Guns N' Roses - European Tour 2010
05/09/10 - Mediolanum Forum, Milano


Articolo a cura di Marco Somma
Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto”. Per qualche motivo una frase tratta da non ricordo bene quale libro mi balza alla mente appena metto piede in macchina.

Sono le 9.00 di una domenica di settembre, il tempo non promette niente di buono e i siti meteo sulla rete, sembrano essersi messi d’accordo nel preannunciarmi acquazzoni per gran parte del pomeriggio. Armato di libri, lettore mp3 e una buona scorta d’acqua, mi metto in viaggio. Solo una breve tappa per dare un bacio alla ragazza e una per far benzina e si parte. Sorrido all'impressione di stare partendo per chissà quale viaggio sabbatico. In fondo però è proprio cosi… Diverse ore più tardi di fronte a me ci sono i cancelli blu del Filaforum, la scorta d’acqua è pericolosamente diminuita, uno dei libri finito e dietro di me si srotola una spaventosa colonna di persone. Devono essere migliaia, questo è certo, mi fermo a guardarli e per avere una visione d’insieme migliore mi arrampico come posso sui divisori che serviranno ad incanalare quel fiume. In piedi su quegli affari devo fare il funambulista per qualche istante (non di più, altrimenti rischio di rompermi la testa). Sono davvero un mare e la lingua di gente si srotola dalla mia postazione fino ad arrivare ai parcheggi. Butto un occhio alla tangenziale subito sopra e la colonna d’auto mi suggerisce che probabilmente la coda prosegue ininterrotta, dai parcheggi alla strada. Impressionante. Eppure chi si è fatto qualche concerto di nomi come Iron Maiden, Metallica o, ahimé, anche Ligabue sa che una tale massa non è poi cosi unica. Quello che è strano è la calma che vi regna. Nonostante la folla, non c’è calca, la gente non spinge, non urla e non schiamazza più di tanto. Qualche coro si solleva qui e là, qualche bandiera sventola insieme a striscioni e cartelli giallo canarino che si vedrebbero a un miglio di distanza: “Axl = God”. Tutto è pervaso da una strana atmosfera. Questa gente, come me d’altro canto, aspetta questo momento da un sacco di tempo, ha aspettato con pazienza un disco per la bellezza di quindici anni, sperando e confidando nel fatto che la loro “fede” verrà ripagata. Sulla stragrande maggioranza dei volti che riesco a vedere non c’è l’ansia del teenager che sta per vedere il suo idolo, quanto la serenità del seguace hippie che sta per incontrare il suo guru. Di nuovo mi torna alla mente quella frase che mi tormenta sin dalle prime ore del giorno. Dovrò attendere l’inizio dello spettacolo per capire che il mio tormento non è causato dall'Alzheimer né dal morbo della mucca pazza, ancora poche ore e mi sarà tutto chiaro.

Con un’oretta abbondante di ritardo finalmente i cancelli vengono aperti. L'attesa è fisiologica, nessuno se ne stupisce e ben pochi se ne lamentano. D’altro canto le voci sui ritardi nelle precedenti date del tour hanno permesso ai fan di arrivare preparati. Il fiume di gente si riversa nella struttura del Filaforum come la famosa cavalcata dei Rohirrim ne “Il Signore Degli Anelli”, paragone un po’ azzardato ma calzante per chi ha assistito alla scena. Per tutta l’ora successiva il pubblico corre e si giostra come meglio può per accaparrarsi i posti migliori. Quando i Murderdolls aprono la serata il forum è già ormai stracolmo. Quella dei Nostri non è certo una performance indimenticabile. Gigioni e fracassoni quanto basta per ingannare l’attesa, riescono comunque dove molti altri avrebbero fallito; non farsi scannare dai fan in attesa degli headliner. Ancora una mezz’ora d’attesa e finalmente le luci scendono e l’aria si carica di una tensione che ha un che di mistico. Eccessivo? Non direi, visto la quantità di respiri trattenuti intorno a me!

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Una figura armata di chitarra si profila in cima ad un soppalco. Stagliato contro un megaschermo che manda immagini psichedeliche, la figura discioglie note distorte e distanti. È l’inizio di “Chinese Democracy” ed il pubblico esplode in urla incontrollate. Nel chiaro-scuro del palco Axl Rose fa la sua comparsa e le urla si fanno per un attimo talmente assordanti da coprire gli strumenti. Impressionante, ma ancora più impressionante è sentire che l’unica cosa che riesce a sovrastare tutto è la voce di Rose, in un urlo ruvido e metallico sembra voler dire a tutti: “Sono tornato!”. “Chinese Democracy” infiamma la gente che contrariamente a quanto mi sarei aspettato la canta a gran voce, l’onda emotiva è innegabile e la band pare essere in gran forma. Appena il tempo di metabolizzare che finalmente i Guns (i nuovi Guns, per la precisione) sono finalmente lì di fronte a noi, e la band decide di buttare benzina sul fuoco: “You know where you are? you're in the jungle baby! you gonna dieee…”. “Welcome To The Jungle” ha l’effetto di un fallout nucleare visto dalla prima fila. Mette a dura prova la struttura del palazzetto e crea una specie di varco spazio-tempo che ingloba palco, forum e diecimila persone. Seguono “It’s So Easy” e “Mr. Brownstone” e ogni reticenza, ogni dubbio viene fugato. Tutti i timori e le perplessità sulla capacità dello storico vocalist di tenere un palco ed incantare la gente vengono spazzati via. Cosa incredibile lo stesso vale per il resto della band. Non si tratta semplicemente di amarcord, la sensazione di trovarsi di fronte ad una semplice operazione di “recupero” forzato per racimolare soldi non lascia neppure una pallida traccia. “Sorry” è il secondo estratto dal nuovo LP dei Guns. Una ballata che trasuda un romanticismo d’altri tempi. Fino a qui l’esecuzione migliore; Rose usa la propria voce in una maniera che non lascia spazio a detrazioni. Potente, calda e sanguigna lascia il pubblico appeso ad ogni singola strofa. A questo punto Rose lascia il palco a Richard Fortus, che introduce la successiva “Live And Let Die” con una rivisitazione, neanche troppo personale ma decisamente convincente, del tema di 007. Seguono “This I love”, terzo estratto da “Chinese democracy”, e “Rocket Queen”. Siamo a poco meno della metà della scaletta in programma e anche le ultime preoccupazioni da parte dei fan si sciolgono come neve al sole. Quali preoccupazioni? Beh, quelle legate al carattere umorale di Axl, capace di sospendere concerti per una bottiglietta lanciata sul palco e rifiutarsi di tornarvi preferendo rimborsare il costo del biglietto piuttosto che continuare la serata. Eccessivo? Forse, ma è capitato solo pochi giorni prima.

Fortunatamente Rose pare al massimo della forma (anche se sembra ancora appesantito) e di ottimo umore. Raccoglie tutto ciò che riesce, striscioni, bandiere e braccialetti che ripone ordinatamente da una parte per farne ricordo personale. Scherza con il pubblico, si scusa per l’impossibilità di utilizzare gli effetti pirotecnici causa divieto dei vigili del fuoco e invita il pubblico ad un “happy birthday” collettivo per un membro del management. Poi, da consumato uomo di spettacolo qual è, presenta l’amico di vecchia data Dizzy Reed a cui lascia pubblico e palco per una sonata di pianoforte da concerto classico. Nell’ora abbondante di spettacolo che segue c’è spazio anche per le sorprese come una cover di “The Wall”, un momento di nostalgia sulle note di “November Rain” ed una versione jammin’ di “Paradise City”, pezzo che nella sua veste più classica chiuderà poi la serata. Due ore e dieci circa di concerto, con un impianto scenico da musical ed un senso dello spettacolo al di sopra di qualsiasi paragone, se non forse con gli stessi Guns del passato. Ma anche in quel caso lo spettacolo non solo regge il paragone ma ne esce addirittura vincitore (non fosse per la tendenza ad indorare il passato). Gli errori non mancano, ma sono errori di maniera, non certo di sostanza.

Questi sono i Guns N’ Roses cosi come ci si aspetterebbe di vederli nel 2010. Una miscela di passato remoto e futuro imperfetto intesi non come tempi e modi verbali, ma come sostanza e concetto. I Guns di un tempo seppero raccogliere l’eredità di un hard rock sporco e seminale e portarlo ad un livello superiore, fondendolo con ogni genere di contaminazione possibile e impacchettandolo in uno stage che è passato alla storia e ha fatto scuola. I Guns di oggi sono andati ancora più indietro per ritrovare un modo di concepire lo spettacolo da vecchia Las Vegas, quella di Sinatra e Sammy Davis Jr., fatta di luci a pioggia, scalinate luminose, pianoforti a specchio e per completare il quadro, un Crooner vestito di giacca e cappello. Oggi come allora, la band di Rose getta le proprie reti anche nel futuro e così la giacca dal taglio classico del Nostro frontman si veste d’argento, i suoni si fanno a tratti elettronici, echi di industrial ed electro-wave si fondono con le linee vocali malinconiche e furiose ma sempre figlie del “Bel Canto”. Si parla ancora di denuncia sociale, di solitudine, di viaggi allucinati, di freddo interiore e di un mondo in fiamme. Ma questi nuovi Guns N’ Roses vanno capiti e forse quello che sono diventati ha un nome: cyberpunk. Se non sapete di cosa stia parlando, cosa più che lecita, e pensate che forse stia andando un filo fuori tema, vi faccio un piccolo sunto del concetto. Il cyberpunk è una corrente artistica nata nella prima metà degli anni ottanta, sottogenere della fantascienza. Il cyberpunk è un mondo dove la gente vive eternamente connessa, un mondo di alienazione, di multinazionali che reggono finte democrazie (“Chinese Democracy”?), di de-umanizzazione e malinconia per un passato corrotto ma ancora umano (“There Was A Time”?). Non ultimo, un mondo dove le star della musica e della rete sono venerate come divinità. I temi che un tempo la band anticipava, oggi li incarna alla perfezione. Uno dei maggiori esponenti del genere è un certo William Gibson, che parecchi anni or sono scrisse un romanzo, “Il Negromante”, che iniziava proprio con quella frase che mi ha fatto da tormentone lungo tutta la giornata. “Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto”.

guns_n_roses_livereport_2010_03Alla fine tutto si spiega. Forse sto vivendo i primi giorni di un’epoca della quale da ragazzino leggevo e tanto mi affascinava. Ora lo fa un po’ meno. Eppure, ho anch’io i miei idoli e non vi rinuncerei tanto facilmente, soprattutto ora che li ho ritrovati. I Guns N’ Roses non sono mai stati una semplice band hard rock come tante altre. Quello che fatichiamo a capire è che loro furono anticipatori, precursori di generi e mode. Parte di noi, dopo tanto silenzio, ha comprensibilmente finito con il legarli a filo doppio con il passato, con il glam e quella terra che fu di nessuno, a cavallo tra anni ottanta e novanta. Altri invece hanno saputo e voluto aspettare fiduciosi. Beh, per coloro che hanno fatto questa scelta è valsa la pena aspettare. La creatura di Axl Rose sono di nuovo i Guns n’ Roses, forse più di quanto non lo siamo mai stati. Ci saranno sempre detrattori e fedeli estremisti della Slash era, ma i Guns non sono rimasti fermi a quegi anni. Sono andati avanti, arrivati all’alba del cyberpunk, cosa questa che potrà anche non piacere. Di fatto ora sono di nuovo qui per sconvolgere chi ha la fortuna di ascoltarli e vederli; cosa questa musica non certo facile e scontata. Perché i Guns di oggi non si fanno pubblicità, niente videoclip promozionali o slogan su tv o rete. Forse perché Rose non vuole cadere di nuovo nella trappola del diventare un mero fenomeno di costume, come già accaduto molti anni or sono, perché uno dei principali mali descritti dalla letteratura cyberpunk è quello di una società dove l’immagine conta più della sostanza.

Nei nuovi Guns non c’è nulla di immediato o servito al tavolo, forse bisogna avere un minimo bagaglio culturale per accostarli e capirli (un bel cambiamento rispetto al passato) e fare non pochi sforzi per poterli avvicinare e magari riuscire a vederli dal vivo. Ma se si riesce nell'impresa, c’è chi è disposto a giurarlo, ne vale veramente la pena. Forse i Guns sono diventati un bene per pochi… O forse no… “Chinese Democracy” continua la sua scalata, con più di quattro milioni e mezzo di copie vendute al luglio 2010 e continui sold out da quattro anni a questa parte. Axl Rose regna ancora sul regno dei Guns N’ Roses, più popoloso che mai, vive in un modo che forse solo lui riesce a capire davvero, lontano dai media. Ma se amate il rock, quello vero e lo spettacolo come “solo una volta si sapeva fare”, allora il consiglio è di provare ad riavvicinarvi a quel regno. Potreste ritrovare quello stesso luogo magico, dove passare un po’ del vostro tempo.

Setlist:

Chinese Democracy
Welcome To The Jungle
It's So Easy
Mr. Brownstone
Sorry
Richard Fortus Guitar Solo
Live And Let Die (Paul McCartney)
This I Love
Rocket Queen
 
Dizzy Reed Piano Solo
Street Of Dreams
You Could Be Mine
DJ Ashba Guitar Solo
Sweet Child O' Mine
Another Brick In The Wall (Pink Floyd)
November Rain
Knockin' On Heaven's Door (Bob Dylan)
Instrumental Jam
 
Nightrain
Madagascar
Instrumental Jam
Paradise City


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