Nightwish, Pain, Volbeat
30/03/09 - Palabam, Mantova


Articolo a cura di SpazioRock

Report a cura di Francesco D’Arcangeli e di Elisa Bonora


Il 30 marzo è la data di un grande concerto. La data in cui i Nightwish hanno mostrato ancora una volta di essere (a parere di chi scrive) una delle migliori band in circolazione che ha saputo superare un momento (la rottura con Tarja) reinventandosi e cambiando come solo i grandi gruppi sanno fare.

L’acustica del Palabam non è delle migliori, purtroppo, si ha l’impressione che il suono sia più cupo e distorto, ma questo è un male endemico del nostro paese.

I gruppi spalla sono tre: le finlandesi Indica, i Pain dello svedese Peter Tägtgren,  e i danesi Volbeat. L’unica cosa che mi viene da chiedermi è: perché? Perché tre gruppi spalla (uno non bastava?), assolutamente slegati l’uno dall’altro e nessuno con un genere (rispettivamente pop-rock, industrial metal e crossover rockabilly-metal) che abbia a che vedere con i Nightwish?


nightwish_report_mantova_2009_02La mia domanda è destinata a non trovare risposta e ad essere spazzata via quando, alle 21.30 circa arrivano i Nightwish. E ci fanno capire subito che stasera si fa sul serio: dopo una breve intro strumentale di Tuomas e Troy Donockley a luci spente, parte (annunciata dai fuochi sparati verso l’alto, “marchio di fabbrica” della scenografia dei Nightwish) Seven Days to The Wolves, che la band esegue con energia e precisione, schiacciando subito sul pedale dell’acceleratore. Vediamo finalmente la scenografia, molto marinaresca con una enorme ancora a centro palco e la postazione di Tuomas su una vera e propria barca (come si addice ad un vero capitano). Il pubblico risponde prontamente con grande partecipazione grazie anche ad Anette (in versione bionda, bellissima e affascinante come sempre) e alla sua capacità di trascinarci tutti con il suo carisma e con l’ormai famoso “Hep! Hep!”. Si prosegue subito con Dead to the world, aggressiva, energica e dal ritmo incalzante, con un Marco dalla voce forte e aspra al punto giusto. Dopo questi due pezzi Anette ci dà il benvenuto e ci ringrazia per la prima volta e poi si riparte, rallentando appena rispetto ai due pezzi precedenti, con la splendida The Siren, piacevole sorpresa perché si tratta di uno dei miei pezzi preferiti, molto difficile, peraltro che Anette riadatta alla sua vocalità in modo eccellente e il risultato è... una vera sirena a cui neanche Ulisse avrebbe saputo resistere.

Dopo un breve tuffo nel “presente” di Dark Passion Play con Amaranth, uno dei brani più piacevoli dell’ultimo album è il momento di un nuovo tuffo nel passato, prima con la solenne Romanticide, introdotta da Marco con una battuta “Ricordate di dire alle vostre ragazze di depilarsi le gambe perché ciò è... romanticide” e poi con quello che per me rappresenta il punto più alto dello show, una sorpresa vera e propria: Dead boy’s poem. Un pezzo di un lirismo e di una bellezza sconfinati, qui interpretato in modo eccellente da tutta la band, ma soprattutto un vero capolavoro di Anette, toccante e intensa, con una voce angelica ma allo stesso tempo “terrena”, carica di emozioni e passione reale. Quando canta “Everything a wish for the night”  poco prima del solo è come se quelle fossero parole da lei stessa scritte, vissute, sofferte. L’assolo di Emppu si fonde con l’assolo di Walking in the air, forse uno dei più belli dei Nightwish almeno a parere di chi scrive.

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È ora il momento di tornare al presente, ma è un presente cupo come il passato che abbiamo lasciato, è il presente di Poet and the Pendulum, eseguita con grande fedeltà al disco, ma con anche una piacevolissima sorpresa: Anette che canta una delle parti riservata alla voce bianca (da “Sparkle my scenery...”). In questo pezzo gli effetti speciali sono sfruttati alla perfezione, ho apprezzato in particolare i coriandoli rosso sangue sparati sul pubblico subito dopo il “Save me!” subito prima dell’inizio di “mother and father”, ultima parte della suite che, come sempre, mi commuove: “Be still my son, you’re home...” questi sono versi di rara bellezza che solo una madre (come Anette) può cantare con il trasporto e la passione necessari.

È ora la volta della piacevolissima Nemo, e io come al solito spero che Emppu aggiunga qualcosa all’assolo dell’album, cosa che non accade, ma non importa: il pezzo è interpretato bene da Anette.


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Segue Sahara, in cui Anette dà ancora una volta prova delle sue ottime doti vocali permettendosi perfino qualche virtuosismo.
A questo punto Marco ci chiede di fare luce con accendini, cellulari o altro per preparare l’ingresso di un’ospite speciale, Troy Donockley (flauto e cornamusa in Dark Passion Play). Il palco si spegne e dopo una breve attesa parte The Islander, e l’atmosfera si fa raccolta e magica, protagonisti assoluti Marco (ottima prova all’acustica) e Troy, ma anche il pubblico che canta insieme a Hietala (che alla fine ringrazierà con un “Absolutely great singing everyone! Thank you!”). Anette arriva a metà canzone, completando con la sua splendida voce un pezzo già perfetto.

La canzone successiva è The Escapist, bonus track di Dark Passion Play, che confesso di conoscere molto poco, seguito dalla splendida Dark Chest of Wonders, ottimo pezzo di chiusura splendidamente eseguito dalla band e con effetti speciali particolarmente suggestivi: sia i fuochi d’artificio (sparati verso l’alto dai cannoni a lato palco) che le fiammate (in alto, alle spalle della band) partono a tempo con la musica.

La band ringrazia e ci saluta… ma solo per poco: qualche minuto ed eccoli tornare sul palco, è il momento di Ghost Love Score, l’ulteriore prova (se ve ne fosse bisogno) della grandezza dei Nightwish ma sopratutto della bravura di Anette. Perché questo non è per niente un pezzo facile, anzi, dal punto di vista vocale lo ritengo uno dei più complessi di Once. Ma Anette non si scompone e anche in questo caso reinterpreta il brano alla grande, senza temere confronti.

Chiude il concerto, come da tradizione per i Nightwish, Wish I Had an Angel, un’esplosione di pura energia e rabbia, con la band ancora in grado di picchiare duro come se questo non fosse il secondo bis ma il pezzo d’apertura. Dopo questa splendida esibizione è il momento della passerella finale e dei saluti della band. Grazie Tuomas, Marco, Anette, Emppu e Jukka per averci regalato una serata come non se ne vedevano da tempo. See you soon guys!

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Dopo il sold-out della data di Milano circa un anno fa, primo concerto in Italia con Anette Olzon alla voce, quello dei Nightwish nel nostro paese è veramente un ritorno in grande stile: il massiccio tour mondiale di Dark Passion Play, della durata complessiva di due anni, sta ormai per volgere al termine, e posso dire senza dubbio che la band si presenta ora in tutto il suo splendore e la sua forza, musicale ed emotiva. La mia impressione del concerto dell’anno scorso è stata già molto positiva, ma questa volta i Nightwish hanno dimostrato di essersi superati, di aver consolidato con grande maestria il sodalizio con la nuova cantante e di sapersi elevare al di sopra delle tante polemiche, che purtroppo non sembrano mai placarsi del tutto, sull’arrivo di Anette e il conseguente cambiamento di stile vocale rispetto al passato.

Con tutto il rispetto per i gusti personali di ciascuno, credo sarebbe giusto saper mettere finalmente da parte, una volta tanto, ogni sterile paragone tra Tarja e Anette, accettare il fatto che la band ha voluto fortemente questa virata di stile dal punto di vista vocale, e concentrarsi sulle tante grandissime qualità di questo gruppo che dimostra di saper mantenere il proprio stile unico, intenso e inconfondibile anche attraverso una costante evoluzione. I Nightwish sono un gruppo di cinque musicisti di grande personalità e talento, ciascuno capace di spiccare nel proprio ruolo dando un’impronta significativa ad ogni pezzo e di essere protagonista sul palco alla pari degli altri, e già per questo meritano la mia ammirazione; ma soprattutto i Nightwish sono lo specchio dell’anima del loro creatore e tastierista, Tuomas Holopainen, che in ogni singola nota, in ogni singola parola riversa e sublima le proprie emozioni più profonde, quelle forse più nascoste e impossibili da descrivere se non attraverso la potenza della musica. E ascoltando questa musica, molto spesso più che di fronte ad una band metal sembra di essere immersi mente e corpo in una maestosa colonna sonora di un film, di una storia fatta di tutte le immagini e di tutti i colori che questi brani sono capaci di evocare. Le influenze musicali e letterarie di Tuomas sono fortemente presenti nei suoi pezzi: da Hans Zimmer a Vangelis, da Shakespeare a Poe, è un piacere dei sensi e della mente lasciarsi sorprendere dalla maestria con cui Tuomas intesse tutti questi preziosi frammenti sigillandoli con il proprio personalissimo stile, malinconico e struggente ma potente allo stesso tempo. Il tutto avvolto da un maestoso e curatissimo arrangiamento orchestrale da lasciare a bocca aperta.

Personalmente ritengo che a Mantova sia andato in scena un concerto davvero azzeccato sotto tutti i punti di vista. La scaletta dei pezzi, a mio parere ottima, ha valorizzato le qualità di Anette che dal mio punto di vista (ma anche da quello della stragrande maggioranza del pubblico!), oltre ad un’ottima performance sui pezzi di Dark Passion Play, ha saputo interpretare anche i pezzi vecchi con grande stile e personalità, dando loro una nuova vita senza stravolgerne l’essenza e dimostrando le grandi potenzialità della propria voce. L’interazione tra i membri della band l’uno con l’altro e con il pubblico è stata notevole, dimostrando l’affiatamento della band e il loro divertimento sul palco e aggiungendo una grande carica allo spettacolo. La scenografia e gli effetti speciali, che forse ad alcuni possono essere apparsi un po’ esagerati, a mio parere si sono rivelati un’ottima cornice per una serata davvero intensa: dalla soffusa luce azzurra con la nebbia che avvolgeva pubblico e palco, da cui sono apparse le sagome di Tuomas alla tastiera e Troy Donockley alla cornamusa che ci hanno regalato la splendida “Finlandia” di Sibelius come introduzione al concerto, agli accecanti fuochi d’artificio che hanno sottolineato i momenti più carichi dello show, alla pioggia di coriandoli e di neve artificiale che hanno letteralmente sommerso il pubblico delle prime file, la sensazione era davvero quella di trovarsi dentro un film, in un paesaggio a volte misterioso, a volte cupo, a volte rabbioso ed altre carico di energia positiva, a volte dolce e malinconico…

È il paesaggio dell’anima, quello che Tuomas dipinge in ciò che compone, quello che l’ascoltatore più sensibile sa osservare con gli occhi del cuore.


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Setlist:

01. 7 Days to the Wolves
02. Dead to the World
03. The Siren
04. Amaranth
05. Romanticide
06. Dead Boy's Poem
07. The Poet and the Pendulum
08. Nemo
09. Sahara
10. The Islander
11. Last of the Wilds
12. The Escapist
13. Dark chest of Wonders


Bis

14. Ghost Love Score
15. Wish I had an Angel




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