Django Django European tour 2012
28/11/12 - Tunnel Club, Milano


Articolo a cura di Alberto Battaglia

Un solo album, mille qualità da mettere in scena. Le premesse sono proprio quelle di una meravigliosa storia d'amore fra loro, i Django Django, e il pubblico bohemienne-chic che ieri ha riempito il Tunnel Club. Le ragioni del successo riscosso dagli scozzesi sono prima di tutto musicali: anche se riusciste a immaginare nitidamente i Beach Boys a suonare con samples e tastiere ottantiane, non avreste comunque una fedele idea di quello che questi ragazzi hanno creato. Come una lega formata da svariati metalli il progetto di fusione psych-pop dei Nostri risulta solido e ben strutturata. E dal vivo possono sfoggiare, oltre alle camicie in fantasia, un buona capacità esecutiva senza avere ancora l'ombra della supponenza.

 

Come affermato nell'intervista che teniamo in serbo, i Django Django rivelano nella loro musica una quantità enorme di influenze dai periodi storici più lontani, mettendo in difficoltà ogni tentativo di nomenclatura: espressioni come kraut-surf-post-punk sono talmente strambe da esser perfette per definire questa sintesi dell'impossibile mostrata nell'album d'esordio.
Il concerto dispensa soprattutto allegria rock and roll: dietro il blocco di sintetizzatori Tommy Grace saltella e si esalta in tutto il suo carisma secchionico, mentre  Vincent Neff e Jimmy Dixon spesso e volentieri abbandonano le rispettive chitarre e bassi per giocare con sonagli e grattarole. Ma alla base di tutto questo bazar c'è una peculiare ritmica percussiva che fa da tratto comune a tutte le loro coloratissime composizioni: i Synth e spesso anche un beat programmato sono la struttura ritmica portante, alle spalle della quale David Maclean  suona con la batteria una trama di  rullate percussive più tribali che rock. In soldoni tutto questo si traduce in un'andatura molto trascinante e poco convenzionale, magari sentita in band sperimentali come Battles. Il fatto che su di essa, poi, si dispieghino le voci in puro stile surf sixties dà a questa base una fragranza spensierata che spesso l'elettronica non esprime. Ottimo esempio di coagulo folk-psych-electro-pop è "Skies over Cairo", nella quale le tastiere, programmate con suono d'annata, seguono gli accordi del più classico giro blues mentre vi suona sopra una melodia esotica e arabeggiante.


Peccato che sia proprio il loro brano migliore quello peggio suonato nella loro performance: "Default" arriva quasi alla fine, quando la voce di Vincent non riesce più a intonarla al meglio, inoltre la trama di effetti applicati in studio sulla voce non rende altrettanto bene dal vivo. Sebbene, poi, gli scozzesi non siano esperti intrattenitori riescono a coinvolgere il pubblico con la spontaneità e magari con quel po' di tenerezza suscitata dalle loro facce da ragazzi sin troppo bravi.


Ogni tanto fa piacere andare a un concerto "rock" e per una volta stupirsi soprattutto della musica e meno delle questioni di contorno. Evitando in conclusione le funamboliche definizioni di prima passeremo alle metafore; la musica dei Django Django è come un Long Island ben fatto: ha mille ingredienti, ma un gusto semplice. 




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