The Vintage Caravan (Alex Numason)
Il trio islandese The Vintage Caravan è tornato da poco sul mercato con il nuovo album "Monuments". Abbiamo avuto la possibilità di parlare con Alex Numason, bassista della band, che ci ha dato un'anticipazione sui tanto attesi tour per il 2022 e uno sguardo più in profondità su questa pubblicazione e sulla sua genesi, dalle prime influenze alle ultime sperimentazioni.
Articolo a cura di Lucia Bartolozzi - Pubblicata in data: 03/05/21
Ciao Alex, bentornato su SpazioRock!
 
Ciao! È bello rivedervi!
 
Comincio col farti i complimenti per il vostro nuovo album “Monuments”. Siete contenti del risultato e della risposta dei fan?
 
Che dire, il disco è stato accolto in maniera fantastica per ora. Abbiamo investito molto tempo e molte energie nella sua creazione, posso dire che sono estremamente felice del risultato. A questo punto nella nostra carriera mi sento di dire che sappiamo cosa vogliamo fare ed è sempre un piacere vedere i nostri sforzi ripagati.
 
Specialmente in questi tempi così bui, immagino. In proposito ho una domanda da porti: come hai vissuto questa pandemia da artista e in generale nella tua vita di tutti i giorni?
 
La fortuna è stata quella di aver finito di registrare prima dello scoppio dell’emergenza Covid. Molti si sono domandati se le nostre canzoni fossero state influenzate o meno da questa situazione, se i testi sono nati da questo isolamento. In realtà il Covid non ha nulla a che vedere col contenuto di questo album. Essendo una band continuamente in tour, non riesco a staccare mai dal lavoro. Direi che tutto questo è stato un grosso cambiamento nella vita di tutti i giorni. Per esempio, anche in sei settimane di pausa, in un modo o nell’altro ti ritrovi inseguito dal lavoro, devi fare richiesta per permessi, visti e per arrotondare lavoravo anche come tecnico per eventi. La cosa buffa è che stavolta non posso né lavorare come musicista né come fonico, perciò possiamo dire che sono doppiamente disoccupato (ride, ndr). In conclusione, all’inizio è stato molto triste ritrovarsi in questa situazione, ma dall’altro lato siamo una band che negli ultimi tempi ha lavorato veramente tanto e duramente, al punto che ho pensato di accogliere questa pausa a braccia aperte. In questo momento sono anche riuscito a riprendere gli studi per diventare ingegnere elettronico, mi alleno facendo trail running e sto scrivendo un sacco di musica! C’è un nuovo progetto a cui sto lavorando e spero di potervelo presentare presto, probabilmente l’anno prossimo.
 
Si può dire che tu ti stia prendendo cura di mente e corpo!
 
Proprio così, mi sono ripreso tutto il tempo per me che non ho avuto durante i tour.
 
In un’intervista recente ho sentito Oskar (voce, chitarra) dire che lavorate meglio sotto pressione. Immagino ce ne sia stata molta mentre lavoravate su “Monuments”, prima col tour del 2019 con gli Opeth e poi con la pandemia. Raccontaci un po’ com’è andata.
 
In realtà l’essere sotto pressione ha più che altro a che vedere con la scrittura dei pezzi. Non siamo una band che scrive mentre è in tour, troviamo difficile trovare il tempo per confrontare le nostre idee a mente lucida. Eravamo tutti in tensione prima di andare in studio: avevamo tutto prenotato per gennaio ma non avevamo pezzi realmente pronti. Avevo incominciato tre mesi prima a dirlo ai ragazzi, ma alla fine abbiamo passato tutto dicembre e tutto gennaio in sala prove per cercare di trasformare le nostre idee iniziali in qualcosa di concreto. Abbiamo sempre un sacco di spunti ma se la canzone non è completa come idea, allora non ha senso investirci troppo tempo sopra. È un errore che abbiamo già fatto, credendo troppo ad esempio in un preciso riff e puntare tutto su una canzone, incastrandola nell’album e realizzando troppo tardi che magari altri pezzi erano migliori.  Sono stati 22 giorni non-stop in studio dalle nove fino dopo mezzanotte. I tempi non erano così ridotti prima del nostro album “Arrival”. Credo che fosse il 2013 quando decidemmo di scrivere il nostro album successivo ma poi siamo stati ingaggiati dalla Nuclear Blast che ha ripubblicato i nostri lavori precedenti e siamo andati in tour per quasi due anni. Alla fine, quando abbiamo registrato “Arrival” avevamo pezzi già pronti da tre anni, così li abbiamo cambiati e rimescolati, resi più freschi. Ho parlato molto ma la risposta finale che posso dare è che quando dobbiamo mettere giù dieci canzoni per un album, ce la mettiamo tutta anche a dispetto del tempo.

vintagecaravan2021_01

Stavi parlando di come un pezzo ha bisogno di trovarsi in armonia con gli altri in un album, di come magari un riff vincente non per forza risulti in un pezzo vincente. Questo concetto di coesione è stato importante per il nuovo album? Insomma, già dal titolo viene da pensare a ogni pezzo come un monumento a sé stante, ma l’equilibrio c’è.
 
Ti ringrazio! Non posso dire che da parte nostra ci sia stato un tentativo conscio di pensare alla coesione, ma sono contento di come si è evoluta la situazione. Credo che il miglioramento sia dovuto a come abbiamo lavorato per scrivere i pezzi, ma soprattutto al produttore con cui abbiamo lavorato. Ian Davenport è veramente pieno di talento e l’aver già lavorato con lui ci ha aiutato stavolta. Ci conoscevamo già bene ed eravamo insieme in questo studio in Islanda, il più vecchio e il più fornito dell’isola. C’era così tanta attrezzatura che pareva il paese dei balocchi! Credo che tutto questo abbia giocato sulla qualità e sulla coesione dell’album e come dicevo prima, un solo riff non fa un gran pezzo. Dev’essere davvero un matrimonio di mille elementi. Porto un esempio: ”Dark Times” è stata scritta perlopiù da Oskar ma abbiamo avuto problemi con la parte centrale, al punto da farmi pensare di non includerla nell’album. Le altre due parti erano perfette, ma non valevano niente con un pezzo debole al centro. Ci siamo sforzati di lasciar fare le canzoni, farle evolvere da sole sperimentando con alcuni dei nostri pezzi più pesi ma anche dei più leggeri.
 
Al momento avete pubblicato tre singoli e tre video. Volevo parlare del videoclip di “Crystallized” e del concetto da cui è nato. Ho visto dei VR e un sacco di cose grottesche, non so se questo abbia a che fare con l’isolamento, magari non da Covid come ricordavi, ma comunque sia per mano dei nuovi media.
 
Può essere letto in più di un modo, sicuramente l’isolamento non è solo frutto della pandemia. Si pensi al Giappone, in cui l’epidemia di solitudine va avanti da anni. Quanto è triste che qualcuno muoia di solitudine? L’idea per il video è del regista, ma direi che per noi è stato molto strano girarlo.
 
In realtà credo che il testo sia stato ispirato da vari incidenti accaduti in Islanda, vero?
 
Esattamente, riguardo a dei turisti. Quando eravamo in studio ci sono state molte tempeste. Il tempo qui cambia bruscamente, essendo un’isola. Abbiamo un sistema nazionale di allerta dal giallo al rosso e mentre registravamo ci sono stati due allarmi arancioni e addirittura uno rosso, cosa che non capita mai. È stato molto "brutal" (ride, ndr). A proposito degli incidenti, una coppia cinese è andata a visitare il luogo di un disastro aereo accaduto qualche anno fa, come fanno tanti turisti. Molti vengono qui con i propri amici o i propri cari, per fare una vacanza romantica, ma il fatto è che in Islanda ci sono molti pericoli. Il tempo, come dicevo, cambia da un momento all’altro e sono finiti dispersi. Accade spesso che in una spiaggia molto famosa qui anneghino molti forestieri, non conoscendo le correnti e il modo in cui le onde possono cambiare. È una cosa terribile ma molti non si curano dei pericoli, pensando alla vacanza.
 
Parlando delle tue ispirazioni viene da citare sicuramente Cream, Rush, Black Sabbath, Led Zeppelin, Gentle Giant… Fra le band più moderne diciamo, a chi ti sei ispirato?
 
Hai nominato tutti i più importanti direi, ma per dire la verità i miei genitori sono più giovani dei genitori di Oskar: lui è cresciuto a pane e Sessanta/Settanta, mentre in casa mia c’erano gli Alice In Chains, i Metallica coi loro primi quattro album, che mi regalarono a sei anni. Credo che si formi un certo equilibrio di influenze diverse fra me e Oskar, poi c’è Stefan (batteria) che porta alla band l’elemento più heavy, avendo suonato come me death metal ma nel suo caso anche un po’ di black. Abbiamo anche elementi funk, hip-hop… direi che siamo un calderone di cose (ride, ndr). Con quest’album ci siamo sentiti più liberi di esplorare queste varie direzioni e mi auguro che continui così.

vintagecaravan2021

Di nuovo parlando di ispirazione: Oskar ha fondato la band quando aveva undici anni ed eravate tutti molto giovani. Sicuramente l’emulazione è un punto di partenza per molti, ma come siete arrivati ad avere un vostro sound?
 
Credo che sia venuto in modo naturale, esplorando ed esplorando. A questo punto abbiamo già scritto un sacco di pezzi e ci conosciamo ormai da tanto e tutto questo aiuta a diventare più uniti dal punto di vista artistico. Per “Monuments” in particolare abbiamo trovato un nuovo sound abbattendo un po’ la barriera che avevamo verso la sperimentazione, in un certo senso. C’è sempre un po’ di titubanza, è normale. Suoniamo e viviamo insieme per la maggior parte dell’anno e c’è altro lavoro che non si vede dietro tutto questo, perciò è importante essere così in armonia. Non sembra nemmeno più di fare fatica per trovare la nostra via.
 
Speri in altri cambiamenti come artista? Cosa ti aspetti dal futuro, anche per il tuo nuovo progetto?
 
Credo ci sarà sicuramente un ulteriore sviluppo, sia nei nostri prossimi lavori come Vintage Caravan ma anche per il mio progetto. Voglio approdare verso nuovi lidi musicalmente parlando e so che non è uno degli elementi prediletti dal rock, ma vorrei sperimentare di più con i sintetizzatori. Ci ho giocato un po’ in quest’album, spero si senta e venga apprezzato. Ovviamente, non voglio che il synth diventi il centro di tutto ma intendo incorporarlo, così come ciò che ho imparato nell’ambito della produzione. Non so cosa i riserverà il futuro ma mi auspico un prossimo album molto più gestito da noi in termini di produzione e registrazione. È bello chiudersi in studio alla vecchia maniera e affrontare tutto in una sola volta, ma oggi come oggi si può registrare ovunque. Credo che ce la prenderemo più calma col prossimo lavoro. Questa nuova modalità oltretutto potrebbe farci risparmiare un po’ (ride, ndr), perché diciamocelo, essere artisti non è economico, specie per una band della nostra lega ancora.
 
Parliamo degli Opeth. Com’è stato fare un tour fra i teatri con loro? Riprenderete il tour con loro di nuovo in queste venue esclusive nel 2022, ma dicci, com’è suonare in un teatro?
 
Suonare con loro è stato una cosa fantastica, ma soprattutto è stato molto diverso suonare in un teatro. Ci siamo ritrovati in venues storiche, rispettate e omaggiate da un pubblico anche molto diverso dal nostro, oppure in veri e propri templi del rock come l’Olympia di Parigi, dove Hendrix bruciò al propria chitarra. Quanto può essere figo arrivare a suonare in posto del genere e potersene vantare con gli amici? L’esperienza col pubblico è molto diversa: ci sono le balconate, il pubblico è tutto in torno a te e perfino in alto. Sono cose da tenere a mente per cercare di coinvolgere tutti e sviluppare il concerto nel modo più vincente. È stato molto divertente, tanto che non vedo l’ora di ripetere l’esperienza. Stavolta cercheremo di visitare un po’ più l’Europa dell’Est, che abbiamo trascurato finora. È un peccato aver trascurato Polonia, Repubblica Ceca in passato e ovviamente l’Italia! Questa volta riusciremo ad avere più date, una a Milano e una a Ostia Antica, il che mi fa molto piacere. Tornando ai teatri, in termini di acustica ci sono stati posti magici per suonare il rock ma dall’altra parte ricordo ad esempio la Meistersingerhalle di Norimberga, un posto progettato per l’opera e davvero terribile per suonare… La cosa importante però è che il pubblico si è divertito un mondo, perciò perché lamentarsi?
 
Cosa ti aspetti di trasmettere ai vostri fan con questo nuovo album, in termini di un’esperienza? Durante la scrittura sono uscite fuori molte emozioni forti e molti momenti catartici, immagino.
 
Siamo sempre stati grandi fan del formato album. Anche nella mia vita di tutti i giorni, non sono uno da playlist. Di solito mi metto su un album e lo sento tutto, perciò come band abbiamo privilegiato questo tipo di viaggio, se si capisce cosa intendo. I testi sono nati da un momento complessivamente brutto per tutti e tre, perciò credo si possa sentire. C’è ad esempio il pezzo “Dark Times” in proposito. Abbiamo cercato non solo di scrivere un manifesto artistico vuoto, ma di privilegiare la connessione col pubblico. Per noi come band, condividere qualcosa di profondo è ben più importante di sbandierare davanti a tutti qualcosa di semplicemente bello. Senza il pubblico ciò che produciamo, d’altronde, non avrebbe senso. Senza spettatori, senza la connessione, saremo solo una band che prova su un palco in una stanza vuota. Molti hanno apprezzato il sentimento dietro a “This One’s For You” e “Clarity”. È bello ricevere messaggi da qualcuno che ha ricevuto il messaggio dietro la tua musica e sapere che la tua arte ha toccato i loro cuori.
 
Grazie mille per questa intervista. Comu ultima cosa, lasceresti un saluto ai fan su SpazioRock?
 
Devo innanzitutto ringraziarvi per l’enorme supporto che ci avete mostrato durante questi anni. Spero che tutto questo Covid finisca al più presto per trovarvi sotto il palco!



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