The Rainband (The Rainband)
Forte passione ed energia pura: The Rainband. La band di Manchester, ci racconta "Satellite Sunrise", il loro primo album.
Articolo a cura di Cristina Cannata - Pubblicata in data: 20/05/16

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Satellite Sunrise uscirà tra poco, l'8 aprile. Come vi sentite? Siete emozionati? Cosa vi aspettate, tenendo conto anche del fatto che questo è il vostro primo album?


Martin: Beh siamo molto entusiasti... abbiamo aspettato 4 anni per vederlo. Abbiamo fatto tanti concerti e abbiamo spesso pensato di poter rilasciare qualcosa, credo 2 anni fa...e quando abbiamo scritto il singolo 'Storm', abbiamo capito di avere il punto centrale dell'album già pronto, e abbiamo cominciato a scrivere altre canzoni subito dopo. Sono orgoglioso e contento di non aver fatto le cose di fretta, sono contento di aver scritto quello che volevamo dire, che l'abbiamo fatto come e quando volevamo, senza pressioni o altro, senza rilasciare qualcosa prima che fosse completamente pronto. Quando fai il musicista, quando sei un artista, devi essere fiero di riuscire a vedere ciò che hai dentro prendere forma, al di fuori.


Ditemi qualcosa in più circa questa vostra prima esperienza di registrazione di un album. Che differenze ci sono, ad esempio a livello di sound, rispetto ai vostri lavori precedenti e quali sono gli elementi che attestano la vostra crescita in termini musicali?


Martin: Siamo cresciuti tanto. Quando i The Rainband sono nati, avevamo un sound abbastanza classico: batteria, basso, chitarra e voce. Penso che quando ascolti brani come 'Storm' o 'Thoughts & Images', puoi vedere una certa evoluzione, la senti. Perchè ci sono 5 parti armoniche adesso, ed è un aspetto interessante, che rende le cose più dinamiche. Abbiamo cercato di mantenere il suono più "reale" possibile, oggi molto si fa con l'elettronica e io non sono un grandissimo fan della musica elettronica. Sviluppandolo nel modo in cui si sviluppa, credo che ci siamo mantenuti molto fedeli a noi stessi. Per me, personalmente, il modo in cui una canzone debba svilupparsi deve mantenere una certà "verità" e questa è la cosa più importante. Se non puoi suonare una canzone dal vivo, se non puoi suonare una canzone con una chitarra acustica, per me è una situazione strana. Dovresti sempre poter suonare una tua canzone con una chitarra acustica, su un violino o che altro, e questo dovrebbe essere abbastanza per capire se è una buona canzone o meno. E per molta musica che ascolto oggi, non sento la canzone, ma sento la produzione. E non riesco a capire questa cosa. Noi prendiamo ispirazione da band come The Who, Rolling stones, Beatles... e loro hanno scritto canzoni "classiche". Sono quelle canzoni belle e che restano belle in qualsiasi decennio tu le ascolti. Perchè sono canzoni belle.

 

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'Storm', appunto, è il singolo che ha anticipato l'album. C'è qualche particolare motivo dietro la scelta di questo brano?

Joe: Si, sicuramente il testo contiene dei concetti che ritrovi nell'intero album, e musicalmente è un pezzo davvero interessante. Contiene molta varietà, molte percussioni diverse, il modo in cui si va costruendo secondo me funziona molto bene. Credo sia una canzone che da un messaggio forte.

Martin: Una sorta di riflessione sul mondo oscuro in cui viviamo, noi come specie, il modo in cui siamo arrivati a questo punto. Il modo in cui minoranze tiranneggiano sulle maggioranze. Tu sei una normale persona, e hai da un lato il Regno Unito, dall'altro gli Stati Uniti, che ci comandano, che forzano cose e visioni su di noi. La speranza in 'Storm' sta nel fatto che il punto in cui siamo arrivati è comunque un problema creato dall'uomo, quindi deve esserci una soluzione creata dall'uomo. Dovremmo guardare indietro agli anni '60, agli anni '70, quando c'era molto più amore nella società. Il mondo moderno, invece, è così guidato dal potere. La situazione di adesso è come una bomba a orologeria, ci sono così tanti megalomani che guidano le nazioni al momento, e che mettono in pericolo tutti noi. Non possiamo andare avanti in questo modo. Il messaggio in 'Storm', che è un messaggio centrale nell'album, è una riflessione sul mondo, in qualche modo con una speranza, con un punto di vista positivo.


Siete particolarmente legati all'Italia, e a Marco Simoncelli, avete scritto una canzone per lui...

Martin: E' stato un grandissimo momento. Questa connessione con l'Italia era qualcosa che non ci saremmo mai aspettati. Tutto è nato dalla mia famiglia, in cui tutti sono fan sfegatati della MotoGP. Mio nipote, Jake, di sei anni, amava Marco Simoncelli. Voleva farsi crescere i capelli come lui. Marco è stata la prima persona che hanno visto morire. Non capivano perché non corresse nella gara successiva. Il primo verso di 'Rise Again' dice "Posso leggere nei tuoi occhi"... e io vedevo nei loro occhi, quando mi hanno parlato della notizia, quanto fossero innocenti, quanto poco capissero quel che era successo. Ho dovuto provare a spiegare, da zio, perché non avrebbe corso nella gara successiva. Quando abbiamo scritto 'Rise Again' eravamo già stati scelti per suonare a una gara di MotoGP, e l'avremmo suonata, come un tributo per Simoncelli, dicendo "questa canzone è per Simoncelli". Mio cognato mi ha detto "devi andare in Italia, devi incontrare la sua famiglia, devi chiedere loro il permesso per farlo. Non puoi semplicemente suonarla". Sono andato in Italia, ho avuto una conversazione col padre di Marco, Paolo Simoncelli, la fidanzata Kate, un mio caro amico Enrico, che conoscevo dai tempi dell'università, l'unica persona italiana che conoscessi... faceva da traduttore. Paolo Simoncelli ha detto soltanto "grazie a Dio non è una canzone triste. Hanno pubblicato tre canzoni-tributo qui in Italia, e sono tutte così tristi. Marco amava il rock, era felice, era carismatico. Questa canzone è perfetta per lui." Lui stesso mi ha proposto di usare la canzone come colonna sonora della loro fondazione. L'abbiamo pubblicata, devolvendo tutti i guadagni alla fondazione, abbiamo raccolto 35,000€. Non avrei mai creduto che qualcosa del genere potesse accadere, ma così è andata. E' nata questa connessione così speciale, sono diventato un ambasciatore della loro fondazione. La famiglia Simoncelli è come se fosse la mia famiglia italiana, vengo in Italia sei volte all'anno, vengo ospitato a casa loro. Passiamo dei momenti divertenti a causa del mio italiano e del loro inglese. Questa storia dimostra come la musica è un enorme mezzo di comunicazione, a volte viene dal cuore, e può farti costruire delle relazioni speciali, che non avresti mai potuto nemmeno immaginare.


Paolo Simoncelli, il papà di Marco, in memoria di suo figlio ha chiesto un minuto di rumore invece che un minuto di silenzio. Avvertite questa scelta come qualcosa legato al "potere curatore" della musica e del suono?



Martin: Credo che tu abbia ragione. Tutti i batteristi direbbero che sì, assolutamente, un minuto di rumore è meglio di un minuto di silenzio. Io non riesco a capire perché si facciano minuti di silenzio. Seguo il calcio, e ogni volta che c'è un minuto di silenzio durante le partite, mi accorgo che gli italiani fanno un minuto di applausi. E' una cosa che capisco di più, perché in questo modo celebri la vita di qualcuno. In Inghilterra, tendiamo a piangere la scomparsa di chi è morto, mentre gli italiani ne celebrano la vita. Ho imparato molto, riguardo questa cosa, con la famiglia Simoncelli. Credo che lui avrebbe preferito così. Il suono di quelle moto... era la prima volta che sentivo il suono di quelle moto da vicino. Ero completamente sordo, era come essere a Cape Canaveral mentre un razzo stava decollando. Sì, posso veramente capire Paolo, sono d'accordo con lui.

 

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Ritornando a parlare di voi, cosa vi ha "impedito" di pubblicare un album per 6 anni?
Joe: Volevamo essere sicuri che fosse l'album giusto. Avevamo quasi pubblicato un album due o tre anni fa, ma dopo una serie di discussioni abbiamo pubblicato due EP. Penso sia stata la scelta giusta, perché quest'album è molto forte, riflette meglio ciò che siamo come una band.

Martin: Ci sono molti album oggi come oggi, che hanno tre buoni singoli, poi altre tre canzoni buone, e poi altre canzoni nella media messe insieme per completarlo. Abbiamo ritardato così tanto la pubblicazione di "Satellite Sunrise" perché prima pensavamo che ci mancassero due o tre pezzi, e non volevamo metterci delle canzoni a forza soltanto per riempire un buco. Volevamo completarlo con i pezzi giusti. Da musicista a volte, sei completamente soddisfatto del 90% di una tua canzone. Ma quel 10% rimanente ti perseguiterà ogni volta che la ascolti. Sei sempre lì a pensare "manca una parola", o "volevo quel verso". Finisce che passi un sacco di tempo a ritornare sulle tue canzoni, sui tuoi testi. Con i Rainband finivamo in studio a passare giorni sulle chitarre, ad aggiungere strati su strati, e poi ci trovavamo a dirci "ma come la dobbiamo suonare questa cosa dal vivo? Ci vogliono 12 chitarre". Ma questa volta abbiamo cominciato a tenere di più in considerazione il ruolo di ognuno di noi all'interno della band, per pubblicare qualcosa di cui tutti fossero contenti. Credo che ci siamo riusciti alla fine, ed è per questo che ci abbiamo messo così tanto.

Pubblicare un LP è sicuramente diverso dal pubblicare un EP, per una serie di ragioni e una serie di "pratiche". Che differenze avete avvertito di più?


Martin: Ad esempio la promozione è su un altro livello, per un album ci sono tantissimi eventi promozionali a corredo. Ma mi piace, mi piace incontrare gente interessata alla tua storia. E' interessante perché non sai mai cosa può far scattare l'interruttore nella tua mente, per scrivere qualcosa di nuovo. E più gente incontri, più ispirazione ottieni, più la tua vita ottiene nuovi sapori, nuovi colori, perché impari tu stesso dalle persone che incontri. Quindi sì, sicuramente la promozione è diversa, ma è anche tutta la storia che c'è attorno che è completamente diversa. Un LP è un po' come un libro con la copertina rigida, qualcosa di più grande, di più concreto... qualcosa che deve essere un articolo completo, non soltanto un "work in progress".
In fondo un EP è soltanto una collezione di canzoni... non deve avere una storia, non deve avere un concept.


Parlatemi del vostro nome...è un nome molto "inglese"

Martin: Quando siamo venuti per la prima volta in Italia nel 2012, con 'Rise Again', era estate. Abbiamo suonato a Rimini, a luglio. Tutti ci aspettavamo che ci fossero tipo 33°. Quando siamo usciti dall'aereo, c'era una tempesta. Il concerto è stato cancellato ed è stato spostato a due giorni dopo. C'erano 8000 persone che avrebbero dovuto presenziare. Tutti ci dicevano "siete i Rainband, venite da Manchester... la pioggia-band, avete portato il vostro clima". Siamo diventati una barzelletta. E ovviamente noi adesso ci presentiamo con un singolo che si chiama 'Storm', e tutti ci dicono "ovvio, i Rainband, con la loro tempesta". Alcuni pensano che ci chiamiamo così perché veniamo da Manchester, una città con "molta pioggia sempre" (in italiano, ndr). In realtà, il nostro chitarrista si chiama Phil Rainey, e quando eravamo ragazzi lo chiamavo "The Rainman". E "The Rainman" è diventato "The Rainband". A lui questa cosa non piace perché non è un tipo egocentrico, uno di quelli che va a dire "guardatemi, sono fantastico". Ma abbiamo continuato a chiamarci così, perché in fondo Manchester è famosa per due cose: per la musica, e per il clima... e per il calcio, ovviamente. "Noi siamo tifosi del Manchester City" (in italiano, ndr). In ogni caso, credo che se prendi mille persone e chiedi loro "C'è questa band che si chiama Rainband, secondo voi da dove vengono?", credo che il 90% di loro risponderebbe Manchester.
Anche gli Oasis si chiamavano The Rain per qualche anno, prima di diventare grandi. Siamo molto orgogliosi dell'eredità della scena musicale di Manchester... non solo gli Oasis, ma anche gli Stone Roses, i Joy Division. Siamo orgogliosi della nostra città.
Un amico mio una volta è venuto in Inghilterra, per lavorare e per vivere, gli ho detto "ti mancherà il sole". E lui mi rispondeva "no, figurati, non sarà un problema". Un mese dopo era là che si lamentava "oh Dio, il tempo... 'ombrello' (in italiano, ndr)". E' proprio così.


Quali sono state le vostre esperienze prima di formare i Rainband?


Joe: Ero in una band insieme a mio fratello, che adesso è il bassista dei Rainband, e con il nostro precedente batterista. Questo nucleo poi è confluito nei Rainband. Prima sono stato coinvolto io e poi sono stato io a coinvolgere mio fratello.

Martin: Joe inizialmente è entrato nella band come un bassista. Quando ha cominciato a suonare le chitarre, Phil faceva soltanto le lead e Joe le ritmiche. Ma adesso tutti e due si scambiano le parti lead e ritmiche. E' un equilibrio che ha richiesto del tempo per essere costruito. Le dinamiche in questa band sono grandiose, secondo me. E' anche bello avere due fratelli all'interno della stessa band.
Sono stato anche in un'altra band, prima dei Rainband... mi sono sempre considerato uno scrittore di testi, e i Rainband sono una piattaforma perfetta per i miei testi. Non sono particolarmente coinvolto nel processo di scrittura musicale. Se qualcuno della band mi dicesse "voglio scrivere il testo di un pezzo", sarei il primo a dire "va bene, grande!". Ma penso che nei Rainband ognuno stia facendo il suo, stiamo migliorando musicalmente, stiamo migliorando dal punto di vista dei testi. Per ora funziona tutto perfettamente.

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Alcuni artisti, come i Muse, affermano che la fine dell'album è vicina perchè gli artisti sono più focalizzati sulla produzione di singole canzoni. Che ne pensate?

Martin: E' vero, ma penso che al mondo musicale moderno manchino le storie che ci sono dietro gli album. Non abbiamo il tempo per ascoltare un intero album, come si faceva ai miei tempi... è quello che ci impone la società. Credo che ci sia ancora tanto spazio per gli album, ma sono comunque d'accordo con l'idea dell'affermazione degli EP. Spesso, da band emergente, vedi i magazine che ti rispondono "no, no, noi non facciamo recensioni di EP, facciamo solo recensioni di album". Adesso che abbiamo un album, si stanno tutti di nuovo interessando agli EP.
In realtà io spero che la gente sia ancora interessata ai dischi, ai vinili...


Avete collaborato con tantissimi artisti, siete stati in tour con i Simple Minds, Kaiser Chief, Paolo Nutini. Avete anche suonato a Glastonbury. Com'è stato lavorare con artisti di tale levatura? Qual è stato il miglior momento?


Martin: E' interessante vedere come tutte le operazioni sono condotte, anche dietro le quinte, le preparazioni per i concerti. E' bello essere parte di ciò, anche solo stare guardare questi concerti di fianco al palco, guardare il pubblico che canta le canzoni. In questo modo si costruisce una grande esperienza, col passare degli anni, si raccolgono tantissime idee.
I Simple Minds, negli anni 80, probabilmente erano la più grande band del mondo, forse più grandi di quello che sono stati gli U2. I Kaiser Chiefs sono una grande entità almeno in Inghilterra. Paolo Nutini è un musicista straordinario, è straordinario per un ragazzo di 22 anni aver pubblicato due dischi di platino. E' molto simile ai cantautori degli anni Sessanta, è una persona che pubblica qualcosa soltanto quando è certo che sia la migliore possibile, qualcosa che possa resistere alla prova del tempo. Per me il suo album 'Caustic Love' è già un classico, penso che sarà ricordato tra 10 anni... specialmente una canzone come 'Iron Sky'.
Il testo di 'Storm' mi è venuto in mente una sera in Italia, in cui lui ha suonato 'Iron Sky': il concept della canzone è una riflessione sul mondo moderno, sulla tecnologia che sta prendendo il sopravvento su di noi, e su di noi che lo stiamo permettendo. E anche 'Storm' parla di questo, della tecnologia e delle persone che stanno governando il mondo.


Che piani avete per il futuro?


Martin: Abbiamo già delle canzoni pronte per un nuovo album, questa è un'esclusiva per SpazioRock. Abbiamo una canzone chiamata 'Gimme Your Love' che è una specie di mix tra Iggy Pop e i Black Keys. E' una canzone che puoi aspettarti di sentire in un club, un pezzo di cui sono molto entusiasta. Ho fatto pressioni a tutti per poterla mettere su quest'album, ma me lo hanno impedito dicendomi che non era ancora pronta. Credo che torneremo a scrivere nuove canzoni in autunno. Sono molto entusiasta. Una cosa di cui sono certo è che devi essere entusiasta quando stai creando qualcosa... perché se non lo sei tu, nessun altro lo sarà sentendo la tua musica.


Avete in programma un tour in supporto a Satellite Sunrise?


Martin: Resteremo in Italia, faremo un concerto all'Hard Rock Café a Venezia, poi suoneremo a Piazza San Marco. Poi il nostro tour comincerà mercoledì in Inghilterra, la prima data sarà a Liverpool, all'Auditorium di Sir Paul McCartney. E' stato un invito che ci ha fatto personalmente l'istituto fondato da McCartney, per cui è un modo grandioso per cominciare il nostro tour. Finiremo il 29 aprile, quindici date dopo. Poi abbiamo qualche concerto insieme ai Kaiser Chiefs, insieme a Echo & The Bunnyman. Suoneremo in Italia ad aprire la MotoGP. A settembre torneremo in Italia per fare a Rimini un concerto per la fondazione Simoncelli, e poi faremo qualche altra data in giro per l'Italia.


Organizzate qualcosa per Milano...


Martin: Si, l'ultima volta per noi a Milano è stata con Paolo, al Mediolanum Forum. E' stato il posto più grande in cui abbiamo suonato..

Bene, il prossimo sarà San Siro...


Martin: (Ride, ndr.). Si, sicuramente.

Ma il Mediolanum Forum comunque è un posto particolarmente importante.. ci hanno suonato molti grandi, tipo i Red Hot Chili Peppers...

Martin: Oh, loro sono grandiosi. Ci hanno ispirato molto con la loro musica.. I testi sono fantastici e anthony Kiedis è un mito. Molte persone pensano che i Red Hot siamo solo un mucchio di tatuaggi, ma in realtà sono dei musicisti straordinari. Anch'io sono andato ad un concerto e mi son stupido di come loro riuscissero a creare quell'atmosfera, quello stile, quel sound..

Ok ragazzi, questa era l'ultima. Volete lasciare un messaggio ai vostri fan e ai nostri lettori?


Martin: Possiamo farlo in italiano?

Certo!

Grazie per tutto, grazie SpazioRock per questa intervista e grazie a te. Chiudo con un mio motto: l'importante è provare, sempre.




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