Killing Touch @ Tempo Rock
16/05/09 - Tempo Rock, Gualtieri


Articolo a cura di Marco Ferrari

Report a cura di Marco Ferrari e Stefano Risso, foto di Simone Castelli

Devo ammettere che quando si ha l’opportunità e soprattutto la fortuna di vivere da vicino la genesi di un album, non si aspetta altro di poter vedere portate sul palco tutte le idee e tutti gli sforzi compiuti. E’ innegabile come la dimensione più vera per la musica sia quella live e credo che questa affermazione trovi d’accordo anche i Killing Touch, i quali non hanno atteso molto per proporre ai propri fan ed amici la “prima assoluta” di quello che da ottobre sarà il vero e proprio tour di supporto all’ottimo “One Of A Kind”.


La location prescelta, il Tempo Rock di Gualtieri, permette ai nostri di dare una doppia dimensione a questa loro prima esibizione: quella più professionale, garantita da un locale di primo livello, e quella maggiormente personale, che permette la raccolta di amici, collaboratori e fan conterranei, per una serata che si andrà a configurare più come una prova aperta al pubblico, che un vero e proprio concerto, senza per questo mettere la qualità in secondo piano.


Con una scenografia minimale alle spalle, il compito di aprire le danze viene affidato alla bella “The Touch”, in cui le doti tecniche del quintetto (sestetto per l’occasione, grazie alla presenza di un tastierista di supporto) sono di indiscutibile valore. In tal senso mi preme sottolineare l’ottimo impatto dei due “giovani” della band  (Davide Montorsi alla chitarra e Paolo Caridi alla batteria), che reggono senza imbarazzi lo scomodo confronto con le tre vecchie volpi con cui dividono il palco. A conferma delle primissime sensazione seguono “Mimiking Death” e “The Danger Zone”, quasi a voler sfruttare le suggestioni del disco nella ricerca di un percorso emotivo che possa condurre gli astanti su binari sicuri, prima di andare a pescare dal repertorio del passato più recente di Michele Luppi con la sorpresa di “Heaven Calling” (brano scritto dallo stesso Luppi e che originariamente doveva far parte del seguito di Strive) e la carica adrenalinica di “The Perfect Machine”, per il primo break targato Vision Divine. Il proseguo della serata vede l’alternarsi di momenti dedicati alla presentazione dei nuovi pezzi, a brani più diretti targati “visione divina” che però, per quanto applauditi e maggiormente conosciuti dal numeroso pubblico presente, sembrano non facilmente incastonabili in un contesto molto personale come quello dei Killing Touch. E così dopo il trittico rappresentato da “Falling Away”, “Walls Of Symphaty” e “One Of A Kind”, arrivano l’applauditissima “La Vita Fugge” e “Alpha & Omega”, nelle quali però l’utilizzo delle numerose linee vocali campionate non sempre risulta ben amalgamato alla cristallina voce di Michele Luppi e diventa, in alcuni frangenti, elemento di disturbo.  La chiusura della serata è affidata alla rocciosa “Thy Will Be Done”, che si conferma anche dal vivo una delle perle più splendenti del nuovo album, prima dell’accoppiata  “Black Ice” – “Wheel Of Fortune”.


La serata, musicalmente parlando, termina qui e nonostante i numerosi problemi di audio (il suono della chitarra di Davide Montorsi in certi frangenti scompariva misteriosamente), sono rimasto impressionato dalle doti tecniche della band che è riuscita nel difficile compito di riprodurre quasi alla perfezione quanto inciso su cd. La “prima assoluta” ha dato, quindi, indicazioni positive, ed ha offerto al numeroso pubblico accorso un show di buon livello, che però non ha espresso al meglio le qualità dei Killing Touch, fin troppo dediti alla ricerca della perfezione musicale a scapito della espressività, ma che avrà dato sicuramente molte indicazioni su quali aspetti migliorare, per far sì che la stella nata in un piccolo paese della provincia reggiana, possa trovare il proprio posto nel firmamento musicale.

Marco Ferrari


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In aggiunta a quanto detto poco sopra da Marco, espongo ora le mie riflessioni sulla bella serata trascorsa in quel di Gualtieri. Le mie parole vanno lette nell'ottica di chi non è ascoltatore abituale dei generi cavalcati dai Killing Touch, piuttosto di un amante della buona musica, curioso (come tutti i presenti) di saggiare il nuovo “One Of A Kind” in sede live. Devo dire che i dubbi riguardo la trasposizione dal vivo, nati durante l'ascolto dell'album, si sono ripresentati puntualmente. Per prima cosa bisogna mettere in conto che “One Of A Kind” non è propriamente un lavoro che si presta a esibizioni infuocate, vista la complessità dell'opera, da ascoltare necessariamente nel suo insieme e con calma. Inoltre, altro argomento spinoso, è la cura quasi maniacale di arrangiamenti strumentali e vocali, che destava “preoccupazione” per la prova dal vivo: come riprodurranno i brani in concerto? Come scritto in precedenza da Marco, la scelta fatta da Luppi e compagni è stata quella della riproposizione fedele dell'album, o almeno il più fedele possibile, il ché non è affatto un demerito, dal momento che la prova è stata buona, a dimostrazione della professionalità dei musicisti in questione.


Quello che mi sento di appuntare è, in fin dei conti, quella che è poi la mia personalissima critica al disco: la sensazione che sia stato tutto fin troppo studiato, programmato, mancando probabilmente di quella carica emotiva che, se su disco può anche venire meno, in un concerto non dovrebbe mai mancare. Carica che si è fatta viva nei pezzi dei Vision Divine, che in questo senso specifico, sono apparsi con una marcia in più. Probabilmente, il discorso potrebbe trovare una spiegazione nelle parole di Michele pronunciate durante il concerto: “Noi suoniamo quello che ci piace, senza pensare a generi e classificazioni” (parola più o parola meno, ma il senso è questo). Un disco che, come suggerito in sede di recensione, “dice più di quanto è necessario”, con il risultato di essere, a mio parere, poco coeso, il ché si ripercuote poi in sede live. Esemplificativa in questo senso è “Thy Will Be Done”, a metà tra “sperimentazione” e tradizione, un brano che dal vivo avrebbe potuto essere ben più incisivo.


Discorsi da redattore pignolo a parte, non posso altro che ripetere le parole di Marco sulle prestazioni dei singoli membri, precise e convincenti, con un plauso particolare al giovane batterista Paolo Caridi. A questo punto si presenta il problema più grande per una band italiana: raggiunto un alto livello nello stivale, è ora di fare i conti con l'estero. L'augurio ai Killing Touch è di non fermarsi entro i confini nazionali.


Stefano Risso


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