I-Days 2018: Day 3 - Noel Gallagher + Placebo & more
23/06/18 - Experience Milano, Rho (MI)


Articolo a cura di Alberto Battaglia
Il terzo giorno degli I-Days 2018 di Milano ha riunito tre delle migliori espressioni del rock britannico anni Novanta. D'accordo, Noel Gallagher e i suoi High Flying Birds sono un'espressione degli ultimi anni, i Placebo hanno scritto molto del materiale più memorabile nel nuovo millennio e i Ride sono tornati sulle scene appena tre anni fa. Eppure, la sensazione è che sul palco siano saliti i portatori di una tradizione tipica di quegli anni e che ancora riesce a emozionare i figli di un altro secolo. 

Dopo l'italiana Joan Thiele, cui spetta il compito di scaldare un pubblico irradiato dal sole del pieno pomeriggio, si fa avanti il promettente Isaac Gracie. Chioma bionda, look accuratamente vintage e voce ora avvolgente, ora graffiante: Gracie è nato nel 1994, ma è sicuramente cresciuto ascoltando la musica dei suoi genitori o dei suoi nonni. Per questo nei suoni e nello spirito vince, anche qui, la tradizione. Su tutte spicca “The Death of You & I”, un pezzo a tratti sensuale a tratti selvaggio, che mette in mostra tutto il talento vocale del londinese. Purtroppo per lui, così come per i Ride, la qualità del suono non sarà assolutamente all'altezza dell'evento: volumi troppo morigerati.
 
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Il sole è ancora caldissimo quando salgono sul palco i Ride, band di culto dello shoegaze britannico devota al connubio di melodia, rumore e armonie byrds-iane. Dopo i capolavori “Nowhere” e “Going Blank Again” la band rimase risucchiata dal fenomeno brit pop e scomparve nel 1996, per poi tacere vent'anni.
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La reunion, però, è stata presa molto sul serio e i quattro di Oxford sono tornati a scrivere ottimo materiale, cavalcando l'onda dello shoegaze revival. Purtroppo, l'occasione di riscoprire dal vivo una delle esperienze più originali dei primi 90s è guastata da un'equalizzazione fuori fuoco: poche chitarre, tonnellate di bassi e batteria. Chi conosce la loro religiosa cura del suono incisa su disco si sarà messo le mani nei capelli. 
 
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Per fortuna il discorso tecnico si risolve a partire dall'esibizione dei Placebo, che, lo anticipiamo subito, sono stati i grandi vincitori della serata. Uno show che non lascia spazi ad incertezze, consapevole dei suoi mezzi dall'inizio alla fine e che conferma la capacità espressiva del leader. Brian Molko è indubbiamente un esempio di narcisismo funzionale: il suo dialogo col pubblico è diretto, senza filtri e non nasconde punte di sdegnosa superiorità. Ma, soprattutto, i brani di questa band funzionano a meraviglia nel contesto live, anche quando lo schema si fa un po' ripetitivo e consumato. L'avvio è perfetto: “Pure Morning” e “Loud Like Love” sono eseguite con lucidità ed energia, mettendo in chiaro le qualità di un gruppo che vale decisamente la pena sentire dal vivo. Il vertice viene poi raggiunto con l'uno-due di “Song To Say Goodbye” e “The Bitter End”: a brani come questi corrisponde un ricordo agrodolce nell'adolescenza di tutto il pubblico.
 
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Figura quasi mitica e nazionalpopolare, Noel Gallagher è sicuramente uno degli autori pop più ispirati degli ultimi decenni. Si è però concretizzato il timore che le sue esibizioni solistiche manchino di sale e pepe. Noel tende a chiedere troppo alle sue capacità vocali, che faticano a reggere un registro piuttosto alto per tutta la durata del concerto. L'impressione è che, canzone dopo canzone, il peso si faccia sempre più oneroso: quando può, Gallagher lascia che sia il pubblico a sfogare la propria voglia di cantare.
 
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Dalle retrovie si leva il coro “Oasis-Oasis-Oasis”: è una confessione, 'siamo qui per questo e lo sai'. Gli appetiti verranno saziati con alcune perle del repertorio quali “The Importance of Being an Idle” (forse la migliore della serata), “Wonderwall”, “Don't Look Back in Anger”, “Little by Little”. I brani del Noel solista, inutile negarlo, non hanno lo stesso fascino e indulgono troppo sulla ricerca sonora, piuttosto che in quella melodica – che poi è il vero talento di Gallagher. Meritano di sicuro un applauso gli High Flying Byrds, musicisti preparati e in grado di dare un grande spessore al sound: i colori più sgargianti arrivano da una sezione di fiati ben presente e che tornerà utilissima nel finale dedicato alla beatlesiana “All you need is love”. Appena 48 ore prima, il fratello Liam aveva calcato lo stesso palco milanese. Il pensiero giunge con ovvietà inevitabile: quando finirà la guerra di casa Gallagher? Nessuno lo sa, ma tutti continuano a sperare.
 
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