Running Wild (Rolf Kasparek)
In occasione dell'uscita del terzo lavoro frutto della seconda era dei Running Wild, il mastermind della band, pionera del pirate metal, ci racconta la svolta positiva di quanto resta del progetto originale dopo il titubante ritorno nel 2012.
Articolo a cura di Cristina Cannata - Pubblicata in data: 10/10/16

Si ringrazia Costanza Colombo per la collaborazione 

 

Salve Rolf e bentornato su SpazioRock. Come va?

 

Tutto alla grande, grazie!

 

Ottimo, partiamo allora con l'intervista. Naturalmente non possiamo che iniziare dall'ultimo uscito: "Rapid Foray". Perché non ci racconti qualcosa del suo making of?

 

Purtroppo la lavorazione dell'album ha richiesto ben più tempo del previsto a causa del mio infortunio alla spalla, occorso nel 2014. Avevo già iniziato a lavorare a "Rapid Foray" ma dovetti sospendere dato che per più di sei mesi sono stato impossibilitato a suonare e poi ho ripreso facendolo, inizialmente, soltanto per mezz'ora al giorno. Tutto questo non ha potuto che complicare le cose, comunque, non appena la spalla è tornata a posto, ho ripreso i lavori. Avevo moltissimo materiale, qualcosa come 30-35 pezzi quando invece sapevo che avrei dovuto selezionarne soltanto una decina, infatti sul disco ne sono finiti 11. Poi tutto ha ricominciato a ingranare ma sono stato anche impegnato con le audizioni per le band del Wacken Open Air. Ciò nonostante, abbiamo avuto un po' più tempo rispetto ai due dischi precedenti per i quali invece avevamo dovuto completare il tutto molto più velocemente. Basta pensare che per il mixaggio finale di "Rapid Foray" abbiamo avuto ben tre settimane grazie a cui è stato possibile affinare il sound di ciascun pezzo e renderlo unico. Questo è uno degli aspetti che ha reso speciale questo ultimo lavoro.

 

C'è una canzone di "Rapid Foray" in particolare che credi verrà amata di più dai fan?

 

Beh sai, credo che questo album abbia davvero un forte carattere. Naturalmente abbiamo già avuto delle buone reazioni sia dalla stampa che dai fans. Quello che è diverso dal passato è che invece di indicare tutti una, due canzoni, stavolta ognuno ne preferisce una diversa. Trovo una reazione del genere molto buffa ma al contempo positiva. È come se su questo album ci fosse una canzone per ciascun ascoltatore!

 

Credi che questo ultimo lavoro sia il migliore dai tempi di "The Brotherhood"?

 

Si, credo sia un grande album. Lo considero come una sorta di dichiarazione di quanto i Running Wild hanno ancora da dire nel 2016. Credo che sia il meglio che possiamo trasmettere del passato col meglio che abbiamo da offrire al momento.

 

Di recente hai postato un video su Facebook che voleva essere una sorta di presentazione del nuovo album. Concordi che i social network, al giorno d'oggi, siano l'unico modo per essere in costante contatto con i fan?

 

Sì, del resto, come sai non facciamo tante date live quanto le altre band. C'è stato naturalmente lo show a Wacken ma fu l'unico dello scorso anno. Poi ho dovuto occuparmi della promozione del disco e quindi di organizzare le date per i prossimi show. Ci vuole molto tempo per risucire a portare i Running Wild sul palco dato che ormai si tratta di un progetto solista e c'è dunque da arruolare gli altri musicisti. Il bello comunque è che, non appena siamo di fronte al pubblico, la coesione tra di noi è quella di una vera band perché è  proprio quello il feeling trasmesso. Ed è questo che abbiamo intenzione di offrire nel 2016 o, a questo punto, più probabilmente nel 2017.

 

"Shadowmaker" e "Resilient" uscirono ravvicinati mentre per l'ultimo lavoro il tempo di lavorazione è stato di tre anni. Oltre alle difficoltà conseguenza del tuo infortunio, la maggior gestazione è stata dovuta anche a un diverso processo di composizione?

 

Scrivere "Shadowmaker" fu un processo semplice. Tutto venne fuori in maniera molto veloce e chiara fin dall'inizio. Il primo materiale prodotto per quel disco fu il tentativo di scrivere delle tracce bonus di riedizioni di vecchio materiale e poi invece, vista la qualità delle canzoni, il tutto poi prese la forma di un album vero e proprio. Per "Resilient" invece il discorso è un po' diverso dato che era rimasto del materiale inutilizzato dal disco precedente e soprattutto avevo molte più idee.


Come è ben noto, la produzione dei Running Wild è sempre stata incentrata su testi ispirati ai pirati. Che cosa spinge un tedesco a parlare di un soggetto del genere?


Il tema piratesco ha sempre trovato orgine in quell'atteggiamento del: "faccio quello che voglio, faccio quello in cui credo." Questo è sempre stato il fondamento dei Running Wild, ispirato proprio allo stile di vita dei pirati basato sul fare soltanto quello che desideravano e agire in conseguenza al loro credo personale. Che poi è il modo in cui cerco di vivere io stesso, ovvero essere onesto rispetto a quello che faccio. E' questa la radice della mia produzione, non si tratta certo di scrivere questo tipo di canzoni solo perché gli altri se lo aspettano da me, quello non avrebbe alcun senso. Devo scrivere e suonare quello che sento mio. Poi ovviamente il mood di ogni album dipende dal periodo in cui è stato scritto. E' sempre una dichiarazione di quello che sento, di quello in cui credo. Non puoi stare lì a pensarci troppo o a preoccuparti di quello che ne penserà poi la gente.


E riguardo l'origine di tutto questo? Al giorno d'oggi ci sono molte band che hanno seguito le vostre orme.

 

Quando abbiamo iniziato non è che ci siamo seduti a tavolino a con un piano ben preciso. Semplicemente stavamo facendo una jam session e in TV c'era la pubblicità del film "Pirates" di Roman Polanski con Walter Matthau. Fu così che andò, da lì partì tutto e poi è sempre rimasto il nucleo centrale della band. Così è nato il pirate metal di cui, come sai, i Running Wild sono sempre stati i pioneri e i principali esponenti, soltanto in un secondo momento altre band si aggiunsero con proposte simili.

 

Quale è la differenza tra la prima e la seconda era dei Running Wild, sia per quanto riguarda la tua carriera che dal punto di vista musicale?


Tutto si fermò il giorno in cui dissi a me stesso: "non posso più farlo". Non sentivo più lo stimolo dentro di me come in passato. Poi invece ai tempi di "Shadowmaker" tutto riprese a fluire, era come se mi sentissi rigenerato. Avevo anche un nuovo approccio alla scrittura delle canzoni che a quel punto nascevano così facilmente rispetto agli ultimi anni della prima era della bad. Non fu affatto difficile a quel punto, bastava che mi sedessi a suonare e le canzoni uscivano da sole. Si trattava solo di capire dove "Shadowmaker" e "Resilient" mi avrebbero portato. Credo che la risposta sia proprio in "Rapid Foray".

 

Purtroppo il tempo a nostra disposizione è esaurito ma, prima di salutarci, vuoi lasciare un messaggio ai tuoi fan italiani e ai lettori di SpazioRock?

 

Certo! Innanzitutto volevo ringraziare i fan affezionati e leali ai Running Wild che, già ai tempi di "Shadowmaker", dimostrano apprezzamento per il ritorno della band. Spero davvero che potrò ricambiare con nuove date live il prossimo anno.




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