Mastodon @ Magazzini Generali
04/02/10 - Magazzini Generali, Milano


Articolo a cura di Stefano Risso

Nonostante i Mastodon abbiano fatto visita al pubblico italiano con stupefacente regolarità negli ultimi anni, c'era molta attesa per la data in questione. Infatti per la prima volta la formazione di Atlanta era impegnata in un tour da headliner, potendo quindi usufruire di maggior tempo a disposizione e un pubblico totalmente presente per loro. Finalmente aggiungerei io, perché nelle ultime tournée i nostri avevano sempre fatto il ruolo di comprimari poco compresi, aprendo per colossi come Metallica (leggi il report), Slayer, Iron Maiden; in un periodo storico/economico in cui gli unici utili si fanno con i concerti, la possibilità di suonare in grandi contesti in giro per il mondo, anche a fronte di poca considerazione da parte del pubblico, era evidentemente un treno da non lasciarsi scappare. Ma c'era un vuoto, mancava qualcosa, che show avrebbero allestito in veste di protagonisti principali? Quali canzoni avrebbero proposto? Avrebbero interagito di più col pubblico?

Prima di affrontare il discorso Mastodon, spendiamo due parole per il gruppo di supporto, i californiani Totimoshi. Il terzetto sale sul palco quando il locale stava già riempiendosi, esibendo nella mezz'ora abbondante a disposizione una sorta di antipasto prima dell'abbuffata. Uno stile a cavallo tra lo stoner e la psichedelia, con abbondanti manciate sludge, che mi ha ricordato per lunghi tratti i nuovi prodigiosi Baroness, forse i migliori esponenti tra i debitori del “Mastodon Sound”. Un paragone da prendere con le pinze comunque, visto che i brani proposti dal terzetto sono decisamente meno ispirati e complessi, ma non per questo da buttare via. Diciamo che l'esibizione è stata sporcata da una prova vocale migliorabile e da brani che alla lunga perdevano la presa, risultando sicuramente più efficaci su disco che in una piccola sala che si stava via via affollando.

 

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Dopo un lungo e meticoloso sound check, i Mastodon si materializzano finalmente sul palco. Comincerei subito con alcune “verità” che la serata ci lascia in dote; primo: i Mastodon sono al giorno d'oggi fra le espressioni musicali migliori che la scena rock/metal possa annoverare; secondo: l'atteggiamento dei nostri non cambia di una virgola, sia che si trovino sul palco del Gods Of Metal, sia che si trovino con un piccolo pubblico che pende dalle loro labbra; non un saluto, non un ringraziamento, mancanza assoluta di coinvolgimento col pubblico; terzo: è noto da tempo che i ragazzi sono straordinari musicisti che all'occorrenza devono per forza cantare; questo lo si avverte su disco, ma ancor di più in sede live; Brent Hinds è apparso più volte in difficoltà, con la sua vocina nasale spesso ai limiti del suo registro, come del resto anche Troy Sanders, forse “più cantante”, ma siamo lì... Diciamo, a difesa dei nostri, che l'acustica (specialmente dei microfoni) andava e veniva, ma vista la direzione sempre più riflessiva e prog intrapresa dalla band, che pare volere accentuare sempre più in futuro, bisogna migliorare decisamente al microfono. Se su disco ormai ci siamo, dal vivo si può fare meglio; quarto: il locale. È triste pensare alla capitale musicale d'Italia, Milano, ridotta ad ospitare i Mastodon (e molti altri concerti) in un locale piccolo e mal costruito come i Magazzini Generali. Una specie di grosso corridoio che si estende davanti al palco (poco più largo dello stesso), che penalizza non poco il pubblico. Costretto a stiparsi nella metà adiacente allo stage, col rischio di vedere i propri beniamini col binocolo, vista la strana e penalizzante disposizione in lunghezza della platea. Se a questo aggiungiamo dei suoni non all'altezza della situazione, specialmente nei frangenti più concitati (un impasto che neanche un cuoco pasticcione sarebbe in grado di fare), completiamo il quadretto. Del resto vista la continua moria dei club meneghini, i Magazzini Generali sembrano una delle poche ancore di salvezza... Poveri noi.

 

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Considerazioni a parte, veniamo al concerto vero e proprio. Il tour è in supporto al fenomenale “Crack The Skye”, il quale viene suonato per intero. Dal momento che i nostri si presentano sul palco, non ci sarà un momento di pausa tra un brano e l'altro, solo il tempo per cambiare gli strumenti ed era già ora di dare l'attacco per il brano successivo. Così i primi 50/60 minuti di esibizione corrono veloci sulle note di un disco che è già un classico della band, con l'unico orpello visivo rappresentato da un grande schermo alle loro spalle, che proietta una sorta di “mini film” inerente al concept dell'album. Sulla prestazione vocale abbiamo giù parlato, su quella strettamente musicale c'è solo da rimanere a bocca aperta. Se non la perfezione, qualcosa di molto vicino. I nostri viaggiano compatti, con una disinvoltura assoluta, in cui tutte le sfumature e i cambi di registro di “Crack The Skye” vengono riprodotti fedelmente, anche grazie al supporto fondamentale di un turnista alle tastiere. Davvero nulla da dire, da “Oblivion” a “The Last Baron”, a mio giudizio il punto più alto del full, c'è solo da spellarsi le mani dagli applausi. Terminata la parentesi “riflessiva”, tocca ora al passato più rabbioso ed immediato. Qualche minuto di pausa e i nostri attaccano con un filotto micidiale, anche qui fermandosi solo per cambiare gli strumenti, partendo con “Circle of Cysquatch”, estratto da "Blood Mountain", semplicemente devastanti. Alle quattro “verità” citate poc'anzi, possiamo aggiungerne una quinta: se i brani di “Crack The Skye” sono certamente i migliori composti dai nostri, la resa dal vivo dei più diretti e “semplici” (è proprio vero che tutto è relativo) pezzi più datati è decisamente più efficace, molto più coinvolgente e vicina a un classico concerto metal, rappresentando anche un terreno, fatto di urla e grugniti hardcore, in cui i cantanti si trovano maggiormente a proprio agio.

 

mastodon_report_2010_03_01Quando sullo schermo appare Moby Dick significa che è il momento di omaggiare il secondo album "Leviathan". "Aqua Dementia" parte al fulmicotone, rabbiosa, superata solamente dalla mastodontica "Where Strides The Behemoth", dal primo disco "Remission". Più andiamo dietro con gli anni e più la furia viene fuori, ed è un piacere vedere Brann Dailor dimenarsi con un ossesso dietro le pelli, dando prova, ancora una volta, di essere un vero fenomeno. Il cavallo imbizzarrito della cover di "Remission" rimane alle spalle dei nostri anche con la successiva "Mother Puncher", seguita a ruota dall'epica "Iron Tusk", per poi ritornare al debutto con una maestosa "March Of The Fire Ants", brano che chiude la serata, conclusa con i soliti (timidi) ringraziamenti di rito e appuntamento alla prossima occasione.

Che dire per concludere l'articolo? Beh, che i Mastodon siano bravi già si sapeva, che la loro musica è fra le cose migliori prodotte in questi ultimi anni pure; per chiudere il cerchio dovrebbero, come detto, migliorare l'aspetto vocale e, se possibile, approccio on stage. Non tanto per una mia voglia di vedere dei giullari sul palco, ma perché una freddezza così marcata col pubblico è accettabile solo con i gruppi black più oltranzisti o con il death più brutale, dove un certo atteggiamento è anche giustificabile. Non puoi fare troppo il serio, quando hai dimostrato, ad esempio nel dvd allegato a “Crack The Skye”, di essere un amabile e divertentissimo cazzone! Alla prossima.




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