Devin Townsend Project - Chaos In The Skies - Europe
08/03/15 - Live Music Club, Trezzo sull'Adda (MI)


Articolo a cura di Stefano Risso

La lunga coda formatasi ben prima dell’orario di apertura del Live Music Club di Trezzo è stata un segnale ben preciso di quanto fosse attesa e gradita una serata del genere, forte di una line-up, tra main event e ospiti, di assoluto prestigio. Il tutto favorito da un anticipo di primavera e dalla collocazione domenicale dell’evento, permettendo (per una volta) un avvicinamento al locale con la giusta tranquillità.

Un concerto per palati non proprio per tutti i gusti non poteva iniziare meglio. Leggermente in anticipo sulla tabella di marcia gli Shining (quelli norvegesi, non quelli svedesi) mettono subito le cose in chiaro per la successiva ora a disposizione: nessun prigioniero. Potentissimi, arzigogolati, elettonici, tanto precisi quanto feroci, il quartetto di Oslo ha confermato lo status di “culto” maturato con dischi sempre più spiazzanti, portabandiera della fusione di musica metal e jazz, con una prestazione di livello. Molto suggestivi gli interventi al sassofono del leader Jorgen Munkeby, ad aggiungere quel tocco particolare a una proposta decisamente ostica nella sua complessità, ma che sicuramente non avrà lasciato indifferenti anche coloro giunti al locale per le altre due formazioni a seguire. A giudicare infatti dal calore con cui sono stati accolti gli americani Periphery, molti spettatori delle prime fila non aspettavano altro che Sotelo e compagni, considerati tra le band di punta (se non tra i pionireri) del movimento djent. shining_foto_concerto_live_club_trezzo_sull_adda_8_marzo_2015_4_01 Anche in questo caso, roba da mal di testa… Il sestetto del Maryland non ha impiegato molto a rodare gli ingranaggi dell’esibizione, partendo in quarta senza mai mollare il piede dall’acceleratore. Partiture a dir poco complicate, tecnicismi a tutto spiano, presenza scenica soddisfacente (nonostante il notevole impegno nell’esecuzione dei pezzi), anche qui una gradita riconferma della bravura di questi giovani ma esperti musicisti. Al di là dei gusti personali, se dovessi spendere due parole negative potremmo ascrivere ai Periphery una certa staticità di fondo, nonostante la quantità di variazioni, una eccessiva voglia di incasinare oltre il lecito l’andamento dei brani (quando l’esperienza insegna che pochi elementi al punto giusto rendono più di migliaia di stacchi e ripartenze) oltre a una vicinanza a volte totale ai numi tutelari (Meshuggah), una prova maiuscola che, a giudicare dalle reazioni della stragrande maggioranza degli accorsi, è piaciuta molto.

L’appuntamento per le 22.30 con il protagonista della serata è in realtà iniziato almeno una ventina di minuti prima. Infatti durante la preparazione del palco, il buon Devin ha pensato bene di proiettare sui due schermi a lato della batteria prima una serie interminabile di “meme” e fotomontaggi con una sua espressione a dir poco esilarante (su tutti ricordiamo “50 Djent”, riproponendo una famosa copertina del noto rapper americano, “Jedi Djent”, o l’alieno ET nel cestino della bicicletta di Elliot col faccione di Townsend, impossibili ricordarli tutti), oltre a un lungo video in cui Ziltoid veniva ripreso in tutti i suoi discorsi deliranti dai risvolti comici. Un modo per ingannare l’attesa molto ben riuscito che ha preparato la strada a un’esibizione che ha riservato delle sorprese. La scelta della scaletta da parte del canadese ha infatti prediletto i dischi più “canonici” di Devin, quelli più melodici e d’atmosfera, tralasciando sì tonnellate di musica (ma sarebbe impossibile ripercorrere una discografia così lunga in un solo concerto) ma presentando anche brani mai suonati prima. Una scelta spiazzante in quando HevyDevy avrebbe nel proprio arco frecce metalliche potentissime e intricatissime (giusto per rimanere in tema con chi lo ha preceduto), tenute a riposo in favore di un approccio morbido e sereno. Serenità che traspare in Devin e in tutta la band, precisi, coinvolgenti ma senza strafare, con Townsend ovviamente all’occorrenza capocomico con espressioni buffe, brevi intermezzi tra un brano e l’altro. Un concerto giocato su alti ritmi, durato forse troppo poco (giusto un’ora e un quarto) ma pienamente soddisfacente, grazie appunto al ritmo incalzante della setlist. Prestazioni singole manco a dirlo impeccabili, con l’unico neo per quanto riguarda la postazione di Mike St-Jean, tastiere ed effetti vari (indispensabili per le sovrastrutture dei brani), il cui contributo è stato vanificato da una scelta dei suoni inizialmente non impeccabile, via via migliorata col passare dei minuti.

 

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Un buonissimo concerto, forse musicalmente inferiore a quanto offerto nell’ultima visita a Milano del canadese, allora con una scaletta più varia, più nutrita e con una maggior cattiveria esecutiva, che sicuramente avrà soddisfatto l’ampia platea ben distribuita a occupare praticamente tutto il locale. Alla prossima occasione Devin, sperando di non dover attendere ancora a lungo.




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