Cult of Luna, The Ocean, Lo!
23/04/13 - Bloom, Mezzago (MB)


Articolo a cura di Stefano Risso

Serata per intenditori quella di ieri nel piccolo ma storico Bloom di Mezzago. Con un numero di concerti sempre molto abbondante (almeno per chi gravita attorno al capoluogo lombardo) e con finanze sempre meno proporzionate alla sete di live degli appassionati, le motivazioni per essere presenti alla prima data italiana di Cult of Luna, The Ocean e Lo!, dovevano essere sicuramente molto forti, vista la posizione infrasettimanale dell’evento, la fine delle ostilità a orario molto avanzato (solidarietà a chi poche ore dopo sarà già in piedi ad affrontare la propria giornata) a cui si aggiunge la posizione decentrata del locale. In una parola, bisognava essere dei sostenitori. Non semplici curiosi o simpatizzanti, ma veri e propri fan delle band in questione, che certamente potranno dirsi soddisfatte del pubblico accorso a vederli. Sin dalle prime battute infatti, la sala davanti al palco era già animata da una’attenta e diligente platea, via via sempre più nutrita col passare dei minuti.

 

Tanto basta per l’inaugurazione della serata affidata agli australiani Lo!, giovane band inserita nel roster della Pelagic Records. Come potrete immaginare, le caratteristiche dei nostri virano tutte attorno a un centro di gravità, la desinenza “core”, a cui poi aggiungere varie specifiche a seconda dei brani e dei momenti dell’esibizione. Certo vedere la trasformazione in tempo reale del cantante Jamie, praticamente passato dai nostri microfoni al palco per direttissima, da ragazzo simpatico e mansueto a corpulento e scatenato frontman, è stato decisamente sorprendente e piacevole. Mezz’ora circa di spazio (sfruttato a dovere) per gli australiani, il tempo giusto di presentare qualche brano del nuovo disco uscito in questi giorni, “Monstrorum Historia” ed era già il turno dei The Ocean. C’era grande attesa per la band di Robin Staps, per prima cosa il nuovo album “Pelagial”, un nuovo concept sulle profondità marine (e non solo, vi invitiamo a guardare la nostra videointervista a breve sulle nostre pagine) e per ultimo per saggiare la prestazione, non solo della formazione intera, ma specificamente del vocalist Loïc Rossetti, ripresosi dopo alcuni problemi alla voce dopo la sfibrante serie di tour per “Heliocentric” e “Anthropocentric”, proprio alla fine della lavorazione di “Pelagial”, tanto che, come avremo modo di spiegare, il disco nasce in realtà in forma interamente strumentale.

 

theocean_foto_01Prestazione che dire energica è dire poco. I quattro membri “mobili” dei The Ocean si sono letteralmente mangiati il piccolo palco e le prime fila davanti a loro, non risparmiandosi in ampi headbanging, cambi di posizione, movimenti bruschi (da rischiare più volte la collisione l’un l’altro) e diversi stage diving lungo l’esibizione da parte di Loïc e Robin, continuando a cantare e suonare durante le gite sulle teste dei presenti e dopo essere letteralmente scaraventati sul palco. Dunque per rispondere ai due motivi di interesse sopra, possiamo dire di essere abbastanza soddisfatti. “Pelagial” si dimostra un grande album anche in sede live, da cui vengono proposte le ultime tre tracce, le più lente e oscure, "Hadopelagic II: Let Them Believe", "Demersal: Cognitive Dissonance" e "Benthic: The Origin of Our Wishes", insieme a "Abyssopelagic II: Signals of Anxiety" in versione strumentale, in cui il livello di maturità e sicurezza dei propri mezzi dei The Ocean si manifesta in modo palese, in grado di muoversi su più registri senza perdere mai la bussola. Per quanto riguarda la voce del buon Loïc il giudizio rimane in sospeso. Prestazione ondivaga la sua, non sempre perfetto nello spaziare da fraseggi urlati molto violenti a momenti più intimi e riflessivi, ma decisamente soddisfaciente. Visti i problemi di sound durante la loro performance, non possiamo però attriuire tutte le colpe al cantante... Esempio lampante la topica del fonico che si è “dimenticato” di aprire il microfono di Jamie dei Lo! e autore di diverse mancanze toccate un po’ a tutti i membri della band. Per il resto nell’ora a disposizione i nostri non si sono spinti oltre i due album precedenti, attaccando con una maestosa “Anthropocentric” e lasciando la chiusura alla doppietta “The Origin of Species”/”The Origin of God”. Semplicemente da manuale. Nel complesso grande prova.

 

cultofluna_fotoIl turno degli headliner non si fa attendere. La sala raggiunge la massima affluenza della sarata, una coltre di fumo riempie il palco e buona parte della platea, dopo una breve introduzione i Cult of Luna si materializzano sul palco con “I: The Weapon”, estratto dal recente, bellissimo, “Vertikal”. Il colpo d’occhio è notevole, caratteristica che si prolungherà (progressivamente con nuovi effetti) sino a fine serata: la combinazione tra fumo e luci crea un “effetto ombra” sugli svedesi, che appaiono come figure scure sul palco, algide, distanti. Contribuisce a creare l’effetto visivo anche l’interpretazione dei nostri, quasi sempre monolitici e piantati nella propria porzione di palco, fieri e perfettamente nel mood dei brani proposti. Meno appariscenti di chi li ha preceduti ma non meno spettacolari, anche e soprattuto per non tradire la solennità di quello che usciva dalle casse. Un suono potente e pulito, privo dei difetti riscontrati coi The Ocean, su cui la voce del frontman Johannes Persson, insieme agli altri contributi vocali, si stagliava con vigore inaudito. Pochi fronzoli e tanta sostanza, così potremmo definire la prestazione dei Cult of Luna, disposti simmetricamente sul palco, due file da tre col solo Persson in posizione centrale, in una scaletta che ha ovviamente privilegiato le nuove composizioni, vedi “Mute Departure”, “Vicarious Redemption”, diciannove minuti sfibranti e “in Awe Of”, pescando qualcosa dal passato con “Ghost Trail” (da “Eternal Kingdom”) e “Finland” (da “Somewhere Along the Highway”). La classe di questi musicisti, ormai meritatamente tra i big della scena, ci ha messo poco a conquistare il pubblico, mostrando anche in sede live tutte le qualità che possiamo ascrivere loro dalle produzioni su disco. Una prestazione fatta di tanti piccoli particolari apparentemente insignificanti, ma che una volta sommati alla conclusione dello show fanno la differenza tra semplici mestieranti e musicisti di levatura superiore.


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