Seconda proposta della serata i Soul Seller, torinesi in pista dal 1999 nati da un'idea dei fratelli Zublena. Dopo i primi dieci anni passati ad autoprodursi demo e a consumare i palchi del nord Italia, nel 2010 arriva l'album di debutto "Back to Life", prodotto da Alessandro Del Vecchio. Alcuni anni e cambi di line up dopo, la band viene accolta nel roster Tanzan e rilascia "Matter of Faith", uno degli album più acclamati della scena melodic rock nel 2016. Arrangiamenti a dir poco ricamati, una produzione di altissimo livello e un songwriting che non ha nulla da invidiare ai pesi massimi del genere. L'esebizione si apre con "Neverending" e coinvolge da subito il pubblico ancora sognante per la bella chimica che ha impregnato la venue poco prima. I Soul Seller non sono mai banali, spaziano dal rock melodico al metal, e con la loro potenza di fuoco sembrano sei guerrieri troppo rumorosi per il piccolo palco del Legend. La voce di Eric Concas ha una versatilità sorprendente, nessun cedimento e moltissimo carisma, merito anche del lavoro impeccabile della band, che riesce a rendere d'impatto ogni singola nota che canta. Menzioni davvero speciali per Simone Morandotti alle tastiere, che passando dai suoni più tipicamente anni '80 a quelli più classici, è riuscito a tessere una trama assolutamente perfetta e di carattere ammaestrando i suoi tasti ed emozionando il pubblico in ogni esecuzione. Spettacolare la resa live di "Memories", una ballad che arriva dritta al cuore e delle cantatissime "Matter of Faith" e "Wings of Freedom".
E' il momento degli Hungryheart, band ormai ben nota a tutti gli appassionati del genere per il suo stile unico che porta la firma di uno dei chitarristi e compositori più rispettati del panorma italiano e internazionale, Mario Percudani. Reduci da un biennio di innumerevoli date live tra Italia ed estero (mattatori del H.E.A.T festival in Germania lo scorso novembre) ci presentano una scaletta che ripercorre i tre album all'attivo, nonchè le recenti tracks di "Dirty Italian Job" (2015). Un sound fresco e ricercato che spazia dal blues all'hard rock, con una sezione ritmica (Botteschi - Scola) iper affiatata e dal tiro micidiale e una voce, quella di Josh Zighetti, che completa la miscela segreta a cui lavorano dagli esordi: HH, la vera formula chimica del rock. Fin da subito la partecipazione e l'entusiasmo del pubblico avvolgono la band in un caloroso abbraccio. Ci sono perfino fan muniti di bandierine col logo della band, e la scaletta proposta non fa che accendere ulteriormente gli animi. Si notano la grande esperienza di palco, l'affiatamento e la padronanza assoluta degli stumenti di quattro artisti navigati che si divertono come bambini facendo divertire il proprio pubblico. Tutte le canzoni vengono cantate all'unisono riempiendo non solo il parterre ma anche l'atmosfera del Legend nel momento di maggior affluenza della serata. Dopo aver proposto i loro più grandi successi come il gioiello AOR di "One Ticket To Paradise" e "There Is A Reason For Everything" arriva il gran finale con "Shoreline", primo singolo del loro ultimo lavoro che ha un ritornello talmente cantabile che il pubblico decide autonomamente di continuare a intonarlo per qualche minuto anche dopo la fine del pezzo come un coro da stadio chiedendo un bis a gran voce. Putroppo non è possibile, l'ultima band della serata è già pronta per esibirsi.
Chiudono in bellezza i paladini del Southern rock italiano, gli Smokey Fingers. Nati nel Lodigiano nel 2008 in seguito a svariate jam session a cui partecipavano il batterista Daniele Vacchini e il chitarrista Diego "Blef" Dragoni, trovano in Gianluca Paterniti e Fabrizio Costa i compagni ideali per una band che sforna il primo EP autoprodotto ("Smokey Fingers", 2009) e registrano il loro primo album, "Columbus Way", per l'etichetta Tanzan Music nel 2011. Salgono sul palco per ultimi, e questo forse ha penalizzato un po' la loro esibizione in termini di pubblico a causa dell'orario e della famigerata sindrome da domenica sera che ha visto molte delle persone in sala prendere anzitempo la via di casa - un vero peccato. La loro è stata un'esibizione a dir poco perfetta, con la chitarra di Diego Dragoni che incarna al meglio lo spirito dei Lynyrd Skynyrd che si è immediatamente materializzato on stage. Il primo brano, "Balck Madame", è una gemma assolutamente imperdibile, e la voce di Gianluca Paterniti ha un carisma e un tale rispetto per sound tipico del loro stile che non lascia indifferenti. Di grandissimo effetto il singolo "The Road Is My Home", il più cantato dal pubblico che a fine serata si è ritrovato ad aver assistito a una proposta diversificata e di altissimo livello in una manifestazione all'insegna della professionalità e del talento. Una menzione speciale al fonico del Legend per aver fatto un lavoro davvero encomiabile e aver reso giustizia ai suoni di tutte le esibizioni.
Setlist