto ai tuoi piani originali?

Questo è successo soprattutto per l’ultimo disco: sia “Musica Per Persone Sensibili” che il precedente “Decadendo (Su Un Materasso Sporco)” sono una sorta di compilation, perché contengono sì canzoni scritte pochi mesi fa, ma anche brani che addirittura hanno 10 anni, quindi sulle canzoni più vecchie è difficile che ci siano dei ripensamenti. Però su “Spray Nasale” il giro iniziale di synth e basso l’ha fatto Luca, il nostro bassista; io inizialmente avevo un’altra idea, in quel caso la canzone è diventata una composizione a quattro mani.

A proposito di “Musica Per Persone Sensibili” e premettendo che mi hai detto che contiene brani addirittura di 10 anni fa, quanto tempo avete impiegato per crearlo e registrarlo?

La composizione, come ti ho detto prima, è spalmata negli anni. Le canzoni non sono state scritte per il disco, ma sono state scritte e basta, quindi le abbiamo semplicemente raccolte. La produzione vera e propria del disco è stata fatta tra un concerto e l’altro, perché non abbiamo mai interrotto la nostra attività live. Il disco era già pronto ad agosto 2014. Mettendo insieme le ore per registrazione, mixaggi e mastering, siamo stati in studio circa due mesi, invece la pre-produzione non può essere quantificata, perché è stata fatta in maniera disorganizzata, addirittura “Elisa” doveva essere parte del primo disco, poi all’ultimo momento ci siamo detti “Beh, teniamocela per tempi migliori”, eheheh!
 
Secondo te ci sono differenze sostanziali tra “Decadendo (Su Un Materasso Sporco)” e “Musica Per Persone Sensibili”?

kutso_intervista_2015_01_01A livello di tematiche, di composizione e presupposti sono simili: sono sempre canzoni autobiografiche, sono sempre elucubrazioni esistenziali o scherzi provocatori “come Elisa”, oppure momenti più intimi come “Triste”, la canzone che chiude il disco nuovo, mentre in decadendo questo momento era in “Perso”, anche se più allegrotta la tematica era la stessa. La differenza sostanziale tra i due album è la produzione: nonostante abbiamo fatto il disco di corsa, “Musica Per Persone Sensibili” ha un suono molto più duro, più potente: le batterie sono enormi, muri di chitarre… In “Decadendo”, invece, era una compilation non solo nella composizione dei brani, ma anche nelle registrazioni: “Decadendo” è stato realizzato mettendo insieme diverse registrazioni fatte negli anni, non c’è stato un momento di produzione unica vera e propria. All’epoca abbiamo sentito l’esigenza di fare un disco perché i tempi erano maturi per farlo, quindi abbiamo messo insieme le registrazioni e abbiamo realizzato “Decadendo”. “Musica Per Persone Sensibili” ha una produzione più lineare e coerente, è il primo disco suonato dalle stesse persone che suonano dal vivo, quindi con una line up stabile per la prima volta nella nostra storia.

Facciamo un salto indietro: come erano i Kutso agli inizi? Eravate già così “intraprendenti” ed euforici sul palco? Avete una presenza scenica – oltre che una preparazione musicale – non indifferente.

Allora… Qui tocchiamo vari argomenti, quindi ti preannuncio che sarà una risposta piuttosto lunga ed elaborata.

Vai.

I Kutso sono diventati effettivamente un gruppo nel 2006. Prima di allora Kutso era uno pseudonimo che usavo per fare delle composizioni non per forza rock, facevo anche elettronica, e avevo accumulato un bel po’ di materiale. Pensa che addirittura “Bluff”, che apre “Musica Per Persone Sensibili”, è uno dei primi brani che ho composto in assoluto. Quando iniziammo a suonare nei locali, feci ascoltare alcuni brani della band ad Alex Britti, il quale figura anche come co-produttore di questo disco. In realtà non l’ha co-prodotto in senso stretto. La co-produzione vuole in realtà riassumere un po’ il rapporto che abbiamo avuto negli anni, ovvero: nel 2006, quando gli feci ascoltare le canzoni, cominciammo a lavorare insieme a livello di produzione artistica e di arrangiamenti in maniera “ufficiosa”. Questa situazione è durata tre anni, parallelamente alla nostra attività: noi continuavamo a fare quel che facevamo, però nei tempi morti di Alex ci trovavamo a casa sua e lavoravamo sui pezzi, anche in maniera diversa da come poi li portavamo dal vivo. Quella è la parte per cui intendo co-produzione. Poi le nostre strade si sono separate, anche se ci siamo sempre tenuti in contatto a distanza, dato che conosco Alex ancor prima che diventasse famoso, abbiamo un rapporto amichevole oltre che professionale. Quindi su “Decadendo” e sul nuovo album, così come sul primo EP “Aiutatemi”, ci sono canzoni su cui avevamo lavorato anche con Alex. Da quell’esperienza alcune cose sono state conservate, altre sono state accantonate, ma la produzione artistica di Alex, pur in maniera spalmata e disorganizzata nel tempo, almeno parzialmente è presenta su tutta la produzione dei Kutso. Il contatto con Alex ci ha insegnato alcuni meccanismi… È una persona che ti lascia fare, poi dice una sola cosa che ti apre un mondo di possibilità e di domande a cui non avevi mai pensato. Ti sprona, ecco. Ripeto, il tutto in maniera sporadica, tipo in cinque anni ci si vede una volta, per dirti. Per quanto riguarda il carattere della band, invece, è sempre stato così. Alcuni brani addirittura sono nati prima della nascita della band, quindi c’è sempre stato questo carattere provocatorio,però sicuramente all’inizio questa carica che abbiamo ora dal vivo non c’era, anche perché all’epoca io cantavo e suonavo la batteria.

Addirittura.

Si, io nasco come batterista. Per tanti anni ho suonato la batteria in un gruppo hardcore, giravamo per tutta l’Europa. Il mio primo gruppo davvero importante è stato con Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion. A vent’anni avevamo questo gruppo, i SilverSei, avevamo anche firmato con la Sony, ma quella cosa naufragò in un nulla di fatto. Dalla morte di quella band ho sentito l’esigenza di avere un gruppo, quindi i Kutso, che prima era Dj Kutso, ahahah! Lo pseudonimo con cui producevo varie cose è diventata la mia band. Però io cantavo e suonavo la batteria contemporaneamente, mancava qualcosa sul palco, ed in me era già presente questo carattere un po’ sopra le righe, e ad un certo punto ho capito che serviva un frontman, ma dovevo improvvisarmi tale, perché non l’avevo mai fatto. Concerto dopo concerto, osservando le persone, tenendo presente quello che noi volevamo esprimere, abbiamo dato sempre più spazio a questa “libertà vitalistica”, ossia la libertà di poter includere qualunque idea od opzione durante il concerto, non escludere niente, ecco perché Donatello (il chitarrista, ndr) ad ogni concerto si traveste. Da quando lo fece la prima ora, non riesce più a salire sul palco se non si mette qualcosa di strano, altrimenti...

Si sente nudo

Ahahah, si, esatto! Altrimenti si vergogna! Quindi nelle nostre esibizioni abbiamo incluso tutto: salti mortali, verticali, calci volanti, invettive contro il pubblico, momenti da villaggio vacanze… Qualcuno ci definisce demenziali, mentre noi vogliamo semplicemente esprimere una libertà totale, la possibilità di non escludere nulla.

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Riuscite a coniugare una certa sistematicità con la spontaneità. Non è da tutti.

Hai proprio centrato il fulcro del discorso. I Kutso sono formati da 50% di improvvisazione e 50% di spettacolo studiato. Noi saliamo sul palco con la stessa spontaneità di Michael Jackson, ahahah! Nel senso che per noi lo spettacolo dal vivo non è soltanto ascoltare le canzoni, ma anche vedere qualcosa e magari anche partecipare, ed è questo che cerchiamo di fare.

A proposito di live: siete in giro con il tour “Tour Per Persone Sensibili”, ed aprirete il concerto di Caparezza al PalaAlpitour di Torino, cosa che non è una novità per voi.

È la terza volta che apriamo per Caparezza, siamo onorati di questo. Inoltre Caparezza più volte ufficialmente, ed un paio di volte a Radio Rai, ha espresso la sua stima nei nostri confronti, e speriamo che questa nostra collaborazione diventi anche artistica in futuro. Per noi Caparezza è un esempio da seguire, è l’artista indipendente più avanti che c’è, è una persona che stando fuori dai canali riesce a fare diecimila persone e produce una musica piena di colpi di scena, è un’innovazione continua. È una gioia essere con lui.

Per fare un parallelismo, diciamo che Caparezza è, tra gli artisti italiani, quello che più si avvicina a voi a livello di percorso artistico intrapreso.

Si, anche se lui mi pare che partì dal mainstream. Da anni si è creato un canale al di fuori di qualunque moda. Anche l’indie è una moda. Lui però non è indie, non è hip hop, è Caparezza!

Nel panorama musicale italiano, che sia mainstream o underground, la vostra proposta musicale è molto atipica, una delle cose più originali che si siano sentite negli ultimi anni.

Ti ringrazio, sono contento, però questa cosa, benché ne sia cosciente nel bene e nel male, è ancora faticosa da inquadrare. Quando sei così al di fuori di ogni corrente, è faticoso essere inserito nei canali. Con questo nuovo tour abbiamo visto che ci sono delle sacche di pubblico recettive ed altri posti dove invece ancora non si è creato interesse. Navighiamo a vista, sempre più determinati, sempre più inkutsati neri e vediamo che succederà.

Il Perpetuo Tour dello scorso anno ha raggiunto qualcosa come 120 date. C’è il “rischio” che questo tour diventi un “Perpetuo Tour Parte II”?

Mah, noi speriamo che questo rischio si avveri (risate generali, ndr)! Adesso, con la storia di Sanremo, tutto si è più istituzionalizzato: c’è un booking, il tour è stato pianificato… Delle oltre cento date che abbiamo fatto nel 2014, metà venivano confermate di giorno in giorno; non c’era un tour pianificato, i promoter o le associazioni ci chiamavano da una settimana all’altra, adesso è tutto più programmato. Probabilmente le date saranno minori a livello numerico, ma superiori a livello qualitativo, con condizioni tecniche migliori. Un certo salto l’abbiamo fatto, ora dobbiamo capire quanto a conti fatti sia arrivato il messaggio alla gente e quanti l’abbiano captato, siamo ancora in fase di comprensione. Per esempio, abbiamo fatto una data al Lokomotiv di Bologna: un flop totale,  tipo trenta persone in un posto che ne contiene cinquecento. Per questo ti dico che stiamo ancora capendo quanto effettivamente la gente abbia recepito e apprezzato questo essere al di fuori di ogni corrente. Però abbiamo fatto un video durante il concerto, riprendendo le trenta persone presenti, e abbiamo suonato “Canzone Della Sconfitta”, ahahah! Ho improvvisato delle parole sull’intro, per prendere con sportività questa disfatta totale, eheheh!
 
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In 10 anni di attività, quale è stato il momento più esaltante? È capitato qualcosa che non ti aspettavi e che ti ha divertito particolarmente?

Il momento più esaltante è stato l’opening per Caparezza a Roma davanti a 5000 persone. Nei nostri momenti Aplitour, cioè quando facciamo la cover di “I Wanna Be Starting Something” di Michael Jackson in cui facciamo fare delle cose al pubblico, vedere tutte le persone che fanno quello che gli chiedi, mi ha emozionato. Appena siamo saliti sul palco c’è stato un boato, mi sono emozionato e mi sono detto “Cazzo, ma allora è successo veramente qualcosa…”. Vedere tutta quella gente che è li per un altro artista e vedere che ti segue, che ti dà consenso, è stato emozionante. La cosa inaspettata e che mi ha divertito molto è stata proprio Sanremo. Sapere che c’era la possibilità di partecipare e poi sapere di essere stati presi mi faceva davvero ridere, non vedevo l’ora di salire sul palco! Mi faceva veramente ridere che il nostro gruppo, con questo nomee con quest’attitudine, andasse a Sanremo... Non vedevo l’ora di rovinare tutto!

Ultima domanda, che in realtà sarebbe dovuta essere la prima: come ti è venuto in mente di scrivere Kutso in quel modo?

Quando ero al liceo, scrivevo le parolacce sui banchi in questo modo, quindi “cazzo” scritto “Kutso”, “Coolw” per “culo” e così via. Però questo “Kutso” ho cominciato a scriverlo dappertutto, mi piaceva come era scritto, tant’è che ad un certo punto scrivevo la parolaccia proprio così, mi piaceva come tag, tant’è che poi è diventato il mio pseudonimo. Quando è diventato il nome del gruppo, ho voluto tirar fuori il motivo musicale, perché… Io  sono un rompicoglioni polemico di natura, se tutti fanno una cosa io devo fare il contrario, quindi anche il nome doveva rispecchiare il carattere della band. Spesso si dice “Sai, il nome deve bello, deve suonare bene”, io invece devo fare il contrario di quel che si sarebbe dovuto fare. Una volta mi hanno fatto leggere il decalogo delle regole su come deve essere una band, ed ho notato che siamo tutto il contrario, ahahah! Un nome cacofonico, assurdo, che nessuno userebbe mai, ma non siamo una band demenziale. Mi piace moltissimo rimescolare le carte: quando uno si aspetta una cosa da me, io faccio tutto il contrario.

Matteo, grazie mille per l’intervista, sei stato molto disponibile ed esaustivo…

Puoi anche dire logorroico (risate, ndr)!

Se vuoi salutare i fan dei Kutso ed i lettori di SpazioRock, ti lascio l’ultima parola!

Cari amici, venite ai concerti, fatevi vedere e soprattutto sostenete la causa dei Kutso, cazzo!



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