Stratovarius - Polaris Tour
21/01/10 - Alcatraz, Milano


Articolo a cura di Daniele Carlucci

In una gelida notte invernale, dopo quattro lunghissimi anni di assenza, gli Stratovarius fanno ritorno in Italia. In questo periodo è successo davvero di tutto alla band finlandese: in particolare l’abbandono di Tolkki e i conseguenti problemi legali derivanti dalla paternità del nome “Stratovarius” hanno gettato il gruppo in una crisi dalla quale sembrava difficile riprendersi. E invece li ritroviamo ancora in piedi e a giudicare dall’esibizione regalata al pubblico dell’Alcatraz, sono ancora in ottima forma. Ma andiamo con ordine. Ad aprire la serata ci pensano due band del nord Europa: i finlandesi Tracedawn ed i tedeschi Mystic Prophecy. Per quanto riguarda i primi spiace dover rimandare ogni opinione dal momento che durante la loro performance ci trovavamo a video-intervistare Timo Kotipelto, mentre per i secondi l’impressione è quella di un gruppo dotato tecnicamente, ma che non convince appieno. Il pubblico fatica ad essere coinvolto completamente e partecipa a corrente alternata; in particolare risponde positivamente a “Evil Empire”, dal ritornello molto adatto alla sede live, e soprattutto alla conclusiva “Paranoid”, cover dei mostri sacri Black Sabbath. Per l’occasione si catapultano sul palco anche i Tracedawn, con in dosso solo un asciugamano a coprire le parti nobili; finale molto divertente, specialmente perché i musicisti sono i primi a godersi il momento, sprizzando gioia da tutti i pori come dei bambini in un parco giochi. Dopo il degenerante epilogo dell’esibizione dei Mystic Prophecy, ci si prepara ad assistere al tanto atteso ritorno degli Stratovarius.

Alle 21.10 circa si spengono le luci e nell’aria si liberano le note dell’intro di “Destiny”, durante il quale entrano in scena i componenti della band. Il palco concesso per l’occasione è quello minore, ma il pubblico dell’Alcatraz non sembra curarsene minimamente. Fin dalle prime battute incita a gran voce Kotipelto e soci, non risparmiando calore e trasporto. Per il gruppo, all’inizio, invece vi è qualche problema: i volumi non sono regolati a dovere, con la chitarra di Kupiainen troppo in ombra rispetto al bassista Lauri Porra e soprattutto con due o tre “stecche” di Kotipelto sugli acuti dell’opener. A scanso di equivoci, sottolineo immediatamente che sarà soltanto un unico episodio isolato in tutta la serata, per fortuna. Già, perché dalla successiva “Hunting High And Low” le cose si sistemano completamente e la performance sarà una progressione eccezionale. I fan, dopo solo due canzoni, sono in completa adorazione e arriva così il momento di presentare Matias Kupiainen, il nuovo chitarrista, che ha l’annoso compito di sostituire sua maestà Timo Tolkki. Tutto il locale riserva lui un caldo applauso e il musicista risponde introducendo la fulminea “Speed Of Light”. Dopo tre pesantissimi pezzi da novanta, arriva anche il quarto, che risponde al nome di “The Kiss Of Judas”. Superata l’euforia per la sbornia di classici iniziale, è la volta di ascoltare qualche estratto da “Polaris”, l’ultimo album nato in casa Stratovarius. Vengono suonati “Deep Unknown”, “Forever Is Today” e “Winter Skies”, brani che non demeritano affatto dal vivo e, anzi, ne guadagnano in considerazione. Ad intervallare queste tre nuove canzoni vi è il gradito annuncio da parte di Kotipelto, il quale comunica al pubblico che il concerto in corso sarebbe stato registrato per un futuro album live. Si consumano inoltre “A Million Light Years”, “Phoenix”, e gli assoli di tastiera, basso e chitarra: inutile dire che la tecnica presente sul palco raggiunge livelli da capogiro, ma forse il tempo messo a disposizione degli strumentisti è un po’ troppo lungo. L’esibizione della band finlandese prosegue con l’osannata “Paradise”, urlata da tutti i presenti, e la stupenda “Twilight Symphony”, rispolverata dall’album “Fourth Dimension”. In seguito alla melodicissima “Eagleheart”, gli Stratovarius si prendono la consueta pausa e rientrano in scena poco dopo per il gran finale. Si susseguono la bellissima ed emozionante “Forever” e altri due capolavori del gruppo; “Father Time” e “Black Diamond”, quest’ultima introdotta dall’ottimo Jens Johansson e conclusa da un breve solo di batteria da parte di Jorg Michael (con tanto di bandana e occhiali da sole per tutto il concerto). Dopo che Kotipelto fa gridare alla folla i primi quattro numeri in finlandese a ripetizione, la band si congeda lasciando un pubblico in completa ammirazione e che molto difficilmente sarà rimasto deluso.

La curiosità era tanta prima del concerto: troppe le cose successe da quell’ultima apparizione insieme agli Hammerfall quattro anni fa. Con sorpresa ho trovato il gruppo più unito che mai, quasi a voler dare un segnale forte: gli Stratovarius continuano per la loro strada e lo fanno con il calore e l’affiatamento che negli ultimi anni avevano pericolosamente smarrito. Impeccabili le prestazioni dei musicisti, dotati di tecnica cristallina e di Timo Kotipelto, che ancora oggi dimostra di essere uno dei più grandi cantanti metal al mondo. In conclusione, i presupposti per portare ancora avanti con onore il nome degli Stratovarius ci sono tutti ed è questa la cosa che deve far sorridere i fan della band.


Setlist:
01.Destiny
02.Hunting High And Low
03.Speed Of Light
04.The Kiss Of Judas
05.Deep Unknown
06.A Million Light Years
07.Keyboards Solo
08.Winter Skies
09.Phoenix
10.Guitar & Bass Solo
11.Forever Is Today
12.Paradise
13.Twilight Symphony
14.Eagleheart


Encore:
15.Forever
16.Father Time
17.Black Diamond




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool