Kasabian - City Sound Festival
19/07/12 - Ippodromo di San Siro, Milano


Articolo a cura di Alberto Battaglia

Seguo i Kasabian da quando esistono; dapprima lo facevo con ammirazione, in seguito con stima, adesso lo faccio con simpatia. Il grande pubblico, però, sembra aver fatto il persorso inverso. E' stato infatti il loro ultimo disco, Velociraptor!, la definitiva consacrazione popolare di questo gruppo innegabilmente accattivante. Anche se l'aumento della componente "pop" ha deluso in parte quegl' indie rockers che li avevano inizialmente sponsorizzati, la band di Leicester ha continuato a sfornare successi e a fare incetta di awards. Ma, quando si cerca di vendere i Kasabian come realtà strettamente legata al palcoscenico, si rimane un po' perplessi.  E' addirittura lo stesso leader Sergio Pizzorno a dichiarare che la sede live sarebbe la loro "maggior forza"; ma ieri, se escludiamo l'isteria della gente che fa sembrare tutto eccezionale, mezza prestazione è stata piuttosto fiacca.


La cornice è quella, ottimamente assemblata, del City Sound Festival, un evento che sta portando all'Ippodromo di San Siro nomi estremamente interessanti: dagli Stone Roses ad Alice Cooper, da Joan Baez a Marilyn Manson. Ad aprire le danze è un andrenalinico trio di Domodossola: i Monkey Weather, che convincono presentando un indie wave sporcato da qualche venatura grunge. La gente accorsa è numerosa, s'intravede un buffo cartelloncino con sopra scritto "Belin Sergio!" nella speranza che il chitarrista di origini genovesi colga questo conato d'orgoglio.

 

Nel complesso la prima parte dell'esecuzione manca di nerbo, complici le chitarre deboli, troppo, soprattutto in brani come "Underdog" nei quali sarebbero state fondamentali; sempre ottima, invece, la tenuta vocale di Tom Meighan, nonostante gli occhiali da sole notturni da vanesio patentato. Man mano, però, l'energia prende quota e dopo le sfiatate "Days are forgotten" e "Shoot the runner" arrivano in grande stile, dopo qualche pezzo,  "Where did all the love go?" e soprattutto "I.D.", quest'ultimo fra i migliori e meno considerati pezzi del repertorio. L'anima rock nei Kasabian, comunque, non è delle più spiccate e i brani migliori, anche dal vivo, sono quelli in cui è l'elettronica sinistra a prendere il sopravvento: rispetto allo zucchero di "Goodbye Kiss" o al brio un po' arido di "Velociraptor!" valgono mille volte di più "Vlad the Impaler" o la densa e oscura  "Switchblade Smiles" (entrambi questi due pezzi, infatti, fanno parte del convincente encore). A far passare queste osservazioni in secondo piano, però, è la natura stessa di questa scaletta che è, comunque venga suonata, una sequela di successi che accontenta abbondantemente i presenti: grandi salti per "Club Foot", cori collettivi per il loro capolavoro "Lost Souls Forever", groove a pacchi per la conclusiva "Fire". Infine si sprecano a molteplici riprese gli inni per il beniamino di tutti: "Sergio-Sergio-Sergio!"; probabilmente deve più questa calda accoglienza al suo cognome, o al suo look stiloso, piuttosto che alla sua (modesta) abilità come chitarrista.

 

Alla fine della fiera il concerto è dignitoso grazie alla ripresa durante il finale, ma la ragione per cui ammirare, stimare o avere simpatia dei Kasabian è e resta la creatività in studio, aggiunta a quelle melodie e a quegli arrangiamenti sempre frizzanti e accattivanti. Il riflesso di queste di queste qualità appare anche dal vivo, ma vive di rendita. Siano avvertiti quanti la prossima volta si aspettino un'esecuzione maiuscola; per i restanti, invece, il divertimento non sarà poco.




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