Cristina D'Avena & Gem Boy Show
17/03/12 - Live Club, Trezzo Sull'Adda


Articolo a cura di Fabio Rigamonti

Ridendo e scherzando, sono già passati 30 anni nella carriera di Cristina D’Avena. In pratica, si può dire che abbia cominciato quando io sono nato, e non è affatto un caso se il numeroso, numerosissimo pubblico raccolto all’interno del Live Club di Trezzo fosse, rigorosamente, over 20.
Già, perché nelle numerose iniziative che coinvolgeranno la cantante romagnola nel corso di un anniversario così importante, di certo non rientra questo show ibrido con i conterranei Gem Boy, una consuetudine che dal 2009 arriva, ogni anno, a lambire ogni angolo d’Italia, sempre con una grande affluenza di pubblico di nostalgici dell’epoca d’oro delle sigle dei cartoni animati in TV, un’epoca in cui quanto proposto dalla d’Avena – e dai suoi fidati collaboratori – aveva una dignità musicale che non è neanche lontanamente paragonabile alle oscenità che vengono attualmente utilizzate come sigle per la moderna animazione su Mediaset.

 

cristinalivereport_2012_01
 

 

Ad ogni modo, è proprio con la precisa volontà di saggiare questa dignità musicale che mi appresto a seguire lo show di Cristina e dei Gem Boy. Vedete, la d’Avena l’ho incrociata numerose volte (che sia stato per un puro caso o meno, non è un mistero che intendo svelare in questa sede) lungo la mia vita in eventi gratuiti che, in quanto tali, non le ponevano una vera e propria band alle spalle, ma delle sterili basi midi, che sono sì funzionali ma non restituiscono certo un feel da concerto.
Invece, i Gem Boy, in questo senso, hanno funzionato più che a dovere, visto che di musicalità live l’evento cartoon al Live ne è stato ripieno, anche se non sempre con esiti felici.

cristinalivereport_2012_02Cominciamo col dire che lo show di Cristina D’Avena & Gem Boy è uno spettacolo ibrido e controverso.
Ibrido in quanto si utilizzano le sigle della d’Avena spesso come pretesto per far sì che la goliardia dei Gem Boy prenda il sopravvento; a titolo d’esempio, si prenda quando Carlo Sagradini ha interrotto l’esecuzione di Georgie proponendo quella che, a suo detto, era la versione originale (ovvero “Giorgio”, avventure di un trans brasiliano che voleva negli effetti distinguersi parecchio dai suoi pelosi fratelli), oppure quando la band ha innestato uno scatenato punk rock sulla dolcezza eccessivamente stucchevole di una “Piccola Bianca Sibert” o, in alternativa, proponendo alla d’Avena di cantare a suo modo una sigla davvero incazzata come “Ken Il Guerriero” (inutile dire che la resa della D’Avena è stata comunque adorabilmente leziosa, con un ritornello decisamente smorzato nei toni epici rispetto all’originale di Spectra).
Uno show controverso perché questi momenti non sempre sono ben riusciti, si veda il siparietto dedicato a “Kiss Me Licia” (resa in un’insopportabile versione swing, prima di un siparietto comico eccessivamente frivolo e gratuito) o la versione danzereccia di “Sailor Moon”.

Tra luci sfavillanti di un’epicità assoluta e qualche lieve ombra, le due ore piene di show sono passate scorrevoli e molto gradevoli, con un pubblico che, ovviamente, non ha lesinato in partecipazione, soprattutto su pezzi da 90 come “Lady Oscar”, le sigle dedicate alle Majokko (Creamy, Emi, Evelyn, Sandy, ecc. ecc.) e qualche chicca per intenditori (“Un Incantesimo Dischiuso Tra I Petali Del Tempo”, “Quando Arrivi Tu” dal serial tv di Kiss Me Licia).
Piccola nota sul repertorio: quello di Cristina d’Avena è talmente vasto ed importante, che chiunque dei presenti tra il pubblico avrà, inevitabilmente, maturato delle personali delusioni sul fatto che tale siglia X non sia stata inclusa in scaletta, e questo nonostante le versioni complete delle canzoni fossero un “lusso” dedicato ad alcuni titoli veramente importanti.
Quello che si vuole dire è che è davvero impossibile condensare l’universo sonoro di Cristina D’
Avena (e le serie animate che esso racchiude) in uno show di 120 minuti, per quanto veloce e dinamico esso possa essere, quindi accontentare al 100% il pubblico è un’impresa tutt’altro che fattibile.

 

cristinalivereport_2012_03
 

 

Con naturalezza quindi, tra grandi assenti e piacevoli sorprese, si arriva alla conclusione di “Occhi Di Gatto”, forse la sigla più venduta ed universalmente apprezzata della D’Avena, dove la Nostra, sinceramente commossa, ricorda il fatidico anniversario citato ad inizio articolo e ci esorta a non crescere, a coltivare sempre quell’innocenza che ci permette di godere di cose tutto sommato semplici come la sigla di un cartone animato, un espediente in grado di farci rivivere emozioni e ricordi che si credevano dimenticati.

Un’unica osservazione: mia cara Cristina, una sigla non è affatto una cosa semplice. O meglio: è una chiave piccola che, tuttavia, è in grado di spalancare un portoni di abnormi dimensioni. E noi te ne siamo grati per continuare a girare quella chiave da 30 anni a questa parte.




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool