Damien Rice - Ferrara Sotto Le Stelle
27/07/12 - Motovelodromo, Ferrara


Articolo a cura di Eleonora Muzzi

Un uomo e la sua chitarra. Se dovessimo riassumere la musica di Damien Rice col minor numero di parole possibile questa sarebbe la frase più azzeccata. E sono sei paroline che si adattano perfettamente anche ai suoi live.


È una splendida serata a Ferrara, calda ma senza essere afosa, quando i cancelli del Motovelodromo si aprono per una delle ultime serate di Ferrara Sotto Le Stelle, rassegna musicale che dal 1996 segna l'estate estense. Privati purtroppo della location abituale, ovvero il cortile del Castello Estense, a causa dei recenti terremoti che hanno sconvolto la regione, tutti i concerti sono stati spostati appunto presso il Motovelodromo. Forse perde in suggestività, ma come luogo è addirittura più ampio e più semplice da raggiungere. Di fatto, il congruo numero di avventori entra con calma nell'area verde e si rilassa. C'è chi si va a rifocillare o chi invece punta un posto a sedere in modo da essere il più vicino possibile al palco. La scenografia è ridotta ad un niente, solo su un lato del palco si vedono due poltrone e un tavolino con una bottiglia di vino e un bicchiere. Una batteria, un amplificatore, le aste dei microfoni e un organo. Nient'altro.


Tra l'entrata e l'effettivo inizio del concerto passano oltre due ore, durante le quali si cerca di ingannare il tempo, finché le luci non si spengono e, accolto da un caloroso applauso, il cantautore irlandese sale sul palco con la sua chitarra a tracolla. Sorride timidamente e con un breve preambolo annuncia la prima canzone, “The Professor & La Fille Danse”. Senza aggiungere nulla suona “Delicate” accompagnato dal canto del pubblico. Sempre con calma e sempre sorridendo chiama un amico sul palco a suonare con lui in “Coconut Skins” seguita da “Fool”. In silenzio lascia la chitarra vicino al microfono centrale e sotto una luce soffusa si siede di fronte all'organo per “9 Crimes”. A questo punto, dopo cinque canzoni, Rice inizia a sciogliersi e a parlare un po' di più. Mentre annuncia “I Remember” confessa che ironicamente è la canzone che regolarmente dimentica. Che sia il testo, l'accordatura della chitarra o gli accordi, qualcosa dimentica sempre. Gli serve infatti qualche secondo per riuscire a raccogliere i pensieri e cantare senza doversi interrompere. Una volta terminata l'esecuzione, l'artista chiede se c'è qualche richiesta speciale e dopo due o tre voci che chiedono “Insane” decide che questa è una richiesta più che accettabile. Rice abbandona nuovamente la chitarra in favore dell'organo per “Accidental Babies” e per quelle che dovrebbero essere le ultime tre canzoni prega il pubblico di alzarsi e di avvicinarsi il più possibile al palco. Pare quasi che gli astanti non stessero aspettando altro. Si crea un piccolo ammasso di persone alla transenna e chi resta indietro sale sulle poltroncine in plastica per vedere meglio. Poi qualcosa di totalmente inaspettato. Chiede ai fonici di azzerare il volume del microfono e della chitarra e attacca a suonare completamente unplugged, con solo la cassa di risonanza del suo strumento come amplificazione naturale, e lascia che “Cannonball” sia cantata dal suo pubblico. Inizialmente un po' stupito e quasi timoroso di farsi sentire, viene spronato e almeno sul ritornello la voce di tutti è ben udibile. Un atteggiamento molto particolare ma anche un ottimo modo per coinvolgere gli spettatori. Una volta riaccesa l'amplificazione viene chiamato Joel Shearer sul palco. Si siede dietro la batteria e Rice attacca con “Woman Like A Man”, una delle b-side più amate. L'atmosfera si fa più rock, tramite pedaliera la chitarra acustica si trasforma in elettrica e per un secondo ci si dimentica che l'irlandese è famoso per lavorare principalmente in ambiente acustico. Su “Volcano” il pubblico pagante è finalmente sciolto abbastanza da farsi trascinare in un caotico quanto ben riuscito sing-along.


Dopo una pausa di pochi minuti le luci si riaccendono e Rice riappare sul palco per un lungo encore. La prima canzone è “Cold Water” seguita da “The Blower's Daughter”. I due brani messi in sequenza in questo modo ci fanno pensare a “Closer”, il film in cui appaiono e che ha dato una grande spinta alla carriera del cantautore. Inutile dire che sulla seconda il pubblico è andato in delirio. La ballad più famosa di Damien Rice è infatti una delle sue canzoni più apprezzate, e molti lo hanno conosciuto proprio con questa. Si arriva quindi all'ultimo numero del concerto, “Cheers Darlin'”, annunciata da un lungo racconto su come è nata la canzone e la storia che racconta.


Chiude così, dopo quasi due ore, la seconda data italiana di Damien Rice, che da solo riesce a incantare e intrattenere il suo pubblico e a renderlo più vivace, nonostante l'iniziale tranquillità che aleggiava tra le file di sedie. Un po' impacciato, probabilmente per la timidezza, calca il palco con la sicurezza di artista preparato, che sale sullo stage tutte le sere da dieci anni, al limite dello one-man show senza dar segni di cedimento anzi, buttandosi anima e corpo nella sua musica, reinterpretando e rivoluzionando i propri brani. Uno spettacolo sublime, per gli occhi e per le orecchie, e la dimostrazione che non servono grandi scenografie o luci e suoni imponenti per creare l'atmosfera giusta durante un live show, ma basta mettersi d'impegno e anche da soli si può stregare i propri fan.




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