Gotthard - Need To Believe Tour
25/10/09 - Live, Trezzo Sull'Adda


Articolo a cura di Fabio Rigamonti

Articolo a cura di: Fabio Rigamonti, Davide Panzeri

Fotografie a cura di: Simone Castelli


Classe.
Ecco qual è la parola che risuona potente nelle mie orecchie il giorno dopo il live milanese degli svizzeri Gotthard, una parola che condensa con precisione assoluta tutto il Livereport che sto per descrivervi.

Vorrei cominciare dal principio: giungo sul “luogo del crimine” circa mezz’ora prima dell’inizio dell’evento, e già sono positivamente colpito dal copioso numero di occupanti del Live di Trezzo. Sono colpito positivamente perché se è pur vero che i consensi riscossi dai Gotthard all’estero sono comunque almeno 5 volte quelli riconosciuti attualmente nel nostro paese, è pur anche vero che le circa…direi 1500 persone del pubblico sono un segnale più che positivo su una risposta che, all’epoca del tour di “Domino Effect”, non era neanche immaginabile.
Parliamo quindi ora del locale, visto che è la prima volta che il “Live” di Trezzo sull’Adda compare nelle nostre pagine. Splendido, io non ho altri mezzi termini, magari meno sensazionalistici, per descrivere questa location. Una location che mi sconvolge per quanto poco sia utilizzata, visto che non ha nulla da invidiare a locali ben più blasonati, ed è pure logisticamente perfettamente accomodante, visto che si trova a pochissima distanza dal casello autostradale di Trezzo ed è dotato di un parcheggio che tende naturalmente a più infinito.

Ma passiamo ora alla Musica con la “M” maiuscola, colei che è stata l’indiscussa protagonista della serata.

gotthard_trezzo_2009_01Ad aprire le danze (puntualmente alle 21:30 come da programma) ci pensano i nostrani Clairvoyants: precisi come sempre, ed oramai di casa al Live di Trezzo, per l’occasione la band decide di non proporre alcuna cover degli Iron Maiden e dedicarsi esclusivamente alla promozione del loro debut album “Word To The Wise”, diritto più che sacrosanto, visto il potenziale dell’occasione unica di aprire per una formazione a dir poco importante come i Gotthard.
Sui Clairvoyants non ho nulla di particolare da riferire: a me la band piace e convince, un poco meno le loro canzoni, forse un po’ troppo disperse in una stramba “Terra di Mezzo” tra la diretta ispirazione Maiden ed un livello di scrittura più personale.
Se in sede live hanno maturato, come cover band della Vergine di Ferro, sufficiente padronanza del palcoscenico, esercitandosi ancora un poco di più nella scrittura arriveranno sicuramente a convincere con altrettanta decisione anche a livello di mera proposta musicale. Ad ogni modo, la loro funzione al Live è stata svolta più che egregiamente, scaldando a dovere la platea in attesa del main event.

Rapido cambio di palco, si accendono dei pannelli elettronici recanti la cover di “Need To Believe”, ed ecco esplodere sulle note di “Unspoken Words” i Gotthard! Subito ci si rende conto del carisma di Steve Lee che, oltre ad avere una voce stratosfericamente eccezionale (in un duello guitar vs. voice, condotto da Mr. Leoni, sarà Steve ad averla vinta…e non mi pare poco!), è anche un animale da palco eccezionale, un uomo che sa “fare l’amore” con il rock in un modo che mi ha ricordato, in più di un’occasione, Freddie Mercury.
Non che il resto della band sia da meno: Leo Leoni è la solita, istriona, rock star convinta, capace di suonare perfettamente la chitarra dietro la testa come se ce l’avesse davanti (è successo durante il concerto), e trova un partner perfetto nell’assoluta precisione del complice Freddy Scherer.
La sezione ritmica di Lynn e Habegger, poi, fa il resto nel restituire un quadro sonoro assolutamente pregevole, oltretutto ulteriormente incoronato da un bilanciamento di volumi praticamente perfetto, con l’omino del mixer stranamente dedito a dare maggior risalto alla voce di Steeve, piuttosto che alle chitarre.

La setlist della serata si è concentrata sull’ultimo album in studio “Need To Believe”, e la cosa non dovrebbe stupire visto che il fatto ci fu largamente anticipato anche ai nostri microfoni in sede di videointervista.
Le nuove canzoni, in sede live, convincono appieno, con “Need To Believe” e “Shangri-La” a farla da padrone.
Per i nostalgici, sono stati comunque molti i singoli di successo del gruppo appartenenti al passato, da “Hush” a “Sister Moon” (“Ho qualcosa di duro nei pantaloni….ecco cos’era!” proruppe Steve Lee estraendo la sua armonica dalla tasca. Semplicemente mitico!), fino ad arrivare al set acustico dove la scelta dei tre brani è stata fatta fare al pubblico.
Fa nulla se, così facendo, probabilmente i Gotthard si ritrovino, nel 95% delle occasioni, a fare sempre i soliti tre pezzi (sì, certo, “Heaven” è un must!).


gotthard_trezzo_2009_02
 

La seconda parte dello show prosegue liscia come l’olio sino all’apparente conclusione di “Lift U Up”, immancabile quindi l’encore dove, un po’ a sorpresa, è stata fatta dapprima “I Know You Know” da “Need To Believe” (dove Lee accusa il primo ed UNICO segnale di stanchezza di tutta la serata, non alzando di mezzo tono l’ultima esecuzione del ritornello), e quindi la naturale conclusione di “Anytime Anywhere”, uno dei singoli di maggior successo della band tratto dall’album che sicuramente ha venduto di più in tutta la loro discografia, ovvero “Lipservice”.

Non voglio rubare ulteriore spazio al mio collega Davide Panzeri per la stesura della sua parte del report, voglio quindi concludere velocemente ribadendo quanto ho detto all’inizio: classe, una dose esagerata di puro divertimento e tanto, tanto, tanto hard rock melodico suonato con tutti i sacri crismi. Ai Gotthard, onestamente, non si poteva chiedere di più, e forse era persino lecito attendersi qualcosa di meno. Fortuna che loro, invece, continuano a donare generosamente senza risparmiarsi nei confronti del loro pubblico, ed è per questo che sono, semplicemente, dei grandi.


Fabio Rigamonti


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Era la mia prima volta al nuovo Live Club di Trezzo D’Adda, ed era la mia prima volta coi Gotthard. Gli svizzeri mi erano sfuggiti in un paio di occasioni, ma questa volta li ho finalmente agguantati ed ho coronato il desiderio di vederli in sede live.

Elogio anche io la location dell’esibizione. Situato strategicamente poco fuori Milano e praticamente appiccicato all’autostrada , viene reso a parer mio, il miglior nuovo locale per organizzare concerti di un certo spessore.
Basta con i vari locali milanesi difficili da raggiungere a causa del traffico pazzesco del capoluogo lombardo, basta con i numeri circensi per trovare un modesto parcheggio su un marciapiede in tripla fila e basta con locali dalla qualità acustica quantomeno imbarazzante.
L’ampio parcheggio, la zona esterna del locale accessibile ai fumatori e non per prendere una boccata d’aria e la fisionomia del locale, promuovono a pieni voti il Live Club. Spero vivamente e ardentemente che venga preso più spesso in considerazione dai promoter come prima vera alternativa per concerti che non richiedano l’utilizzo del forum di Assago o del main stage dell’Alcatraz per eventi grossi.

Il menù della serata prevedete un antipasto di classico Heavy Metal nostrano preparato dai Clairvoyants, seguito dalla fumante prima portata di Hard Rock svizzero dei Gotthard.

I chiaroveggenti, famosi ai più come miglior cover band italiana (e forse del mondo) della vergine di ferro, sono freschi di pubblicazione di “Word To The Wise”, il loro primo album, e decidono a ragion veduta, di evitare di suonare pezzi degli Iron anche se questi avrebbero riscosso un sicuro successo. Non si può negare che la scelta sia stata oculata.
La loro esibizione scorre liscia senza infamia e senza lode, anche se personalmente ho ritenuto  la maggior parte dei pezzi poco incisiva e accattivante. Qualcosa mancava nella loro esibizione, e non mi riferisco alla tenuta del palco (quella va benissimo), non mi riferisco alla qualità tecnica e prestazione dei musicisti (pressoché ottima), ma alla fatidica scintilla che scoppia durante l’esibizione, rendendo quest’ultima empatica e coinvolgente.
Probabilmente il mio giudizio è offuscato da un’aspettativa differente, ma tutto sommato non posso negare che il lavoro di band spalla venga eseguito in maniera accademica.

gotthard_trezzo_2009_03Veloce cambio palco, viene montata la scenografia consistente in 8 pannelli luminosi e vengono provate la basi campionate per le intro di apertura e non (ricordatevi questa cosa, ci ritornerò sopra più avanti).
Need To Believe è l’album che gli svizzeri promuovono con questo tour, album che è stato osannato da molti addetti al settore (potete leggerne la recensione sulle nostra pagine) e che finalmente giunge in sede live.
Come è normale aspettarsi in questi casi l’apertura del concerto è compito di “Unspoken Words”, primo brano estratto dall’ultima fatica del combo elvetico. La band, lo si percepisce subito, è in palla, dimostra di essere a proprio agio sul palco e coinvolge pienamente il pubblico che canta a squarciagola ogni singola parola. L’inizio è folgorante, mi aspettavo di sentire un altro paio di nuovi pezzi, ed invece ci vengono proposti vecchi brani come “Gone Too Far” e “Top of the World”.
È il momento quindi di “Need to Believe”, title track che dal vivo emoziona per la carica emotiva che sprigiona.
E’ tempo quindi di altri due pezzi classici della band “Hush” e “Sister Moon”, che con i loro coretti rendono ancora più partecipe il pubblico. “Right From Wrong” , “Delay From Hell” e “Unconditional Faith” ci prendono per la manina ormai rossa per i numerosi applausi e ci conducono verso il mini set acustico messo in scena da Leoni e Lee. I due musicisti si siedono su due sgabelli con cuscini rossi altamente pornografici (come ribadito da loro stessi) ed eseguono versioni ridotte di brani richiesti dal pubblico quali “In The Name”, “Heaven” e “Lonely People”.
La cosa bella è che al 99,9% i brani eseguiti non sono stati scelti prima, ma effettivamente richiesti dal pubblico. Questa interazione non fa che aumentare la mia stima nei loro confronti.
Il migliaio o poco più di persone apprezza e cullato dall’evocativa intro strumentale viene introdotto a “Shangri La” a cui segue “The Oscar Goes To You”, pezzo in cui la band fatica più del previsto, e non mi riferisco solo alla voce di Steve, ma anche a tutti gli altri strumenti. La resa generale della canzone è al di sotto dello standard qualitativo a cui ci hanno abituato finora. Le tastiere, che qui hanno ampio spazio e importanza, faticano a riconoscersi se non in sporadici momenti. Poco male comunque, “I Don’t Mind”, “Now” e la curiosa versione di “Lift U Up” ci riportano a livelli esagerati. Vi ricordate quando accennavo alla musica campionata durante il cambio palco? Bene, una di quelle è stata per qualche secondo la parte inziale di Lift U Up. E chi se ne frega direte voi, l’avranno usata come intro. Si e no. Certo, è servita come intro, ma è stata usata anche per tutta la canzone tranne la parte finale, dove è stata sapientemente tolta e lasciato il compito di chiudere al batterista. Posso capire che per 4 minuti ripetere la stessa battuta può essere noioso, ma questa è una caduta di stile che mai mi sarei aspettato.
La band saluta e torna nel backstage salvo poi riuscire per i canonici bis affidati a “I Know You Know” e l’immortale “Anytime Anywhere”
Tra scroscianti applausi ed acclamazioni termina la serata, la band si congeda dal pubblico e ci saluta con affetto.


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I Gotthard hanno deliziato ancora una volta la platea italiana con il loro Hard Rock energico ed emozionante. Hanno tenuto in pugno l’intera platea per la durata della loro esibizione, arrivando a ordinare di lasciare i problemi fuori dal locale e di divertirsi e godersi la serata assieme a loro. Che dire se non “Mission Accomplished”?


Davide Panzeri


SETLIST:


-    Unspoken Words
-    Gone Too Far
-    Top Of The World
-    Need To Believe
-    Sister Moon
-    Hush
-    Right From Wrong
-    Delay From Hell
-    Unconditional Faith
-    Acoustic Set
-    Shangri La
-    The Oscar Goes To You
-    I Don’t Mind
-    Now
-    Lift U Up

Encore:
-    I Know You Know
-    Anytime Anywhere
 




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