Hellfest 2013
20/06/13 - Francia, Clisson


Articolo a cura di Luca Ciuti
 
La birra, una francesissima Kronenbourg di produzione industriale, faceva abbastanza schifo. Un peccato imperdonabile per ogni festival che di rispetti, ma non per l’edizione 2013 dell’Hellfest. Un dettaglio del tutto irrilevante perché alla fine dei conti, mai a memoria d’uomo si era visto un concentrato di bands di tale calibro in pochi giorni. Un autentico tuffo al cuore, l’apoteosi della grandeur transalpina. Il tutto condito da un clima che migliore non poteva essere: belle giornate atlantiche, con un vento fresco e un sole attraversato da nuvole veloci, per dirla alla maniera di Antonio Tabucchi. Verrebbe da aggiungere qualche goccia di pioggia, ma è un dato quasi irrilevante. L’organizzazione ha fatto passi da gigante nel corso degli anni e pur essendo lontano anni luce da quella autentica macchina da guerra che è il Wacken Open Air (un evento divenuto insostenibile, sotto molti punti di vista) è riuscito a mantenere quella vivibilità spesso a rischio in questo genere di situazioni. Qui non ci sono villaggi vichinghi, arene di finti lottatori, giocolieri, nani e ballerine, conta solo la musica e anche l’atmosfera è più rilassata. A essere di ampie vedute si corre poi il rischio di farsi del male per via della cosiddetta “sindrome da running order”, in cui si cerca affannosamente di raggiungere questo o quel palco a tempo di record per non perdersi un solo minuto di tanto benessere. Questo il festival a grandi linee, e ora la fredda cronaca!
 
venerdì 21 giugno: “Quei favolosi anni ’80”
 
Attorno ai palchi principali si respira l’atmosfera del “Rock Of Ages”, quella dei gloriosi anni ’80 portati sul grande schermo da Tom Cruise. L’Hellfest si prepara a tributare i grandi dell’hard rock mentre su uno dei main stage si fanno notare i VEKTOR, combo di progressive thrash fra i più attesi di tutta la tre giorni. Incredibile il numero di persone, incontrate un po’ per caso fra il pubblico, che aspettava l’esibizione di questa band, chi al metal market li aveva in catalogo avrà di certo fatto affari d’oro. Dicevamo che a farla da padrone oggi è l’hard rock: si inizia a fare sul serio con i giovani HARDCORE SUPERSTAR, ideali successori dei grandi gruppi anni ’80, cui tocca far da apripista con una fulminea esibizione. Apre “Moonshine”, poi spazio a “Beg On Your Head”, “Kick On the Upperclass” e la celeberrima “We Don’t Celebrate Sundays”, finale con tanto di tricolore transalpino regalato al frontman che lo sventola con orgoglio sul palco. A HEATHEN, SAXON e HELLYEAH il compito di mantenere la temperatura del pubblico a livelli altissimi, ci riusciranno tutti in maniera diversa, on stage come in studio i Saxon danno l’impressione di eseguire il compitino, mentre gli Hellyeah di Vinnie Paul picchiano come forsennati guadagnandosi l’attenzione del pubblico “moderno”. Sotto il tendone, i TYR, testimoni del perfetto mix fra folk ed epic scevro di pacchianerie, confermano la raggiunta maturità. “Flames Of The Free”, “Shadow Of Swastika” (dal testo dichiaratamente antinazista), “Hail To  The Hammer” e “Hold Your Heathen Hammer High” vengono cantati a squarciagola dal pubblico, e non potrebbe essere altrimenti; se da una parte il gruppo meriterebbe maggiore visibilità, bisogna dire che in studio non riesce quasi mai ad eguagliare l’impatto emozionale dei live shows. Torniamo all’aperto e per la serie “ritorno al futuro” gli EUROPE aprono questo viaggio a ritroso nell'Olimpo dell'hard rock. Oltre ai dischi irripetibili, ad accomunare le esibizioni di queste bands c'è un elemento di criticità comune a tutte, ossia i vistosi cedimenti vocali, va bene che gli anni passano per tutti, ma c’è anche da dire che il tempo a disposizione non è esattamente quello di un normale set. Ai posteri l’ardua sentenza, Joey Tempest e soci mischiano abilmente brani nuovi anche interessanti (vedi “Firebox”) e vecchi successi (serve citarli?), fra i quali spicca una strepitosa versione di “Girls Of Lebanon”. Tutti i dettagli tecnici vanno a farsi benedire quando ad irrompere sono le prepotenti note di “The Final Countdown” dove i bassi istinti dei numerosi glamsters presenti, sui quali è meglio sorvolare, prendono il sopravvento. A seguire l’esibizione dei TESTAMENT che confermano il loro periodo di grazia, penalizzati solo da un vento forte che porta i suoni un po’ a spasso. Skolnick in grande spolvero sul solo di “True American Hate” mentre Chuck Billy si rende protagonista di un curioso siparietto che lo vede impegnato a lanciare i plettri del chitarrista ma senza successo, vista la distanza che separa il palco dalle prime file. Cambio di scaletta con i TWISTED SISTER che vanno a occupare lo slot inizialmente destinato agli Whitesnake. Mossa voluta o meno, il motore del festival sale di giri e la performance delle sorelle svitate risulterà ancora una volta come una delle più coinvolgenti. Dee Snider trova il modo di scherzare sui suoi capelli (“It’s real!” tuonerà più volte) e sul pubblico svogliatamente seduto nelle retrovie. Lo status di entertainment band, dovuto alla mancanza di nuove release, non gioca certo a sfavore del combo americano, alla luce dei fatti gli rende onore perché la band sa ancora, e lo sa più di tanti nomi illustri contemporanei, come confezionare un vero show con i controfiocchi. I classici ci sono tutti, “I Wanna Rock”, We’re Not Gonna Take It”, “Stay Hungry”, “The Price” sono alla stregua di inni generazionali, di chi ha fatto del rock n’roll una ragione di vita.
 
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Quel rock n’roll tributato per l’appunto sul finale con una spassosa cover di “It’s Only Rock n’Roll”. Struggente, anche se non esente da pecche, l’esibizione degli WHITESNAKE. Limitandosi al lato strettamente musicale la performance di Coverdale e soci è sontuosa: chitarre graffianti, band che gira come un orologio svizzero (affiatatissimo il duo Aldritch/Beach) ma soprattutto una scaletta che regala emozioni a non finire, in cui i brani più recenti, come la toccante “Forevermore” eseguita all’ombra della luna, non sfigurano accanto a brani storici come “Don’t Break My Heart Again” e “Still Of The Night”. Peccato solo per la voce di Coverdale che brano dopo brano perde vistosamente smalto, ma che non intacca l’impatto emozionale di uno show che in più momenti ci riporta indietro nel tempo. Fa sempre piacere rivedere gli HELLOWEEN in grande spolvero, con dei suoni all’altezza, una costante di tutto il festival, ma la vera attesa è per gli AT THE GATES che al Valley Stage si preparano a lasciare il segno. L’attacco di “Slaughter Of The Soul” con quel mitico “GO!” gridato a squarciagola basterebbe a spazzare via il resto del cartellone, ma in verità il death tecnico-melodico dei cinque di Goteborg non si limita solo a quel masterpiece, fanno bella mostra durante lo show “Terminal Spirit Disease” e la cover di “Haunting The Chapel” degli Slayer.
 
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Giunge l’ora degli headliner, e con loro fa capolino anche un leggero attacco di nostalgia. I DEF LEPPARD sono i veri alieni di questo festival; scendono infatti su Clisson con un live show d’altri tempi, ma colpisce soprattutto l’eleganza, o se preferite una certa plasticità, con cui la band tiene il palco. Con uno stile che è più di un marchio di fabbrica, e che esce dall’impianto esattamente come dallo stereo di casa, i cinque leopardi regalano l’esecuzione completa di “Hysteria”, il loro masterpiece da diciassette milioni di copie. Tutto sembra davvero appartenere ad un’altra epoca, eppure l’energia rimane la stessa, Phil Collen continua a fare l’Angus Young in salsa british, mentre Elliott si conferma ancora validissimo frontman. La nostalgia prende il sopravvento man mano che ci si focalizza sui dettagli, Viv Campbell è visibilmente segnato dalla recente malattia e dalle cure ma non risparmia sorrisi e assoli magistrali, Rick Allen suona con la maschera dell’ossigeno, gli anni passano, ma nonostante tutte le sventure che hanno colpito la band nel corso degli anni loro sono ancora lì, a raccontarci a loro modo di un’epoca che non tornerà più. Una delle migliori live bands dell’epoca (andate a risentire live a Sheffield del ’93), gli inventori del palco circolare, entrano sul palco sulle note di “Won’t Get Fooled Again” degli Who, poi tocca a “Good Morning Freedom”, rarissimo brano degli esordi, cui fa seguito il celebre refrain “Do You Wanna Get Rocked?” e da lì l’apoteosi. Dopo “Hysteria” al completo e qualche classico da “Pyromania” la band impiega dieci minuti per decidersi a rientrare sul palco sulle note di “Rock Of Ages”, un ritardo che farà slittare l’esibizione di AVANTASIA. Come una checca isterica Tobias Sammet coglierà l’occasione per fare un po’ di spettacolo e prolungare l’esibizione di oltre cinquanta minuti rispetto all’ora prevista. “Probabilmente sono il più grande fan al mondo dei Def Leppard” apostrofa a fine serata il singer tedesco, “ma stavolta hanno suonato davvero troppo!”. Il genietto di Fulda gioca a fare la rockstar alla maniera dei suoi idoli e se lo può permettere: lo show è un condensato di quanto visto a gennaio e la qualità non ne risente affatto. “Do You Wanna Get Rocked?” chiede ironicamente al pubblico Sammet, e allora giù con i classici di un repertorio che dal vivo è sempre più bello da ascoltare. Leggermente sottotono Kiske (autore di qualche posa equivoca con la Somerville, che non pare aver apprezzato troppo). Si finisce che sono quasi le tre, come andrà a finire fra Def Leppard, Tobias e gli organizzatori lo scopriremo un giorno o l’altro.

2^ giornata: “I Wanna Rock n'Roll All Nite, Party Every Day”
 
Oggi è sabato, giorno di festa e si capisce sin dalle prime ore del mattino che non sarà una giornata come le altre. Se ieri l’affluenza è stata ottima, oggi siamo ai limiti della capienza, ai three days ticket si aggiungono quelli giornalieri, concentrati per il grande evento di stasera. La nostra giornata inizia piuttosto tardi con i DOWN, e non certo nel modo migliore. Phil Anselmo si presenta sul palco bighellonando e biascicando battute di dubbio gusto (“Hellfest? BURP!”) mentre il concerto stenta a decollare. Non basta a risollevare le sorti di uno show fiacco la comparsata di Jason Newsted per un giro di duetti che avrà il suo apice nella terza giornata, in cui Phil avrà comunque modo di rifarsi.
 
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Il concerto del giorno potrebbe essere quello degli AMORPHIS, che rispondono alle critiche spesso mosse loro anche dal sottoscritto (una certa ripetitività, staticità sul palco) con una performance maiuscola. Per una band che fa dell’essenzialità on stage la propria peculiarità, basta avere i suoni giusti e il concerto decolla in un attimo. Tanto spazio al nuovo disco che dal vivo fa la sua porca figura, “Hopeless Days”, “The Nightbird Song”, “Shades Of Grey” oltre al solito mix di vecchi classici. Quando parte la melodia di “The Smoke” il party tent balla all’unisono. Finalmente una prova live convincente al 100% dei finlandesi! Sul mainstage si continua a ballare con i PAPA ROACH, trascinanti a dispetto delle mode che passano, prima dell’arrivo degli ZZ TOP. Le barbe più famose del rock restano intoccabili, il loro hard blues è ai massimi livelli di resa e i classici non mancano, da “My Head’s In Mississippi” a “Sharp Dressed Man”, da “Gimme All Your Lovin’” a “La Grange”, c’è persino spazio per la cover di “Foxy Lady” e la spassosa “Flying High”, uno dei tanti estratti dal repertorio recente. Tutti i brani sono accompagnati dagli spassosissimi video ma, per quanto gli ingredienti siano di prima qualità, ne esce un piatto non gustosissimo che, forse a causa di una certa ripetitività, rende statica una platea accorsa in massa all’esibizione dei texani, forse per l’assenza di acts rilevanti iconcomitanti. La palma di concerto migliore indoor di questa tre giorni va senz’altro ai FINNTROLL, il combo finlandese infatti riesce ancora a cimentarsi in un pregevole folk metal senza scadere nella banalità di certe cose da balera. Il parterre è letteralmente gremito e la folla arriva persino oltre i confini del maxi tendone. L’attacco è a vantaggio della title track del nuovo “Blodsvept” con cui la band finlandese sembra essere tornata alle sonorità degli esordi. Davvero forti le atmosfere humppa che non vanno mai a discapito di un sound granitico ed heavy quanto basta. Metà del set è incentrato sull’ultimo arrivato, sul finale l’immancabile “Trollhammaren” scatena invece danze indemoniate. Un autentico tripudio. Sta per scoccare l’ora dei Kiss e ci avviciniamo inevitabilmente verso il Main Stage per accaparrarci i posti migliori, oltre a scoprire che i BULLET FOR MY VALENTINE non sono affatto male. La band americana ha l’ingrato compito di anticipare l’esibizione dei Kiss e forse per questo sottopalco c’è più spazio del solito; non saranno amatissimi neppure da queste parti, ma quella che sembrava condannata allo status di “band per adolescenti” regala una performance che lascia il segno soprattutto per l’energia che sprigiona. Una sorpresa inaspettata. Tutti alla ricerca dei posti migliori ed ecco che arriva lo spettacolo dei KISS. A differenza di Milano, la band non entra on stage sul dorso del ragno meccanico che sovrasta il palco; molti altri effetti verranno lasciati da parte rispetto alle recenti esibizioni,  il ragno resterà appeso mestamente al soffitto per tutta l’esibizione,  una scelta comprensibile e forse dettata dai recenti avvenimenti a seguito proprio del concerto di Milano. La scaletta ricalca fedelmente quanto sentito al forum di Assago, fatta eccezione per “I Was Made For Lovin’ You” omessa in chiusura di set. Unico punto a favore rispetto a pochi giorni prima, i suoni, davvero di livello incredibile, una costante di tutto il festival. Terminato il grande party, I KORN portano avanti la kermesse nell’ombra del gruppo che furono a fine anni novanta. La folla si disperde mentre c’è ancora spazio per i BAD RELIGION che, pur preceduti dagli storici NOFX, nel Warzone Stage attirano ancora un numero nutrito di spettatori. La festa è finita, si va a letto ancora una volta a pancia piena.
 
Domenica 23 giugno:"We Don't Celebrate Sundays"
 
Alla domenica il festival si riposò. La terza giornata passerà agli annali come quello dello svacco collettivo. Domenica è pur sempre domenica anche per chi vive di rock n’roll e l’area concerti si trasforma in un enorme pascolo per il sollazzo di rockettari di ogni genere ed età. I suoni animaleschi dei CRIPTOPSY provenienti dal tendone sembrano davvero lontani rispetto a questo clima rilassato. I RIVERSIDE, rivelazione del rock progressivo di nuova generazione, sono il gruppo ideale per un risveglio non troppo brusco, ed è davvero piacevole ascoltarli con un occhio chiuso mentre si prende il sole a pochi metri dal palco. Dopo circa mezzora mi accorgo che buona parte del pubblico sottopalco sembra più impegnato a sollazzarsi che a seguire le complicate partiture del combo polacco, che forse meritava ben altra collocazione, sia in termini di orario che di stage. Tocca ai DANKO JONES suonare la sveglia scherza col pubblico, mentre l’istrionico leader afferma che suonerà all’Hellfest 2014 perché gli piace troppo mentre IHSAHN, mai dimenticato leader degli Emperor, incanta la platea con il suo avantgarde trasversale fra prog rock e black metal. Dalla parte opposta Michael Ammott si rifà vivo con i suoi SPIRITUAL BEGGARS, sorta di supergruppo che vanta fra le proprie fila un altro membro degli Arch Enemy, il bassista Sharlee D‘Angelo e l’ex Opeth Max Wiberg. Un act di hard rock stoner fra i più vivaci dei nostri tempi, capaci di rispolverare le sonorità di Black Sabbath, Uriah Heep e Blue Oyster Cult con risultati eccellenti. La band regala un set trascinante impreziosito dall’abilità del nuovo singer Apollo Papathanasio, cui spetta il difficile compito di sostituire Janne Christofferson dei Grand Magus, Non c’è abbastanza tempo di ammirare la creatura di JASON NEWSTED ma ci rifaremo a breve: i VOIVOD salgono sul palco dell’Hellfest carichi come molle. Qualche estratto dal “Target Earth”, la tellurica “Kluskap O’Com”, altri classici dal passato remoto, tutto gira alla perfezione e non si può non notare quello strano personaggio a bordo palco che si agita come un forsennato. Ma è Phil Anselmo! La curiosità è ripagata due volte, Phil entra on stage per dare vita a una strepitosa versione a due voci di “Astronomy Domine”, una roba che neanche Syd Barrett nei suoi sogni più ispirati avrebbe partorito. Con innocenza fanciullesca l’ex Pantera si getta ai piedi della band, idolatrati per tutto il set, facendo quasi resistenza per non lasciare il palco. Strappa il microfono dalle mani di Snake e grida “VOIVOD! VOIVOD!! Il pubblico è in delirio ma non è finita, tocca a Jason Newsted, ex bassista della band, salire sul palco e intonare “Voivod” a chiusura di set. In due parole, concerto strepitoso. In serata i MOONSPELL danno un altro segno di indiscutibile superiorità rispetto alla concorrenza, nonostante siano da sempre relegati ai palchi secondari. Prima parte di set dedicata ad “Alpha Noir”, con brani pesantissimi, forse fin troppo per ha amato il gruppo dagli albori. Nella seconda parte del set fanno invece bella mostra di sé una strepitosa versione di “Vampiria”, oltre alla solita “Alma Mater”  e alla chicca di “Ataegina” in cui sembra di essere catapultati a una festa folk lusitana. Sull’abilità di Ribeiro e soci on stage sono stati spesi fiumi di parole negli anni, e il il pubblico assiepato davanti al Valley Stage ne è una ulteriore conferma. Possibile che lo status della band sia destinato a rimanere immutabile?  Altro gran concerto, in ogni caso. Che dire invece di LORDI? L’impressione è che il mostro finlandese abbia perso lo smalto degli anni migliori, un brano come “I’m The Best” suona piuttosto imbarazzante ma nonostante questo i classici “Hard Rock Hallelujah”, “Devil Is a Loser”, “They Only Come Out At Night”, uniti alle consuete trovate scenografiche (memorabile la filippica contro il suo vicino di casa!) portano a casa uno show di puro entertainment complessivamente riuscito.  Simpatico e inatteso il cameo di J.J. French dei Twisted Sister  su “It Snows In Hell”, il cui solo però risulta non pervenuto.
 
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Gli headliner della giornata sono i danesi VOLBEAT, passati in poco tempo da band ad uso e consumo del Nord Europa a nome di punta del rock continentale, grazie anche alle numerose esibizioni nei festivals di mezza Europa. Lo scanzonato mix di rock n’roll, metal, hard rock e country è un cocktail micidiale cui è davvero difficile resistere. “Do You know Johnny Cash?” apostrofa il cantante prima di attaccare “Sad Man’s Tongue” un brano che riassume alla grande la loro filosofia musicale. Fa la sua apparizione in scena Barney dei Napalm Death per un duetto tutto da ascoltare sulle note di “Evelyn” (speravamo di vedere comparire sul palco King Diamond, in qualità di guest come sull’ultimo disco, ma fa niente). Napalm Death che si esibiranno da lì a poco in contemporanea con i GHOST, giustamente spostati sul main stage al posto di Glenn Danzig, una sorta di “largo ai giovani” che è un po’ la filosofia di questa terza giornata. Di questo indimenticabile Hellfest ricorderemo molte cose: le note di colore, i numerosi duetti, le piccole gaffe sul palco, l'inattesa cordialità dei cugini d'oltralpe, la varia umanità, inclusa quella che ci ha permesso di goderci tre giorni di grande musica senza lo stress che ormai caratterizza palchi ben più prestigiosi.
 
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Una doverosa menzione infine per tutte le bands che non siamo riusciti a vedere in ordine sparso: Candlemass (con Mats Levèn alla voce, mi mangio le mani!!!), Stone Sour, Cult Of Luna, Parkway Drive, Hypocrysy, Kreator, The Sword, Graveyard, Accept, Morbid Angel, NOFX, Manilla Road, Danzig, Symphony X, Korpiklaani, Dark Funeral, My Dying Bride, Asphyx, Anti Flag e tanti altri. Con tutti questi nomi ci si sarebbe potuto fare un altro festival. Per queste ragioni, e per molte altre, non ci sentiamo di muovere alcun appunto, giusto solo quello della birra che, oggettivamente, faceva un po’ schifo e ci ha tenuto a secco per tre giorni (ci rifaremo al prossimo festival). Un caloroso ringraziamento infine al mio amico Daniele, eterno compagno di scorribande continentali, senza il quale questa magnifica trasferta di oltre 1000 chilometri non avrebbe preso vita. Grazie per il supporto, il calore e la fame di musica. In attesa di smaltire definitivamente la consueta depressione post festival appuntamento, senza se e senza ma, all’edizione del 2014!



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