European Killfest
09/03/11 - Live Club, Trezzo Sull'Adda


Articolo a cura di Marco Somma

Ci sono esperienze che lasciano il segno, e ci sono esperienze che finiscono con il plasmare letteralmente la materia di cui è fatta una passione.
Chi ha avuto la fortuna di assistere alla tappa di Trezzo dell'European Killfest ha provato sulla propria pelle almeno la prima delle due. Nell'ambito del Thrash classico come in qualsiasi altra corrente, ci sono date che tendono a rimanere impresse nella memoria della gente. Tal volta accade per perché in tabellone sono riassunti alcuni dei nomi storici del genere, tal volta perché le band sono in stato di grazia e talvolta semplicemente perché si crea un feeling perfetto tra pubblico e musicisti. In quel di Trezzo è accaduto l'insperato e tutti e tre i fattori sono venuti a crearsi in un amalgama di potenza, passione e trasporto assolutamente memorabili.
Se è vero che ogni report negativo, figlio di una serata girata male, è un dolore da scrivere e da leggere, è altrettanto vero che quando ci si trova a scrivere report entusiastici come questo si ha il timore di non essere presi sul serio. C'è sempre il rischio che ogni riga venga letta come il parto di una passione adolescenziale che si produce poi in eccessi di entusiasmo poco oggettivi e poco "professionali". Il fatto è che di tempo dai giorni dell'adolescenza per chi vi scrive ne è passato parecchio, le centinaia di band viste sui palchi più disparati hanno fatto la loro parte nello smorzare gli entusiasmi e riportare con i piedi per terra e oggi, che piaccia o meno, ci si ritrova ad ascoltare anche i propri bignamini con orecchio più disincantato. In forza di questa amara ma veritiera considerazione, non posso che sostenere la magnifica esperienza chiamata European Killfest. Ma a pensarci bene non è proprio questo lo spirito del genere? Brutale, disincantata passione.

 

Entrando finalmente nell'area parcheggi, dopo l'immancabile colonna sull'autostrada, ci appare subito di fronte un mare d'auto che non ci saremmo assolutamente aspettato. I nomi in cartellone sono si storici, ma non si tratta certo ci moniker divora classifiche come Metallica o Megadeth, eppure il successo dell'evento è davanti ai nostri occhi e la calca nel locale lo conferma senza ombra di dubbio. Noi per primi d'altro canto siamo ansiosi di sentire le forze messe in campo, e scoprire se sono ancora tutti all'altezza della propria fama o se le micce con gli anni si sono bagnate. Quando entriamo scopriamo con non poco dispiacere che ci siamo persi gli After All e una volta di più ci troviamo a imprecare contro il blocco intestinale delle autostrade. I cambi di palco sono velocissimi e gli Heathen non impiegano molto a monopolizzare l'attenzione. La band è decisamente in gran forma e seppure il frontman non brilli per la presenza di palco, si dimostra capace di compensare con un rapporto eccezionale con il pubblico che abbraccia con un calore impressionante e soprattutto con una performance vocale strepitosa. David White si conferma come il miglior vocalist della serata, cosa che ascoltando "The Evolution of Caos", ultima fatica degli Heathen, non faticavamo ad immaginare. Si tratta forse della band in assoluto meno prolifica del genere ma bisogna riconoscere che se scarseggiano in quantità eccellono in qualità e dal vivo spazzano via ogni dubbio o confronto con nomi molto più produttivi e sulla cresta dell'onda. Gli estratti dall'ultimo Lp hanno una presa straordinaria sui presenti, la fedeltà al lavoro in studio è assoluta, ancor di più arricchita da un'infinità di piccoli e preziosi arrangiamenti oltre ad una discreta accelerazione. Ci sono estratti da tutta la discografia anche se con quattro dischi all'attivo in ventiquattro anni non ci sarebbe potuto aspettare di meno. L'opener "Dying Season" rimane comunque il momento più sconvolgente dell'attacco frontale di White e compagni. Arriviamo alle battute finali caricati a dovere e speranzosi in un proseguo all'altezza.
Verremo accontentati.
Di nuovo un cambio rapidissimo, appena il tempo di scambiare due considerazioni veloci su quanto appena ascoltato e i Destruction fanno la loro comparsa sul palco. Se mai qualcuno dovesse avere la folle idea di trarre un musical da "The Texas Chainsaw Massacre", i Destruction sarebbero sicuramente la scelta più azzeccata. Delicati e melodiosi come una motosega poggiata con grazia sullo sterno dell'ascoltatore. Pare incredibile che siano solo in tre a calcare le assi in quell'ora scarsa di concerto, tutto musica e aggressione, regalataci dai thrasher tedeschi. La chitarra di Sifringer fatica un po' in principio ad emergere dalla pasta compatta della ritmica di basso e batteria, ma bastano un paio di pezzi perché le venga dato il giusto volume e cominci a mandare in sollucchero i tantissimi sostenitori della band presenti in sala. Se da una parte veniamo rapiti dall'incredibile determinazione che il trio riesce a infondere in ogni nota, dall'altra non si riesce a fare a meno d'essere colpiti dall'incredibile sostegno dei fan. La band è acclamata da un pubblico esaltato, rumorosissimo, che non si risparmia come non si risparmiano i loro beniamini. Francamente anche non amando il genere sarebbe stato impossibile rimanere distaccati di fronte a tanto trasporto.

 

Finalmente è la volta degli head-liner Overkill e a questo punto bisogna fermarsi un istante, non di più, per sottolineare che sono già state riversate quasi tre ore di Thrash duro e puro su un locale gremito di gente, eppure nessuno sembra minimamente provato.
Quello che segue è un concentrato di furia e follia thrash metal di altissima classe. Gli Overkill si confermano macchine trita riff spietate e inarrestabili e, passatemi il paragone forse un po' infelice, ma hanno l'effetto di una nuvola di coca sparsa su un pubblico in totale visibilio. In principio ho fatto alcune considerazioni riguardo alla scarsa oggettività e agli entusiasmi adolescenziali. Qualcosa di quei giorni, mentre Bobby "Blitz" Ellsworth si scatena sul palco, in effetti riemerge. Mi tornano in mente i momenti in cui in un salotto adibito a "sala musica" venivano messi sul giradischi i vinili di questa gente e la scarica di delirio elettrico mi lasciava esterrefatto. Le sere in cui, tra le note di "Master of Puppets" o "Feel the Fire", guardavo estasiato e al contempo vagamente impressionato le copertine tutte ossa, teschi e fiamme dell'inferno di dischi che oggi sono considerati pietre miliari del genere. Quella era una di quelle esperienze capaci di plasmare una passione. Di quei giorni ritrovo lo stupore e la semplice, viscerale, pulsione distruttiva. Risento quell'esaltazione prendere corpo e riconosco nell'opera di professionisti straordinari che, con la precisione di un metronomo, riescono a dare un senso compiuto agli istinti più violenti tradotti in musica in un'esperienza catartica.
Ma fermiamoci un istante a riflettere... No, scherzavo, con gli Overkill non c'è tempo per riflettere! Nel mare di classici da una discografia ciclopica e incredibilmente quasi sempre d'alto livello, emergono gli estratti dall'ultimo "Ironbound", in testa la tittle-track che la gente dimostra di amare e conoscere in barba alle perplessità lette qua e là sulla rete. A dar man forte ad un lavoro della band già eccezionale, dei suoni assolutamente perfetti fatta forse eccezione per la voce a tratti un filo bassa... ma è cercare il pelo nell'uovo.


In conclusione un concerto sontuoso!




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