The Darkness (Justin Hawkins)

Dall'Olimpo dell'Hard Rock nei primi Duemila al declino burrascoso, dalla perdizione in un pazzo ottovolante fatto di tour sold out, statue di Madame Tussauds dedicate e follie da rockstar fino al ritorno sulle scene, Justin Hawkins è oggi definitivamente riemerso dall'inferno insieme ai suoi Darkness, con uno stile di vita sobrio, dieta vegetariana, un look baffuto e soprattutto un nuovo album -Last Of Our Kind, il quarto della band- che uscirà il 1 giugno. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per tirargli fuori qualche curiosità a riguardo: eccovi la nostra conversazione!

Articolo a cura di Giulio Beneventi - Pubblicata in data: 28/05/15

Domande in colllaborazione con Gaetano Loffredo e Cristiano Veluti

 

Ciao Justin! Piacere di fare la tua conoscenza. E’ davvero un gran piacere poter parlare con te... voglio dire, con una delle poche vere rockstar dei giorni nostri! Come te la passi?

 

(ride) Oh, il piacere è tutto mio! Mi sto godendo la giornata, grazie.

 

Che ne dici di cominciare subito parlandomi del vostro ultimo album, Last Of Our Kind? L’ho ascoltato e devo dirti che l’ho trovato grandioso! Ottime canzoni, ben suonate, interessanti trovate.. ha tutto quello che serve per essere definito un grande album. Sono ora convinto più che mai che si tratti del vostro miglior lavoro da un bel pezzo a questa parte. Forse anche meglio di “Permission To Land” o comunque dello stesso livello! So che può sembrare un’esagerazione, ma  trovo queste composizioni molto più aggressive di quelle di “Hot Cakes”, oltre che differenti da quelle dei primi due album, in qualche modo superiori. Tu che ne pensi?

 

Penso che hai davvero ragione! Sono pienamente d’accordo con te. È qualitativamente superiore rispetto agli altri tre album. Voglio dire, mi emoziona ancora adesso che lo riascolto, cosa che non posso dire altrettanto per i tre precedenti: non mi sono mai più messo li ad ascoltarli. Questo invece è un lavoro di cui siamo più orgogliosi, forse perché l’ha prodotto proprio Dan [Hawkins, suo fratello] e quindi non ha influenze esterne. È proprio il nostro sound.    

 

Quali sono secondo te i punti di forza di questo nuovo album?

 

Prima di tutto, la quarta traccia “Roaring Waters”. È la mia preferita: ha un bel groove, è davvero scatenata. Mi correggo: più scatenata delle altre. E forse anche un po’ spettrale. Comunque, più in generale, penso che il piatto forte di Last Of Our Kind sia sicuramente il songwriting, molto curato.

 

Devo dire che anche a me è piaciuta molto “Roaring Waters” sin dal primissimo ascolto, come anche “Open Fire” e “Mudslide”. Davvero potenti, un po’ come tutto l’album in generale, che mi è sembrato essere un disco molto più “duro” rispetto al passato con dei potenti riff di chitarra e una sezione ritmica molto serrata! Puoi dirmi qualcosa in più sulla genesi delle tre canzoni citate?

 

“Roaring Waters” parla delle invasioni vichinghe dal lato occidentale verso il 1500. L’ho scritta in una piccola isola, Valentia Island [a largo delle coste del Kerry, Irlanda] dove ho lavorato molto per l’album. È molto influenzata dall’aspetto geografico e sociale di quell’area, nonché dalle storie che mi hanno raccontato le persone del posto. Mentre “Open Fire” è una canzone altrettanto molto interessante. Non ci ho messo tanto a scriverla: stavamo lavorando duramente su un arrangiamento complicato, ci stancammo e facemmo una pausa. Poi, dopo 8 secondi che riprendemmo ecco Open Fire. Probabilmente è uno dei nostri pezzi migliori, specialmente in un rapporto di complessità di arrangiamento/tempistica di scrittura. È la prova che non devi insistere più di tanto per scrivere grandi canzoni.

Infine, “Mudslide” parla -proprio come suggerisce il titolo- di un disastroso smottamento, la fine del mondo. Le placche tettoniche del nostro pianeta si spostano così tanto che la parte meridionale dell’America finisce per essere quella settentrionale dell’Inghilterra! Musicalmente, ha un groove particolare, e un buon riff. È stata anch’essa molto facile da comporre; la parte difficile era tutta nelle parti vocali, che poi sono il nerbo della canzone.

 

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In “Open Fire” avverto chiaramente qualche influenza degli Airbourne e dei Cult, soprattutto dall’album “Love”. Sono comunque dei modelli fuori dal comune, degli inusuali punti di riferimento per i The Darkness, sicuramente meno di Queen o Ac Dc. Sei d’accordo?

 

Direi di si. Personalmente, amo gli album della seconda metà degli anni ’80 dei The Cult. Non ti saprei dire bene se “Open Fire” ricordi più lo stile di “Love” o quello, per esempio, di “Sonic Temple”, probabilmente, è più semplicemente qualcosa nel mezzo, più vicino all’album centrale, “Electric” del 1987. Si, penso proprio che molte cose che abbiamo fatto siano influenzate da quell’album e, più in generale, dal modo di suonare di Billy Duffy [chitarrista dei The Cult], che io amo particolarmente. Nel riff iniziale è abbastanza evidente.

 

Dopo quindici anni è sempre interessante sentirti esplorare nuovi stili di canto, anche se rimango sempre innamorato del tuo “marchio di fabbrica”, il falsetto. A proposito, ne hai limitato l’utilizzo su questo ultimo disco, vero? È una scelta presa a tavolino?

 

Non so. Direi piuttosto che abbiamo imparato a capire cosa necessita veramente il pezzo per funzionare al meglio. Sai, io uso il falsetto a volte quando il pezzo non è abbastanza forte, la voce alta e squillante lo porta a essere più potente. Su questo album il materiale è talmente forte che sono totalmente libero di cantare come voglio, anche con un registro più basso. Ho speso molto tempo a cercare la giusta tonalità, ma alla fine ha funzionato. Comunque, grido ancora un bel pò quando ce n’è bisogno, questo è poco ma sicuro.

 

Per la prima volta Daniel appare anche in veste di produttore. È stato facile lavorare in sala con tuo fratello alla console di registrazione? Ti senti più a tuo agio con lui in quel ruolo?

 

Assolutamente. Del resto, per essere un buon produttore devi essere davvero consapevole di quello che stai effettivamente producendo e Dan lo è sicuramente. Penso abbia svolto un ottimo lavoro, tecnicamente sapeva cosa stava facendo e noi ci siamo fidati. Ci ha reso la vita più facile. E la cosa veramente bella è stata avere in quel ruolo una persona familiare, che ha permesso a tutti noi di rilassarci e di esprimerci più liberamente.

 

Pensi dunque che sia Dan il più saggio dei due, almeno in termini musicali?

 

Beh, penso che oggi siamo tutti e due saggi in modi diversi, con differenti tipi di approccio riguardo la nostra carriera.

 

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Non era davvero male la batterista Emily Davis. Come siete arrivati al suo allontanamento? Anche lei se n’è andata in circostanze misteriose” come successe a suo tempo per Ed Graham?

 

(ride) Si, più o meno. Amiamo Emily. All’inizio la volevamo davvero come batterista a tempo indeterminato. Purtroppo, quando ci siamo ritrovati a negoziare i termini del suo coinvolgimento con i The Darkness emersero diversi motivi che ci fecero capire che avevamo semplicemente diverse aspettative riguardo la nostra collaborazione. Sai, lei voleva fare altre cose e aveva diverse richieste personali con cui noi non ci sentivamo molto a nostro agio e viceversa, così abbiamo deciso di prendere strade separate.

 

Comunque Rufus è davvero forte, senza alcun dubbio! E poi, visto che molti in passato continuavano a chiamarvi a più riprese “eredi dei Queen”, almeno ora lo siete sicuramente un pò di più! Con lui dietro le pelli, i tatuaggi dei Queen, quella particolare attitudine che ricorda la band del buon Freddie...  Non è che i Darkness vogliono piazzare una nuova pietra miliare del rock n' roll britannico?

 

Chi lo sa, forse! Apprezzo molto l’energia che ci ha portato Rufus. È un ragazzo fantastico, di talento, di buon retaggio, ha dei bei jeans e non si lamenta del tatuaggio che ho di suo padre!

 

Ah già, e a proposito dei tatuaggi dei Queen sulla tua mano sinistra [Justin ha la riproduzione dei membri della storica band britannica sulle sue dita, presi da Hot Space], non è un po’ strano ora averne uno del padre del tuo batterista?

 

Si, forse è un po’ strano. Ma neanche più di tanto... Voglio dire, la vita è piena di stranezze. Questo è solo una sorta di tributo, un omaggio sincero a suo padre!

 

Approvo, Roger è un grande.

Si, è un gran batterista.

 

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Cambiando argomento: so che sei vegetariano. Astenersi dal mangiare carne animale è una scelta sana o etica? Condiziona in qualche modo la tua musica o il tuo modo di comporre?

 

Uhm, no, non proprio. Sai, ho cercato a volte di inserire nella mia musica dei testi riguardanti il rispetto del mondo animale ma non ha mai funzionato. L'essere vegetariano è una cosa che riguarda esclusivamente la mia persona e non ha niente a che fare col mio lavoro. Almeno io la vedo così: il fatto che io mi impegni a mangiar sano non influenza il mio lato professionale, perché è una scelta del tutto indipendente e strettamente personale.

 

È dal tuo ritorno con i The Darkness che stai mostrando un look decisamente diverso rispetto al passato, con questi baffi molto appariscenti stile Tre Moschettieri, dopo l’iniziativa di due anni fa di Movember [evento annuale che si svolge nel corso del mese di Novembre, durante il quale gli uomini che vi aderiscono -i Mo bro- si fanno crescere dei baffi]. È solo un’abitudine o per te è una sorta di maschera? Sai, come Paul Stanley, Gene Simmon ecc...

 

(ridacchia) No no, non è un travestimento. O meglio, non saprei, non ci ho mai pensato sai? Di sicuro, non mi immagino più senza. È che ormai ci sono troppo affezionato! Non so, forse dovrei tagliarli...

 

Ricordo di aver letto una tua frase da qualche parte riguardo i tuoi baffi: dicesti che ti proteggono dagli haters, come uno scudo.

 

(ora ride di gusto) Davvero ho detto una cosa del genere?! Beh allora in tal caso li terrò sicuramente!

 

Collegandomi allo stesso discorso sulla tua immagine e apparenza: c’è un Justin on-stage e un altro off-stage? Justin Hawkins sul palco è un particolare personaggio o sei semplicemente te stesso? Quale parte di te si dimena on stage, Yin o Yang?

 

Si, agli inizi della mia carriera c’era una sorta di rapporto Yin e Yang tra le dimensioni on stage e off stage. Sai, la parte più tenebrosa di me e l’altra. Ora c’è solo quella più luminosa. Solo lo Yang. Yang coi baffi (ride). No, aspetta è lo Yang quello bianco vero?

 

Credo di si!

 

Ok, allora penso che Yang sia proprio il termine che descrive al meglio la mia personalità. D’ora in poi puoi chiamarmi Yang. Yang Hawkins.

 

Ok, molto bene Yang! Hai compiuto da poco 40 anni, ma sei sempre in giro coi tuoi spandex e la solita attitudine rock n' roll. “Forever Young”, dicevano i Tyketto. Ma, guardandoti indietro, cosa pensi di avere di diverso dal tuo giovane alter ego del primo periodo?

 

Dopo quindici anni con la band, penso di essere in qualche modo oggi più che mai focalizzato esclusivamente sui The Darkness. In passato, nei primissimi giorni nel biz pensavo a mille cose: canzoni per pubblicità, film, poi i progetti solisti, esperimenti diversi ecc... Ci sono passato, ma ora non mi interessano più, non ne sento più il desiderio. Tutto quello che faccio ora è concentrarmi sulla band. Sai, sono appunto quindici anni più vecchio. Come dicevamo: “più saggio”.

 

C’è una canzone in particolare che ti descrive in questo momento? Una dei The Darkness e dei tuoi complessi da solista?

 

(ci pensa un minuto buono) Sai, non mi viene proprio in mente. Le parole ora non possono descrivermi! (ride)

 

Magari “Is It Just Me”? Amo quella canzone. E soprattutto il video. Sai, sono cresciuto guardando quei videoclip su MTV -gli unici decenti in quei maledetti giorni-, davvero spassosi!

 

Forse. Comunque ti ringrazio molto!

 

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Ok, andando verso la conclusione, per dirla à la Deep Purple .. Now What?! Cosa ci dobbiamo aspettare dai The Darkness nel futuro prossimo?

 

Stiamo lavorando su un documentario insieme a Simon Emmett, un brillante film-maker che ha già curato la regia di “Open Fire”. Per il resto, pensiamo di tenere vivo per ora il normale ciclo routinario: fai un album, giri i video dei singoli, vai in tour, suoni in grossi festival e poi fai un altro album.


Scherzando, un’ultima domanda (semi-seria): una volta dicevi di credere in a (crazy little) thing called love .. poi però subito dopo che è solo un sentimento, e che non è neanche la risposta. Che diavolo, fai come John Lennon? It’s Only Love e poi All You Need Is Love? Scherzi a parte, credi ancora nell’amore dopo tutti questi anni passati nello spietato music business?

 

Vivere in questo business richiede fede. Io ho fede: credo nelle persone e credo nell’amore. Si, ci credo ancora, è semplicemente fantastico, anche se a volte può davvero far male al c..o.

 

Ok e con questa abbiamo davvero finito! Justin, grazie del tempo che mi hai dedicato oggi. Ti faccio i miei migliori auguri per il tour che comincerà fra poco! Hai un messaggio da lasciare ai lettori di Spaziorock?

Grazie mille ragazzi per il vostro supporto. Ci vediamo fra pochissimo a Pistoia. Non vi deluderemo! Bye!




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