Da un visino acqua e sapone come il suo non ti aspetteresti certo una copertina come quella di “Boo Hoo Hoo”, che ti schiaffa in faccia un bel culetto, come fosse una parodia di “Born In The USA” o – per i più maliziosi – uno schiaffo morale ai “pacchi” più famosi del rock, come quelli di “Sticky Fingers” (The Rolling Stones) e “Too Fast For Love” (Mötley Crüe). Ma il mondo è bello perché è vario e il rock, per quanto i puristi potranno storcere il naso, non è fatto di soli uomini. Colleen Rennison ha le palle per ammetterlo, magari anche per farsi capo di una nuova rivoluzione femminista.
La voce, calda e sporca quanto basta per farci pensare ad una versione in gonnella degli acclamati Black Keys, o – cosa ancor più probabile – a una reincarnazione “pulita” di Janis Joplin, attacca a parlare dall'altro capo del telefono, poco prima di salire sul palco per l'ultima data di un breve tour che nel mese di dicembre ha visto la formazione canadese girare per il vecchio continente. “La band è nata soltanto di recente”, racconta Colleen. “Anche se il nostro monicker (il quale non è altro che il nome della cantante letto al contrario, ndr) potrebbe far pensare che si tratta di una finta-band, una di quelle costruite a tavolino per dare risalto alla cantante, ma non è affatto così. Tra di noi c'è una vera e propria fratellanza, un legame molto forte. Le nostre canzoni solitamente nascono da una mia idea, ma poi le scriviamo tutti insieme”. Sono in giro da poco, ma i commenti positivi non le hanno fatto montare la testa: “In realtà non avevamo idea di quale sarebbe stata la risposta della critica al nostro disco. Anche se non è piaciuto a tutti, siamo stati fortunati nel ricevere parecchie recensioni positive e questo è assolutamente fantastico. Spero che anche la gente che ascolterà il disco una volta uscito sarà dello stesso parere, ma per ora non possiamo affatto lamentarci”. Tra una chiacchiera e l'altra, troviamo anche il tempo per scherzare sui suoi trascorsi nel mondo del cinema: “Mi hai preso per un'attrice famosa? No, in realtà ho recitato solo in un paio di film neanche troppo conosciuti. Non penso che il mio passato mi abbia aiutata ad entrare nel mondo della musica, forse mi ha reso un po' meno impreparata di fronte alle interviste”.
Spinta ad esplorare la propria voce sin dalla tenera età, quando ancora i dischi che giravano sul suo piatto erano quelli di Mariah Carey e Whitney Houston, Colleen si avvicina ben presto al mondo del rock comunemente inteso e della musica “black”: “Tra le mie ispirazioni ci sono Tina Turner, James Brown, Marvin Gaye, The Supremes, Billie Holiday... Non ho mai cercato di imitare qualcuno in particolar modo, ma ognuno di loro mi ha aiutata a scoprire me stessa e la mia voce. Comunque non mi sento una di quelle cantanti indie che vanno di moda al giorno d'oggi, sono una tipa rock and roll. Proprio come la nostra musica. Potrei dirti che facciamo del blues, con elementi anni 70, ma sarebbe fuorviante. Se dovessi descrivere i No Sinner con una parola, quindi, direi proprio “rock and roll”. In fin dei conti, pur essendo il nostro un genere musicale con dei tratti ben definiti, penso che contenga parecchie sfumature e ci limiteremmo, se cercassimo di inquadrare quello che facciamo in una definizione”. Di cosa parlano i loro pezzi? “In genere cerchiamo di trasmettere il maggior numero possibile di emozioni, senza cercare di concentrarci su un sentimento in particolare. Le canzoni poi cambiano significato, a seconda dei periodi che ci troviamo ad affrontare nel corso delle nostre vite. Sul disco ci sono brani “sexy” come “If Anything”, il tipico pezzo da sfoderare al momento giusto, magari quando vuoi sedurre qualcuno. “Work Song” è un brano più energico, che trasmette la fatica che sta dietro ad un duro lavoro, ma anche la bellissima sensazione di trionfo che ne deriva. “Devil On My Back” è un brano che parla alle donne: penso che il nostro genere possa ritrovare la propria forza, basta capire da dove noi tutte proveniamo. “Running” è una party-track, “September Moon”, invece, è una canzone più romantica. Spero che gli ascoltatori riescano a immedesimarsi nelle mie emozioni”.
Solleticata dalle nostre domande, la giovane Rennison ammette di non sentirsi molto in sintonia con la musica di oggi: “Effettivamente no, non mi identifico nelle proposte musicali attuali. Penso anche che ci sia un certo sovrappopolamento nella scena; fino a vent'anni fa non era possibile pensare di registrare un album con un computer nel seminterrato sotto casa, mentre oggi può farlo chiunque. L'aspetto positivo in tutto questo, semmai, è il fatto che molti di questi gruppi riescano a sfuggire alle logiche delle etichette discografiche. Tra le band che ascolto più spesso ci sono i Black Keys e i Kings Of Leon, ma anche loro come noi si rifanno parecchio al passato”. Poi ci stupisce, ammettendo che “qualche volta vado ai concerti punk rock, oppure mi diverto ad ascoltare pezzi hip-hop alla radio. Penso anche che “Roar” di Katy Perry sia un gran pezzo. Ma è tutta roba che recepisco passivamente quando vado a fare shopping, non mi sognerei mai di ascoltarla di proposito”. Anche le logiche commerciali, in fin dei conti, non la spaventano. “Basta non prestarci attenzione e continuare per la propria strada”, ammette candidamente. “Ci sono sempre stati show televisivi come X-Factor, ma adesso sono veramente troppi. Ognuno pensa solo al proprio tornaconto e l'integrità degli artisti è la prima cosa ad essere sacrificata. Personalmente sono contenta di non aver mai preso parte ad una trasmissione del genere”.
Ora che la strada è stata spianata, i No Sinner si prenderanno un po' di tempo per tornare in Canada e far visita alle proprie famiglie. Ma l'attesa non sarà lunga, perché i palchi dei festival estivi in Europa li stanno chiamando a gran voce e la band ha già parecchio materiale registrato in vista di un nuovo album. Non riusciamo a strapparle la promessa che vorremmo, ma Colleen ci rincuora assicurandoci che venire in Italia è uno dei suoi più grandi sogni di sempre e farà di tutto per far sì che possa avverarsi. "Sai, il rock and roll è una lingua universale e, anche se non conosco una sola parola in italiano, spero che il nostro messaggio arrivi forte e chiaro". Nell'attesa di poterlo confermare in un incontro face-to-face, abbiamo già premuto il tasto play su “Boo Hoo Hoo” almeno una decina di volte.