Loud And Proud Fest
09/11/19 - Slaughter Club, Paderno Dugnano (MI)


Articolo a cura di Stefano Torretta

Mentre una gran fetta di appassionati di metal si accalcava attorno all’Alcatraz in Milano per seguire il concerto degli Opeth, in una location sicuramente più defilata ma decisamente ruspante e vecchio stile come lo Slaughter Club di Paderno Dugnano (MI) andava in scena il Loud And Proud Fest.

 

Edizione dedicata al metal tricolore, può essere considerata a tutti gli effetti come un’ottima fotografia dello stato del metallo pesante nella nostra penisola, con band che cercano di emergere (Chaos Factory ed Aether Void), altre che già hanno acquisito un buon seguito (Skeletoon e Drakkar) ed infine due combo che, nonostante gli anni e la sorte, reggono ancora il palco in maniera stupefacente (Domine e Strana Officina). Al di là della riuscita del festival, sicuramente ben confezionato, con una tenuta di palco delle band sempre ottima e coinvolgente, quello che lascia l’amaro in bocca è il marcato disinteresse del pubblico per i gruppi d’apertura, con solo poche dozzine di spettatori a godersi le ottime prestazioni di Chaos Factory, Aether Void e, anche se più seguiti, Skeletoon, mentre la vera grande affluenza si è registrata solo ad esibizione dei Drakkar in corso, con la punta massima per i Domine.

 

L’apertura della serata è lasciata ai Chaos Factory: giovani, energici, a proprio agio dentro e fuori del palco vista la propensione del cantante Francesco Vadori di correre in giro per la sala. Come dargli torto, visto che il metal è condivisione stretta tra musicisti e spettatori, tanto che anche gli Skeletoon di Tomi Fooler, più tardi nella serata, ne approfitteranno per mischiarsi con i fan sotto il palco. I ragazzi di Trento hanno grinta da vendere e dal vivo risultano ancora più esplosivi e coinvolgenti rispetto a quanto fatto sentire sul loro album di esordio “Horizon”. Brani come “We Believe” o “Juggernaut Is Coming” sono delle sferzate con cori da stadio che lasciano il segno e “Running Wild” è epica e graziata da riff ottimamente scritti. Prestazione ineccepibile se non fosse per una esecuzione non perfetta dell’intro a cappella del brano “Horizon” da parte di Vadori. Menzione d’onore per la batterista Diana Aprile, fisico esile ma un martello implacabile sulle pelli. È un peccato che la loro esibizione sia limitata ad una manciata di pezzi e che in pochi se la siano potuta godere. Visto quanto di buono hanno fatto vedere sul palco del Loud and Proud Fest sarebbe un peccato se non riuscissero a proseguire con la loro carriera. Un grande in bocca al lupo ai cinque trentini.

 

Seguono gli emiliani Aether Void, anche loro freschi di album di debutto con “Curse Of Life”. Come per la precedente band, suonano dannatamente meglio dal vivo che su album, peccato che il settaggio del mixer non sia dalla loro, con la batteria di Alberto Lugari che copre troppo spesso tutti gli altri strumenti e la voce di Salvatore De Matteo che non viene riprodotta egregiamente sulle note alte. A parte questi problemi indipendenti dalla loro volontà, il combo riesce a far infrangere ondate di heavy metal di scuola classica su un pubblico ancora ridotto: è veramente svilente vedere come l’intensità generata sul palco dai cinque emiliani non sortisca quasi nessun effetto, con gli spettatori troppo apatici che non si lasciano andare. La breve setlist convince pienamente e gli Aether Void meritano di essere sentiti nuovamente in altra occasione, con un settaggio ed un pubblico diversi, per riuscire a valutarne egregiamente il potenziale.


Gli Skeletoon di Tomi Fooler non necessitano di alcuna introduzione visto l’ottimo seguito, seppur ancora un po’ troppo di nicchia, che hanno già guadagnato su e giù per l’Italia. Il pubblico inizia ad essere più corposo, più vivace, e con una musica come quella di Fooler e soci non potrebbe essere altrimenti, tra coriandoli ed il tema degli Avengers che ben rappresentano l’anima giocosa del combo. Nella loro setlist c’è spazio un po’ per tutto, dai continui rimandi alla musica degli Iron Maiden che sfociano poi, finalmente, in una versione personale di “Aces High”, ad un duetto tra Fooler e Morby sul brano “I Have The Key”, tratto dalla loro più recente fatica in studio, ovvero “They Never Say Die”. È inutile dire che la palma per l’acuto più alto viene vinta da un Morby in grandissima forma – e lo dimostrerà nuovamente durante l’esibizione dei Domine. Dal vivo gli Skeletoon sono un concentrato di energia e velocità che non può non far muovere il pubblico, è impossibile rimanere indifferenti al loro happy metal e la setlist scelta mischia egregiamente brani dall’ultimo album (“Hell-O”, “They Never Say Die”, “The Truffle Shuffle Army: Bizardly Bizarre” e la già citata “I Have The Key”) a classici dei due dischi precedenti (“Mooncry”, “Heroes Don't Complain” e “Heavy Metal Dreamers”). Scherzano col pubblico – le citazioni dei Maiden li accomunano ad una altra grande band che del divertimento ha fatto uno dei pilastri della propria carriera, ovvero gli Edguy -, si mischiano con gli spettatori per cercare di abbattere le barriere tra chi sta sul palco e chi sta sotto, dando vita ad un unico gruppo che vuole solo svagarsi in allegria. L’estetica e la poetica della band sono un toccasana in questi tempi oscuri.

 

loudandproudfest2019drakkar
 

Introdotti dal tema del film I Pirati dei Caraibi giungono sul palco i Drakkar. Carriera ormai più che ventennale, il combo milanese deve fare i conti con i grattacapi influenzali del cantante Davide Dell'Orto che, fortunatamente, non pregiudicano affatto la loro performance: un po’ di aiuto dalle voci secondarie, un po’ dal pubblico e qualsiasi problema viene risolto prontamente, tanto che l’esibizione scorre via piacevolmente. Il loro metal che guarda alternativamente al power di Helloween e Running Wild ed al rock di Rainbow e Deep Purple risulta il più raffinato della serata, grazie anche e soprattutto alle tastiere di Emanuele Laghi che si insinuano accattivanti con il loro mood anni ’70. È un contrasto notevole rispetto alla carica di pura energia dei tre combo precedenti, ma che non stona affatto. Ed infatti il pubblico, che durante la loro esibizione è aumentato di numero in maniera consistente, apprezza e si fa sentire. Al di là del piacere di sentire dal vivo una band forse non innovativa ma che ha carattere e che è capace di coinvolgere senza fatica, vi è anche l’opportunità di ascoltare due inediti (“Chaos Lord”, “Through The Horsehead Nebula”) che vedranno la luce sul prossimo album dei musicisti meneghini. Il resto della setlist è pescato con sapienza all’interno della lunga carriera del combo, mischiando le due anime, pre e post 2015, che ne caratterizzano il sound. È difficile dire se siano più incisivi i riff di Dario Beretta o le tastiere di Laghi, ma di certo non si ha tempo per annoiarsi, visti anche i continui momenti di coinvolgimento del pubblico, come per esempio sul coro di “Run With The Wolf”. Gran prestazione e un tocco di varietà che aggiunge valore all’evento.



Tracklist Drakkar

Black Sails
Chaos Lord
Pure Of Heart
Nebula
Revenge Is Done
We Ride
Run With The Wolf
Invincible
Dragonheart


Serata speciale per i Domine, visto che per l’occasione hanno pensato bene di rispolverare l’album “Dragonlord (Tales Of The Noble Steel)”, vent’anni appena compiuti. Non me ne vogliano gli Strana Officina, ma l’apice del Loud and Proud Fest viene toccato con l’esibizione della band di Firenze, sia per numero di pubblico presente, sia per una prestazione magistrale da parte di tutti i membri del combo e di Morby in particolare, capace di cantare su tonalità elevatissime come se non ci fosse un domani. Una prestazione da ricordare, che fa dimenticare a tutti l’età del cantante (AD 1965). Ci troviamo di fronte ad un tesoro nazionale che va preservato. Venendo alla musica proposta, la band decide saggiamente di suonare quasi integralmente “Dragonlord (Tales Of The Noble Steel)” – mancano all’appello giusto due tracce, “Blood Brothers' Fight” e “Mars, The Bringer Of War” -, ma mischia le carte, cambiando ordine ai brani e inserendo all’occorrenza anche canzoni provenienti da altri dischi, dando vita così ad una esperienza sì celebrativa ma comunque ben inserita all’interno di tutta la carriera del combo toscano. Non c’è un solo momento in cui cali la tensione o ci si possa annoiare. Merito, come si è già detto, di un Morby in grande spolvero, ma anche dell’operato di tutti i musicisti, Enrico Paoli soprattutto, intento a macinare riff su riff, inesorabile ed instancabile. Ascoltando classici del livello di “Thunderstorm” o “The Ship Of The Lost Souls” ci si accorge che non hanno minimamente perso la freschezza di venti anni fa. Ed il pubblico non può che rispondere di conseguenza, con trasporto e calore.

 

Setlist Domine

Anthem (A Declaration Of War)
Thunderstorm
The Hurricane Master
Last Of The Dragonlords (Lord Elric's Imperial March)
The Battle For The Great Silver Sword
The Ship Of The Lost Souls
True Believer
Uriel, The Flame Of God
Dragonlord (The Grand Master Of The Mightiest Beasts)
The Ride Of The Valkyries
Defenders

 

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La chiusura del festival viene lasciata alla Strana Officina. La band livornese ha una storia fatta di sorte avversa, di vite stroncate (Fabio e Roberto Cappanera, Marcello Masi), e neanche in una serata in cui si sarebbe dovuto celebrare uno show speciale dedicato al loro album “Rock'n'Roll Prisoners” riesce a trovare pace. Enzo Mascolo risulta assente più che giustificato per gravi motivi famigliari e così Bud Ancillotti ed i due Cappanera si trovano costretti a rivedere la setlist e a cercare un sostituto nel validissimo Denis Chimenti. Se a questo aggiungiamo un certo diradarsi del pubblico, non ci troviamo di fronte al perfetto finale di una giornata di ottimo metal tricolore. Un grandissimo peccato che comunque non intacca la professionalità della band e la loro prestazione sul palco. I tre membri ufficiali si danno da fare anche più del dovuto, con Rolando Cappanera vero motore trainante del combo, una forza della natura che martella implacabile, donando una impronta terremotante ai brani più veloci e lasciando in visibilio il pubblico raccolto. Non è da meno Dario Cappanera, riff energici e scatenato sul palco, pronto ad improvvisare nei momenti di imprevisti, come per l’attacco di “Kiss Of Death” rimandato per problemi tecnici alla batteria e sostenuto da riff tappabuchi. I classici dei livornesi ci sono tutti, da “Luna Nera” in versione inglese a “Non Sei Normale”, Viaggio In Inghilterra o “Difendi La Fede”, senza però tralasciare completamente un nucleo corposo proveniente da “Rock'n'Roll Prisoners”, quello che avrebbe dovuto essere il centro di tutta l’esibizione. Anche i brani estratti dal più recente “Law Of The Jungle” fanno ottimamente il proprio dovere. Riascoltare “Autostrada Dei Sogni” anche a distanza di anni da quel fatidico 1993 riesce comunque a trasmettere una pelle d’oca ed un senso di malinconia che probabilmente non svanirà mai, anche se Ancillotti ed i Cappanera andassero avanti a suonarla fino alla fine della loro carriera. Una delle caratteristiche più apprezzate degli Strana Officina è il cantato in italiano, purtroppo abbandonato per motivi commerciali nel 1987 con l’EP “The Ritual”: sentire a distanza di tutti questi anni i loro brani con i testi nella nostra lingua continua a rafforzare l’idea che il passaggio sul versante anglofono abbia impoverito una band che avrebbe potuto essere uno dei maggiori vanti della nostra penisola.


Setlist Strana Officina

King Troll
Profumo Di Puttana
Rock'n'Roll Prisoners
Kiss Of Death
Falling Star
Vai Vai(Don't Cry)
Luna Nera (Black Moon)
Law Of The Jungle
Il Buio Dentro
Non Sei Normale
Autostrada Dei Sogni
Viaggio In Inghilterra
Difendi La Fede

 

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