Hellfest 2014
19/06/14 - Le Grand Champ, Clisson


Articolo a cura di Luca Ciuti
Si ringraziano per il report Daniele Di Egidio, Gabriella D'Auria, Andrea Mariano. Un grazie anche alla compagnia di Camillo, Daniele, Elena, Luca, Stefano, Claudio e Arianna senza i quali questa esperienza non sarebbe stata la stessa.
 
La musica smuove le coscienze, abbatte gli steccati, regala ai posteri eventi memorabili e fatto non di poco conto, porta anche una boccata di ossigeno alle economie locali. Gli inglesi lo hanno capito per primi, i tedeschi da anni ne hanno fatto una costante della stagione estiva, mentre in Scandinavia l’heavy metal impatta persino sul PIL. Oggi anche i francesi mostrano di saperci fare, perché se è vero che sono passate poche ore dai bagni di folla di Stones e Pearl Jam sul suolo italico, niente da noi è paragonabile all’Hellfest 2014. Una rassegna giunta ormai alla nona edizione che punta ad essere qualcosa di più che un semplice festival: quest’anno la kermesse transalpina ha fatto i conti con i grandi numeri e con la storia, quella che nel vero senso della parola, ha sfilato sulla sua passerella: Iron Maiden, Aerosmith, Deep Purple e Black Sabbath, ma anche Soundgarden, Slayer e Alter Bridge tanto per chiamare all’appello i primi nomi della lista. Meno adrenalinico e intransigente del suo cugino teutonico, e a dirla tutta meno “esagerato”, l’Hellfest ha tutte le caratteristiche per diventare la via “latina” al Wacken. Il timore iniziale che la qualità si concentrasse nella parte alta del bill si è ridimensionato man mano che si succedevano i vari live acts: keep calm and enjoy the music non è solo uno slogan, ma un credo che da queste parti ha ancora un significato.
 
A questo giro i cugini d’oltralpe hanno davvero fatto le cose con la grandeur e il buon gusto che li contraddistinguono: a dare il benvenuto ai metallari di mezza Europa è una piazza tirata su dal niente e ispirata al quartiere londinese di Camden Town, una vera rock city con i suoi negozi di abbigliamento alternativo, l’intrattenimento, il metal market e i servizi di prima necessità. Il resto dell’area è in linea con quanto visto gli anni precedenti, c’è spazio anche per il vino della Loira e una bellissima ruota panoramica da cui si può godere una visuale mozzafiato, tutto arricchito da un tocco estetico che non guasta e che dona alla venue un’atmosfera tutta particolare, specie quando le strutture metalliche degli stand si incendiano con le fiammelle poste sulle sommità. 
 
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Se il video ha ucciso le stelle della radio, gli Iron Maiden uccidono la concorrenza. Mettete Harris e soci in cartellone e il resto del bill sparirà di fronte all’attesa creata dai cinque inglesi, anche in presenza di band valide. Ci sarebbe l’imbarazzo della scelta in questo primo giorno, decidiamo quindi di far partire il nostro Hellfest dal furioso thrash old school dei TOXIC HOLOCAUST che si dimostrano da subito all’altezza dei palchi più grandi. Una setlist di brani presi da tutta la discografia, quanto basta per rendere il pubblico partecipe e numeroso a dispetto dell’ora; il primo impatto con il festival non è dei migliori, un caldo anomalo per queste latitudini sarà la costante della tre giorni, e i continui cambi di orari nel bill non aiutano ad orientarsi. Difficile prendere le misure sulle prime, la sensazione che a questo giro i cugini abbiano voluto fare il passo più lungo della gamba è grande. Girava da tempo la voce che voleva l’esibizione degli Iron Maiden posticipata per fare posto al secondo tempo della partita Francia - Svizzera, una decisione imperdonabile che per fortuna è rientrata a tempo di record. A fare le spese di tutti queste variazioni sono stati i TRIVIUM; gli americani si ritrovano a suonare nel tardo pomeriggio, probabilmente controvoglia, vista la performance piuttosto scialba regalata al pubblico dell’Hellfest. ROB ZOMBIE non passerà alla storia per aver scritto canzoni memorabili, ma in queste ore di attesa è l’unico capace di tenere il palco oltre l’ordinaria amministrazione e coinvolgere un pubblico, quello francese che potremmo definire  poco empatico, per usare un eufemismo. I SEPULTURA spingono sull’accelleratore e sul materiale recente, non saranno quelli degli anni ’90 ma fanno ancora la loro porca figura.
 
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Per quanto ci sforziamo di segnalare e apprezzare concerti senz’altro degni di nota (Watain fra gli altri) l’attesa resta spasmodica ogni volta che si parla degli IRON MAIDEN, ancora alle prese con il loro Maiden England Tour. La scena è la stessa che molti di voi avranno visto a Bologna: la folla che si accalca sotto il main stage in cerca dei posti migliori, l’intro degli UFO, poi l’acustica di “Moonchild” ed eccoli accorrere sul palco in una cornice di luci ed esplosioni. Gli ingredienti per uno show magnifico ci sono tutti, a onor del vero questo Maiden England piuttosto che una riproposizione del tour dell’88 sembra un compendio della Golden Age della Vergine di Ferro. Non che la cosa crei problemi,  se ti aspetti “Infinite Dreams” e “The Clairvoyant” e ti ritrovi “Phantom Of The Opera” e “Revelations” è difficile lamentarsi. Bruce Dickinson ha completato la sua trasformazione in uomo di spettacolo a tutto tondo, sfoggia per tutto il concerto un francese pressoché perfetto, consapevole forse dei noti limiti dei transalpini con la lingua più parlata al mondo. Troverà anche il modo di scherzare sulla partita della Francia con un memorabile aggiornamento in tempo reale sul break di “Seventh Son”:  “la Suisse zero, la France troys”, semplicemente irresistibile. I sei inglesi girano come un orologio svizzero raccontandoci per l’ennesima volta la favola di una band che proprio non intende gettare la spugna. Una performance con momenti di grande coinvolgimento emotivo: “Wasted Years” e “Seventh Son Of a Seventh Son” strappano attimi di commozione, mentre “Aces High” piazzata nei bis è la testimonianza dei polmoni di acciaio di Mr. Dickinson. Che Dio ce li preservi ancora.
 
La presenza degli SLAYER in cartellone subito dopo i Maiden è parso un atto di puro sadismo degli organizzatori, un po’come infierire su qualcuno che ha ricevuto un colpo mortale. Praticamente nulle le aspettative del sottoscritto verso una band che deve fare  i conti con il tempo che passa; bene, quello di Araya e soci è un concerto STRE-PI–TO-SO. L’attacco con “Hell Awaits” resterà impresso come uno dei momenti più alti dell’intero festival; a memoria d’uomo mai ci era mai capitato di sentire gli Slayer suonare su questi livelli, e lo diciamo senza fare torti a nessuno, neppure a chi non c’è più. La scaletta è pressoché identica a quella presentata nelle recenti date italiane, ma a fare la differenza sono i suoni, nitidi e definiti come raramente capita. Anche senza fare headbanging, Tom Araya trasuda un carisma luciferino con quella barba lunga da malefico santone, Kerry King è Kerry King, Bostaph un sostituto di lusso mentre Gary Holt sorprende per l’inattesa presenza scenica mai a scapito dell’ esecuzione. Il doveroso tributo a Hannemann “Still Reigning” sulle note di “Angel Of Death” è il trionfo di una band che accanto ai muscoli riesce sempre a mostrare un grande cuore quando suona. La migliore esibizione della tre giorni, parola di supporters moderati.
 
A mettere a letto tutti ci pensano i SABATON, carichi come molle forti del successo della nuova release “Heroes”. Non è questa la sede per tediarvi con le opinioni del sottoscritto circa la band svedese: l’impatto devastante di pezzi come “Ghost Division”, “The Art Of War” e “Carolus Rex” è innegabile, così come l’impressione che la band giochi le sue carte in modo molto (troppo?) furbo.  La tendenza a fare troppo i piacioni (“We are not Sabaton, we are Village People covering Sabaton, sing with me Y-M-C-A!...”) è imperdonabile, e la band è obbligata a tagliare il set una volta accortasi della mancanza di tempo a disposizione. Un’ingenuità imperdonabile, forse, e lo diciamo con rispetto, sarebbe meglio concentrarsi sulla profondità delle composizioni prima di avventurarsi in improbabili cabaret. Il primo giorno finisce qui, sull’altare della Vergine di Ferro abbiamo sacrificato DEATH ANGEL, WATAIN (pubblico in visibilio per i giochi pirotecnici sul palco, ci dicono) ENSLAVED (esibitisi al The Temple con una setlist di sole sette canzoni, piene di emozioni e sensazioni degne della foresta norvegese più impervia. Non poteva mancare la suggestiva “As Fire Swept Clean The Earth”, forse il brano più rappresentativo della band), DEATH TO ALL e ELECTRIC WIZARD, ma non diteci che non ci abbiamo messo la faccia.
 
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La seconda giornata sulla carta sembrerebbe un po’ più varia, se non fosse per il caldo che non concede tregua proprio come il giorno precedente. Il primo concerto è quello dei norvegesi TROLLFEST, conosciuti il giorno prima… in mezzo al pubblico dei Maiden quasi per caso. Siamo stati espressamente invitati, e lo spettacolo che abbiamo trovato è stato un’allegra confusione, un misto di black e folk pieno di goliardia, con l’inevitabile danza collettiva del pubblico. Il rifugio sotto il tendone prosegue con gli SKYCLAD, combo britannico sconosciuto ai più che può fregiarsi del titolo di inventore di un genere, il folk metal, oggi sin troppo in voga. La band ha conosciuto una certa popolarità negli anni ’90 grazie a uno stile misto di heavy/thrash, folk di derivazione britannica e testi a cavallo fra ironia e denuncia sociale. È evidente dalle prime note di “Inequality Street” che la pionieristica proposta dei britannici ha davvero poco da spartire con quella dei tanti pagliacci truccati di questi anni, “Another Drinking Song”, “Penny Dreadful”, “Spinning Jenny” e la conclusiva “Thinking Allowed?” appartengono davvero a un’altra epoca, un heavy/folk/rock che suona quasi sobrio rispetto alla sua versione moderna, ma che non manca di condurre il folto pubblico in una danza sfrenata. Tocca agli EXTREME mitigare l’afa di metà pomeriggio, un compito arduo che anche i connazionali Alter Bridge faranno fatica a tenere nella giornata successiva. A livello strumentale Cherone e compagni sono ancora una volta indiscutibili, ma la scelta di concentrarsi sui numerosi virtuosismi non aiuta il coinvolgimento di un pubblico, quello francese, storicamente poco propenso a lasciarsi andare. Una tendenza che si consumerà in modo drammatico su “More Than Words”, brano che mai e poi mai avremmo pensato di ascoltare senza l’accompagnamento del pubblico, davanti a un incredulo Bettencourt. Ma è sotto il tendone che si consumano i concerti col più alto tasso di adrenalina, i BRUTAL TRUTH sono una delle bands più longeve della scena death americana; una autentica forza della natura che vanta fra le sue fila il bassista Dan Lilker, già fondatore di Anthrax e Nuclear Assault. Un autentico assalto all’arma bianca, violenza sonora senza eguali che sul finale lascia spazio al cuore che caratterizza tutta la scena estrema: c’è spazio per altri brani e il singer si prodiga in un finale di set a richiesta, alla maniera di Bruce Springsteen, in pratica l’opposto dei Sabaton. E chi vuol capire, capisca… STATUS QUO e HATEBREED non potrebbero essere più diversi, c’è chi si gioca tutte le carte per vincere il caldo, chi come noi cerca un po’di rinfresco nel boschetto con un delizioso vino locale servito per l’occasione… fino a quando scocca l’ora dei DEEP PURPLE.
 
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Fino ad ora abbiamo scherzato in un certo senso, è forte la sensazione che il festival vero inizi qui. Il segreto di tutto è non avere aspettative, se non quella di lasciare che la band faccia ciò che più desidera, ossia suonare, suonare e ancora suonare. Gillan e soci continuano a farlo senza sosta, con l’energia e l’entusiasmo di una band esordiente; il cantante appare tonico e in grande forma, mostra un’invidiabile abbronzatura e un paio di occhiali rosa che lo rendono il ritratto più autentico della felicità. In scaletta fanno capolino “Into The Fire” e “Hard Lovin’ Man” assieme ai soliti classici, giovani e “anziani” si ritrovano uniti tutti sotto palco per quella che sembra davvero essere un’autentica festa, piuttosto che una nostalgica rievocazione del mito. A nulla possono i SOULFLY e i patetici cori da stadio di Max Cavalera, che deve lasciare spazio a un’altro show coi controfiocchi. Con gli AEROSMITH arriva in città il grande circo del rock n’roll, ironici, iconici e irriverenti, così vicini agli Stones nel look e negli atteggiamenti, Tyler e Perry, i toxic twins, sembrano ancora giocare a fare gli sconvolti, addobbati da vestiti larghi e cappello. Il singer è una maschera perennemente in bilico fra parodia e passione e la band regala uno show infarcito di classici e ampiamente al di sopra delle aspettative, regalando i grandi classici cantati dall'imponente folla arrivata in massa quasi tutta per loro. Gli ELUVEITIE ingaggiano un duello a distanza con la storica band americana, i veri metal kids sono qui con noi, apostrofano gli svizzeri, quelli sul main stage sono solo dei fottuti poser. Parole che suonano come autentica poesia per qualcuno, al punto che un tizio con il tasso di adrenalina (e qualcos'altro) a mille si arrampica seminudo sulle impalcature a lato dello stage. Il bagno di folla notturno è tutto per i CARCASS, autori di uno show praticamente perfetto sotto ogni punto di vista, e anche gli AVENGED SEVENFOLD regalano sul main stage momenti di grande intensità nel ricordo del compianto batterista The Rev con “Nightmare” e “So Far Away”. Un’autentica scorpacciata.
 
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Il terzo giorno si spalancarono le porte dell’inferno, quello evocato dalla solita calura ma anche dal ritorno di due oscuri profeti come Emperor e Black Sabbath. Il primo concerto della giornata è stato quello dei REPULSION, che con il loro grind core sono riusciti a far smuovere il pubblico francese (di cui abbiamo già descritto la particolare empatia con le band sui palchi…) con un moshpit sottopalco che lascia lividi indelebili. Il paese ospitante dei mondiali di calcio è presente con le sue band più rappresentative: passati i Sepultura, tocca agli ANGRA far salire la strisciolina di mercurio nel pieno pomeriggio. Il combo brasiliano si presenta con Fabio Lione alla voce: la prestazione del singer pisano è dignitosa e la setlist pesca un po’ da tutta la discografia, ma l’impressione è  quella dell’eterno dilemma per cui niente sembra calzare a pennello per la sua voce. Risolvessero il problema del cantante, sarebbero ancora la miglior power metal band in circolazione. Si susseguono uno dopo l’altro gli ALTER BRIDGE, ANNIHILATOR e DARK ANGEL, tre acts capaci di mettere a dura prova anche il più resistente dei festivalieri. Myles Kennedy e soci soffrono come gli Extreme il giorno prima, sarà il jet lag o la posizione in scaletta, saccheggiato il recente “Fortress” mentre mi chiedo come mai lo splendido “III” continui a essere limitato alla conclusiva “Isolation”. Kennedy si conferma come uno dei cantanti più interessanti in circolazione, una voce che non conosce cedimenti accompagnata da una buone dote di carisma, il futuro del rock passa sicuramente da lui.
 
Non tragga in inganno il suo crestone alla Balotelli, Jeff Waters è uno tutta sostanza e vedere i suoi ANNIHILATOR all’opera è sempre un gran piacere. Il chitarrista americano concentra in un’ora di set il meglio del suo repertorio, ripescando “King Of The Kill”, “Set The World On Fire” e alcuni estratti dai celeberrimi “Alice In Hell” e “Never Neverland”; a rubargli la scena un addetto ai lavori che dal tetto di una camionetta posta sul perimetro della venue, spruzza acqua a profusione sul pubblico accalorato per mezzo di una idropulitrice, regalando un po’ di refrigerio e qualche memorabile posa “metallica”. La sostituzione dei defezionari Megadeth con i rinati DARK ANGEL rende felice quella parte di pubblico più intransigente desiderosa di solida perfomance in puro Bay Area style; un’attesa che non verrà delusa, dopo la defezione al Keep It True che ancora gridava vendetta. Ci godiamo il massacro sonoro dei BEHEMOTH dall’alto della ruota panoramica del festival, calano le tenebre e l’aria si fa più mite mentre una coltre di zolfo inonda tutta Clisson. Sarà il cielo che inizia a tingersi di nero a ispirare i PARADISE LOST autori di una prova da spellarsi le mani grazie a una setlist ottimamente calibrata. Le prime battute sono scandite dal gothic primordiale di "Mortals Watch The Day", "Remembrance", "Gothic" ed "Enchantment", poi spazio a "Tragic Idol" e al repertorio più controverso, inclusi due estratti da "Symbol Of Life" suonati con arrangiamenti quasi disco! Nick Holmes parla col pubblico e lo trascina a dovere, non un momento di stanca nelle prestazione degli inglesi, troppo spesso accusati di immobilismo e scarsa empatia col pubblico. Non è mai troppo tardi per smentire i luoghi comuni di una intera carriera e i Paradise Lost lo hanno dimostrato.
 
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Adesso il buio è sceso quasi del tutto, il momento che tutti aspettavano: i profeti del male sono tornati e si presentano in formazione originale, gli EMPEROR sono il black metal nella sua massima espressione e danno vita a un autentico massacro sonoro, chirurgico, preciso e violento. Ihsahn non è quello di vent’anni fa ma il tempo che passa gli conferisce una sorta di lucida diabolicità, proprio come accade a Tom Araya. “The Nightside Eclipse” viene riproposto per intero per quella che è una autentica messa nera impreziosita da un tasso tecnico di eccellente livello. Il lato credibile del black metal lascia il posto ai BLACK SABBATH in formazione originale, molti sono qui per loro, è innegabile, il cerchio si chiude con la band da cui tutto ha inizio. E sin dalle prime note di “War Pigs” ciò che è ovvio appare ancora più chiaro, ossia  che i nonnini hanno ancora alcune cose da mettere in chiaro ai loro discepoli prima di abidcare del tutto. Dimenticate l’Ozzy scialbo e anche un po’ patetico degli ultimi anni, quello del Sabba Nero è un Osbourne decisamente più a suo agio, è il suo repertorio è più naturale e le canzoni sono da ogni punto di vista meno impegnative: impossibile non provare tenerezza per un uomo che a sessantacinque anni suonati continua a dare tutto sé stesso, magari con una punta di ingenuità mentre mugugna qualche “cucù” e applaude alla sua maniera per trascinare il pubblico, Ozzy è così come lo vedete, non sarà elegante, né avvezzo alle pose plastiche, ma ha un grande cuore. I brani li conoscete  ed elencarli tutti è inutile, mentre Tony Iommi regala una performance mozzafiato che fa passare in secondo piano tutte le sue vicissitudini. Non chiedeva altro il pubblico di Clisson, ora assorto in un religioso silenzio negli assoli del baffuto chitarrista, ora scapocciante in modo nervoso sulle note di “Black Sabbath”. Non chiedeva altro che danzare in mezzo alle fiamme, esaltarsi per “Paranoid”, “Into The Void”, “N.I.B” e tutti quei titoli che ancora oggi lasciano autentiche scariche elettriche lungo la schiena.
 
Adesso è davvero finita, gli Iced Earth non si presentano e il festival potrebbe chiudersi qui, se non fosse per la regale esibizione degli OPETH sotto un tendone stracolmo di gente. Gli svedesi regalano momenti di sano eclettismo da consumati musicisti progressive, oltre ai soliti cameo di Akerfeldt apparentemente senza senso (come sia arrivato a parlare dei Saxon e di “Innocence Is No Excuse” in pieno concerto resta un mistero…). Una chiusura che avrebbe meritato il main stage, vista anche la defezione di Jon Schaffer e soci, un altro di quei piccoli errori che perdoniamo volentieri ai cugini francesi, come la ferrea costanza con cui si ostinano a pretendere che sia il mondo a parlare la loro lingua. Anche quest'anno, spazio ai gruppi non pervenuti, giusto per farvi rosicare un po': Soundgarden, Monster Magnet, Seether, Misfits, Turbonegro, Millencolin, In Solitude, Skid Row, Septic Flesh, Nile, Soilwork, Gorgoroth, Turisas, Equilibrium. Hellfest 2014, chiamatela grandeur se volete, con tutti i suoi difetti, ma a noi piace così.
 
 
Il festival dietro l'obbiettivo: il punto di vista di Daniele Di Egidio
 
Ringrazio Luca Ciuti per aver riassunto ottimamente lo spirito del festival, e come ogni anno provo a dire la mia per darvi una visione a 360°.

Ci sono quegli eventi che segni sul calendario sottolineando con otto evidenziatori diversi: data giorno e mese, sono quattro anni che aspetto trepidante l'Hellfest ed è il mio personale giubileo, l'evento che professionalmente ed emotivamente mi riempie e da qualcosa da raccontare per i successivi mesi.

hellfest2014img_452220__20_giugno_2014_600Quest'anno ho deciso di esplorare non solo il festival, ma anche la cultura transalpina: ho visitato Nantes e le meraviglie di Jules Verne, ho gustato la ristorazione e saggiato la movida francese dopo il festival, ho tenuto un'esplorazione a tutto tondo di quel che è la vita dei nostri cugini francesi e devo ammettere che sanno proprio come divertirsi e far girare l'economia, mi piacerebbe che un giorno qualche imprenditore illuminato facesse ammenda degli errori passati e iniziasse un percorso che valorizzi il Bel Paese, soprattutto per quanto concerne i festival.

Parlando di Hellfest, se non avete ancora avuto modo di viverlo, il 2015 sarà il decennale del festival e sarà un'occasione sicuramente imperdibile. Per gli oltre 150.000 spettatori che sono stati la cornice ideale della più grande realtà europea estrema e non, il festival si è presentato più curato degli anni passati: una grandissima scalinata apre le porte dell'inferno e l'ingresso alla cittadella della perdizione per quelle persone dalle tasche facilmente svuotabili, l'assortimento del metal market e dei vari negozi in stile londinese hanno accontentato gli amanti del "metal shopping"; l'ingresso del festival mostrava la sconfinata area concerti, con i soliti palchi degli ultimi 2 anni e per la prima volta con la prevenzione della temuta "fanga mannara": il terreno è stato coperto da del compensato e in caso di pioggia avremmo sofferto meno il problema più diffuso di tutti i festival, fatto sta che la misura preventiva è servita a poco, dato il torrido solleone non proprio tipico del nord della Francia.

Dopo questo rapido excursus volevo parlarvi delle band. Mi scuso in anticipo della mancanza di alcuni headliner, ma eravamo 500 fotografi circa ed i menagement dei gruppi principali sono stati strettini con gli ingressi (addirittura con i fotografi ufficiali), ciononostante ho cercato di immortalare il possibile.
 
Il primo giorno è stato il più tranquillo per me, ho fotografato per voi gli Electric Wizard, Death (To all), Sepultura, Kadaver, Impaled Nazarene, Therapy?, Powerman 5000, Downfall of Gaia, Toxic Holocaust, Fueled By Fire, Crossfaith e i giovanissimi Doyle.
 
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Sono rimasto fortemente colpito dagli Electric Wizard, non deludendo le grandi aspettative degli affezionatissimi del "Valley"; sulla formazione dei Death orfana dell'indimenticato Chuck Schuldiner ero fortemente dubbioso, ma mi sbagliavo. Chuck diceva "Sostieni la musica, non i pettegolezzi" ed aveva ragione, i più giovani come me meritano di ascoltare le note di quel che è stata la miglior band Death Metal di sempre, alpha ed omega delle sonorità cui siamo abituati oggi giorno. Lo spettacolo a cui ho assistito era un tributo, l'omaggio ad uno dei più grandi personaggi della musica metal mondiale. un degno simulacro della musica con cui sono cresciuto gli ultimi dieci anni. Grande show.

Per terminare il primo giorno voglio soffermarmi per un attimo sui "Crossfaith", una band che in un contesto simile in Italia sarebbe stata fischiata: un sincero applauso all'apertura mentale dei metalheads francesi, che pensano più a divertirsi che giudicare le influenze elettroniche della mretal band.

Il secondo giorno, complice la stanchezza, è stato all'insegna del relax. Come ogni anno fotografi, band, giornalisti e pochi fortunati paganti hanno l'accesso ad un'area riservata con tutti i comfort: zone d'ombra, amache, pouff comodissimi e un'area pc per i comunicati stampa... Ammetto di aver passato più della metà della giornata a bere con gli organizzatori di un festival spagnolo e a parlare con ragazze disinibite, che comprende un po' la vita da rocker. Vicende personali a parte, ho goduto di spettacoli davvero grandiosi: i giovanissimi Miss May I hanno infiammato il pubblico con il loro Metalcore moderno regalandoci discreti moshpit, gli Shining hanno incluso nella loro setlist vecchi successi e i fantastici pezzi degli ultimi album, sicuramente più puliti e ragionati dei precedenti; nel Warzone che oramai era diventata la fiera della polvere e del massacro ho assistito ai Protest the Hero, maestri moderni del prog che insieme a piccoli sketch su quanto fosse migliore il Canada della Francia hanno mantenuto un palco così estraneo al loro genere con grande maestria.

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Mentre il tramonto incombeva, ho assistito allo spettacolo degli abituè del suolo francese, gli Hatebreed. I cinque scalmanati del Connecticut sono i beniamini dei cugini d'oltralpe e non hanno risparmiato nessuno, un massacro senza precedenti dati i 32° all'ombra e le tonnellate di polvere oramai cibo per i polmoni degli astanti. Neanche il tempo di riposarci che i Soulfly entrano e forti dell'amore dei francesi verso Cavalera regalano un grandissimo spettacolo: i brasiliani dimostrano di avere la stoffa da headliner su ogni fronte, magari peccano un pochino di presenza scenica data la staticità del frontman, ma a livello sonoro sono un muro invalicabile di violenza e sonori cazzotti sulle gengive.

Al calare della notte davanti ad una birra ghiacciata mi godo lo spettacolo degli Aerosmith che hanno allestito un palco degno delle più grandi performance mondiali. Sconsolato per il divieto assoluto dato ad ogni fotografo di immortalarli, mi reco verso l'altar per assistere al concerto per me più atteso, quello dei Carcass. Ogni pezzo è esordito con uno sfottò verso i fan degli Avenged Sevenfold, devo davvero continuare? I Carcass sono gli dei indiscussi del loro genere, il loro ultimo album live è un qualcosa che non si sentiva da almeno un decennio, pezzi che ricordano i tempi d'oro con delle sonorità moderne che si sposano alla perfezione, i grandi classici suonati egregiamente ed un pubblico scatenato come non mai. Questi sono gli show che ti rimangono dentro per i mesi successivi.

hellfest2014img_637522__22_giugno_2014_600Giunti alla conclusione, la voglia di tornare è assai lontana, un accenno di pioggia nel mattino ha leggermente rinfrescato la location che rimane comunque caldissima, mi dicono che Fabio Lione sta cantando con gli Angra e con un po' di nostalgia per la mia adolescenza corro a fare un po' di scatti alla band di Kiko Loureiro. Beh, non me lo sarei mai aspettato, il Lione nazionale regge alla grande il confronto con Matos ed esalta il pubblico. Mezz'ora dopo vedo reggiseni slacciarsi e ragazze piangere per una delle band più amate del momento: fanno il loro ingresso gli Alter Bridge con un Myles in gran forma ed un Tremonti scatenato; giusto il tempo per far riprendere le ragazze visibilmente in calore, e si apprestano a salire sul mainstage una delle leggende viventi del panorama thrash metal mondiale, i grandissimi Dark Angel. Esibizione degna del loro nome che mi prepara alla grande per il concerto dei Behemoth.

Ora, capisco gli orari e le esigenze tecniche, ma vedere i quattro polacchi suonare al tramonto mi lascia perplesso, lo spettacolo di fuoco e fiamme non rende minimamente la cupa atmosfera a cui hanno abituati. Finito di scattare le foto ho il tempo per un'altra birra ghiacciata e, grazie alla bontà degli amici del mainstage 1, lasciata l'attrezzatura sotto il palco, ho potuto godermi dal pit lo show dei Soundgarden, anch'essi severamente fiscali sulla loro immagine e sulle fotografie. Guardare l'intero spettacolo da sotto palco mi ha fatto ripercorrere ogni step della mia adolescenza. Semplicemente, grazie.

Sgranocchio un panino e quasi tremante mi preparo per il concerto da me più atteso degli ultimi anni, una band che mi ha cresciuto, formato e cullato negli ultimi 10 anni. Emozionato come pochi mi accingo a fotografare gli Emperor, guardo metà concerto sotto al palco e i restanti 20 minuti su un'amaca nell'area vip, non per snobismo ma per una questione di suoni. Dall'amaca tutto sembrava più bello, i suoni erano perfetti e chiudere gli occhi sotto le note di "I Am The Black Wizard" con quella leggera brezza che stemperava il caldo delle ore precedenti mi ha fatto venire i brividi. Un'esperienza unica che mai si ripeterà.

Scocciato per le restrizioni dei Black Sabbath decido comunque di arrivare in quarta fila a spallate, saluto con la mano un Ozzy stanco del tour stremante.

Con le gambe doloranti tiro l'ultimo respiro e mi faccio largo tra la folla immensa sotto il tendone dell'altar per gli Opeth. Faccio fatica ad entrare nel pit data la mole di gente ubriaca e restia a farmi passare malgrado il pass, arrivo all'ultimo momento utile e Michael mi saluta, inizia Hope Leaves e mi lascio trascinare dalle note, scatto un po' e per il resto canto, ricevendo qualche occhiataccia a dei noiosi colleghi del Nord Europa, ma chi se ne frega.
 
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Al termine dell'esibizione degli Opeth saluto le decine di amicizie costruite negli ultimi anni, corro a scolarmi l'ultima birra e mi reco a festeggiare noncurante dell'aver sbagliato a prenotare il biglietto dell'aereo e a dover rimanere un giorno in più a Nantes, uno degli errori più belli della mia vita.

Se potete, rimanete a Nantes dopo il festival, è una città meravigliosa che vi stupirà!



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