Jonsi - Go Tour 2010
09/06/10 - Alcatraz, Milano


Articolo a cura di Fabio Rigamonti

Quante belle sorprese durante la data milanese del “Go Tour” dell’islandese Jónsi, unica ed inconfondibile voce dei Sigur Ròs qui al suo esordio solista.

La prima sorpresa è stata accedere al locale e trovarlo imbandito per le grandi occasioni: erano secoli che non mi capitava di accedere all’Alcatraz nella sua configurazione “big stage”, sintomo di una crisi generalizzata di affluenza di pubblico che – ahimè – è arrivata un po’ dovunque, anche nel locale più bello che la città di Milano possiede per eventi live indoor.

La seconda sorpresa è stato il support act ad opera di Glasser, artista americana a metà strada tra l’indie pop di Bat For Lashes e la vena folktronica della Björk più naturalista, salita sul palco in compagnia di un tastierista/programmatore che sembrava uscito direttamente dai Sunn O))). L’esibizione della nostra eroina indie, ad ogni modo, si è rivelata più debole del previsto: le canzoni necessitano di maggiori variazioni di umore, mentre la presenza scenica è forse un poco da rivedere (troppo legnose e scoordinate le movenze della signorina Mesirow), tutto a fronte però di una voce ben caratterizzata, armoniosa ed ardita a dovere per il tipo di proposta musicale offertaci.

La terza sorpresa è stata ovviamente lui, Jónsi. Non che dal folletto più amato d’Islanda non fosse lecito aspettarsi meraviglie, ma in un certo senso il Nostro si è decisamente superato.

Innanzitutto, la scaletta: come arrivare a proporre un canonico concerto da 90 minuti, quando il proprio unico album solista – escluso l’esperimento a quattro mani di Riceboy Sleeps, ovviamente – arriva ad occupare 40 minuti scarsi? Semplice: si riempie la setlist con le canzoni eliminate da Go (e qualche sporadica cover), arrivando fino all’assurdo di proporre una canzone che il sottoscritto ritiene, con una certa convinzione, essere stata scritta probabilmente il pomeriggio durante il sound-check, visto che Jónsi ne leggeva il testo su 3 fogli A4 attaccati per terra e scritti in sfavillante pennarello blu!

 

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Quindi, la scenografia: è stato semplicemente magico vedere accendersi il palco allestito dalla sempre più celebre e rinomata 59 Production, una sorta di serra decadente nascosta da un telo, il quale proiettava immagini in simil-3D, immagini che proseguivano su teche ed armadi posti ai lati, tutti in realtà monitor che facevano da perfetto compendio ad una struttura che è davvero difficile spiegare a parole. Dovete, quindi, credermi sulla parola quando vi dico che l’atmosfera generale ne ha guadagnato tantissimo, e che il prezzo leggermente maggiorato dovuto proprio all’impianto scenico è stato ampiamente ripagato da uno spettacolo unico quanto la musica proposta durante la serata: vedere la storia del cervo che si ribella al lupo che lo caccia mentre la band suona “Kolniður” è davvero sensazionale.

Altra sorpresa: la band. Vedere salire sul palco Alex Somers, compagno di Jónsi nel duplice ruolo di chitarrista e tastierista, è stato galvanizzante, così come esaltante è stato vedere anche tutto il resto della band dividersi tra il proprio strumento d’elezione e tutta una serie di strumenti alternativi, tra cui vi cito xilofoni (almeno 3, dai più mastodontici a quelli formato tascabile), hukulele, percussioni nascoste dentro valige che venivano suonate coi piedi (!) e valige che nascondevano avveniristiche tavolette luminose simil-sintetizzatori (!!!). Tutto contribuiva all’estrema versatilità di una band che non aveva un posto predefinito o fisso, in un tipico interscambio che già si era visto in ambito Sigur Ròs e che spesso lasciava spazio anche a bonari errori d’esecuzione, errori che, nella maggior parte dei casi, contribuivano ad aumentare la spontaneità ed il senso di giocosità della musica (tranne che su “Animal Arithmetic”, già abbastanza improponibile di suo in sede live, qui pasticciata quasi al limite del dilettantismo, una caduta di stile che mai mi sarei aspettato).

Infine, come non citare la prestazione vocale di Jónsi, un uomo dotato di un’estensione immensa, un’energia soffusa ma potente: vi basti sapere che la numerosa platea (ho stimato circa 2.000 teste paganti) ha assistito ai primi 3 pezzi in un catatonico silenzio, complice l’inusuale scelta di aprire il set con episodi assolutamente atmosferici, placidi ed ambientali, un pubblico quasi timoroso di applaudire ed acclamare il proprio idolo. C’è anche da dire che, quando veniva il momento di scatenarsi, Jónsi si è rivelato più animato e disteso di quanto sia mai stato durante i live dei Sigur Ròs, mantenendo fede al mood pazzerello che governa buona parte del suo lavoro solista. Menzione d’onore, infine, alla conclusiva “Grow Till Tall”, dove negli ultimi 4 minuti Jónsi si è abbandonato a ripetuti e sempre più distorti e straziati “You’ll Know”, urlati dentro due microfoni che creavano un effetto assolutamente stordente e di stupefacente intensità. Avreste dovuto vedere gli sguardi della security accampata nelle prime file: la loro espressione era di quelle che si ha quando ci si aspetta l’inatteso, una tensione emotiva a cui era veramente impossibile rimanere indifferenti. Tanto più se pensate che, a livello di resa audio, questo live ha mostrato uno spessore davvero sconcertante: ogni strumento al posto giusto, col volume giusto, voce equilibrata ed una grancassa della batteria che, ogni volta che veniva colpita, mi faceva tremare i jeans, tanto per dire.

jonsi_livereport_2010_03Parrebbe essere stato il concerto dell’anno, non è vero? Eppure non è così. Vi dirò che, onestamente, ero convinto di provare in sede live la stessa destrutturazione emotiva (un modo molto coraggioso e fico di dire “commozione”) che sa suscitarmi l’ascolto di “Go” in versione discografica, eppure in più di un’occasione mi sono ritrovato quasi freddamente ad osservare lo spettacolo. Ho pensato intensamente alla ragione di questa occasionale “indifferenza”, e all’inizio ero convinto fosse dovuto ad un senso estetico dello show troppo marcato: scenografia top class, vestiti, luci… tutto calibrato su una resa scenica di sicuro impatto. E’ bastato tuttavia approfondire ulteriormente il ragionamento per capire che non era questo: la band si concedeva spesso all’improvvisazione, al senso di “musica nata quasi per caso”, e questo stride terribilmente con l’ipotesi di stucchevole impostazione estetica dell’esibizione. Quindi, l’illuminazione: credo fermamente che questo live sia stato emotivamente deficitante (in forma molto lieve, sia chiaro) principalmente perché la band sembrava fosse lì per suonare non per noi pubblico, ma per sé stessa. Era come trovarsi a spiare dal buco della serratura un sogno splendido, incantevole, affascinante e ricco di meraviglie, ma un sogno che non ti appartiene e che smani di fare tuo, ma senza trovare la maledetta maniglia che fosse in grado di spalancare la porta.

Questo è stato, per me, il concerto di Mr. Jón Þór Birgisson: un’esperienza che, al di là di tutto, mi porterò nel cuore per molto tempo.

 
Setlist

1. Stars In Still Water
2. Hengilás
3. Icicle Sleeves
4. Kolniður
5. Tornado
6. Sinking Friendships
7. Sticks And Stones
8. Saint Naive
9. Go Do
10. Boy Lilikoi
11. New Piano Song
12. Around Us

Encore

13. Animal Arithmetic
14. Grow Till Tall

Si ringrazia Marco Belafatti per il materiale fotografico




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