Unholy Alliance: Chapter III
14/11/08 - PalaSharp, Milano


Articolo a cura di Stefano Risso
Il tendone dell'Unholy Alliance: Chapter III  arriva finalmente sul suolo italico, con il consueto carico di distruzione. Una scaletta eterogenea, in grado di soddisfare il pubblico in modo trasversale, con un gruppo di band che unisce qualità e appeal commerciale. Non è infatti un mistero che sia Amon Amarth, Mastodon e Trivium, siano considerati (a torto, o a ragione) fra i nomi di punta dei rispettivi ambiti, e di questi tempi, è molto meglio andare sul sicuro con formazioni dal feedback ormai collaudato. Chi non ha bisogno di ulteriori collaudi, sono i veri protagonisti della serata, gli Slayer, con in serbo uno show da ricordare a lungo, avendo eseguito per intero l'immortale capolavoro Reign in Blood, oltre ad altre perle del nutrito repertorio dei nostri.

triviumPrima del piatto forte della serata, tocca però ai Trivium scatenare i presenti. Sì, questo report comincia con i Trivium, e mi perdonerete se non verranno menzionati Amon Amarth e Mastodon (oltre agli italiani Death Army). L'attesa per l'esclusiva intervista a Dave Lombardo, mi ha costretto ad attendere fuori dal PalaSharp e a perdermi la loro prestazione... Capirete che un'occasione del genere, val bene un paio di esibizioni, di cui una monca, per l'assenza di Bill Kelliher dei Mastodon, costretti a salire sul palco come trio. Ma torniamo ai Trivium. Con loro il rischio è di esagerare sempre, sia nelle critiche che negli elogi. Comincerei subito a dire che Heafy e compagni sono bravi, suonano bene, tengono il palco egregiamente, e riescono a interagire col pubblico in modo soddisfacente... Insomma non sono proprio gli ultimi arrivati, come non sono quel supergruppo che la stampa vuol farci credere. Non me ne vogliano i numerosi fan dei nostri intravisti durante l'attesa, ma da qui a designarli come nuove icone del metal ce ne passa, specialmente considerando il repertorio a disposizione. Infatti, già verso metà concerto, la sopportazione dei più stava giungendo al limite, cominciando a scandire a gran voce il nome degli headliner. Comunque, i Trivium hanno messo in piedi una prova più che dignitosa, spaziando per tutta la discografia, in cui i brani del nuovo album, Shogun, si sono nettamente distinti dal resto, segno di una crescita e maturazione continua. Una bella prova, per un gruppo di qualità, ma molto sopravvalutato.

slayer“E adesso comincia la festa!”
Prendo punto per cominciare dall'esternazione di un ragazzo che, dalle retrovie, si avvicinava al palco minaccioso e visibilmente eccitato, in attesa dei propri beniamini. Diciamo che l'aria che si respirava poco prima dello show degli Slayer non poteva essere descritta meglio... Bravi tutti, ma ora si fa sul serio. Pochi minuti di attesa per il cambio di palco ed ecco partire l'intro Metal Storm, con la figura di Araya che si stagliava sul tendone bianco davanti al palco, a cui segue impetuosa Flesh Storm. Un inizio un po' in salita bisogna dire, visti i volumi delle chitarre incredibilmente bassi, e la voce di Araya che lasciava un po' a desiderare. Una piccola parentesi sulla prestazione del frontman: gli anni passano per tutti, il buon Tom lo sa, e per questo cerca di preservare come può le sue corde vocali. Paga un avvio difficoltoso, migliorato via via nel prosieguo, lasciando al pubblico tante, troppe parti da cantare. Ad esempio il celeberrimo siparietto prima di War Ensemble è stato appena accennato, delegando ai presenti le linee più impegnative del brano, o saltando a piè pari l'acuto iniziale di Angel of Death. Nonostante tutto, la sua prestazione è stata sicuramente di buon livello, andando a migliorare col passare dei minuti. Cosa dire degli Slayer che non sia stato già ripetuto alla nausea? Impeccabili macchine da guerra, precisi, cattivi, devastanti, pochi movimenti sul palco, headbanging continuo, una canzone dietro l'altra, una meglio dell'altra. Chemical Warfare, Ghost of War, Jihad macellano tutto il possibile, in un PalaSharp tutt'altro che gremito, tanto che a metà parterre si poteva assistere al concerto in totale “relax”. Anche a Milano viene proposto il nuovo brano Psychopathy Red, a cui seguono una splendida Season in the Abyss, Dittohead, Live Undead, Cult e Disciple, con South of Heaven a chiudere la prima parte del concerto. Quando ormai si cominciano ad avvertire i primi sintomi di fatica, ecco arrivare una mazzata in pieno volto: Reign in Blood, eseguito tutto di fila, praticamente senza mai fermarsi tra un brano e l'altro. Che dire, la storia stava rivivendo davanti agli occhi di un pubblico scatenato, guidati da un Lombardo straordinario (impreziosendo continuamente i brani di finezze mai fini a se stesse), dalla solita granitica coppia d'asce King/Hanneman, e da un Araya che ha sfoderato il meglio proprio nelle battute finali. Mezz'ora scarsa in cui il tempo pareva essersi fermato, a suggellare un concerto memorabile. Ennesima dimostrazione che la classe non è acqua, passano gli anni, passano le generazioni, ma gli Slayer rimangono sempre gli stessi: immortali.   


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