Liam Gallagher - As You Were Tour 2017
16/12/17 - Manchester Arena, Manchester


Articolo a cura di Costanza Colombo

"I live my life in the CITY and there's no easy way out.."

 

Non poteva che essere proprio quella city, cui venne dedicato il verso scelto dagli Oasis per avviare il loro esordio discografico, a fungere da palco di chiusura della leg britannica del primo tour solista di Sua Sfrontatezza Liam Gallagher. "Round are way (la la la la la)" cantavano giulivi i mancuniani nel '95, eccome. Sempre nella natia Manchester infatti, Ourkid aveva inaugurato la sua carriera solista, nella più modesta cornice dell'O2 Ritz, con un concerto sold out in meno di 10 minuti, una settimana dopo l'attentato consumatosi il 22 maggio alla Manchester Arena devolvendo l'intero ricavato alle vittime dell'attacco terroristico. Dieci mesi e la pubblicazione di un album dopo, Liam si fa perdonare in un colpo solo sia la rumorosa assenza al concerto della riapertura della più grande venue cittadina, evento per il quale il fratello Noel aveva fatto da headliner e da padrone, che la relativa (e infelice) polemica fratricida. Gioca quindi in casa Ourkid e lo fa sapendo di vincere (un po' come l'amato Manchester City che, giusto una settimana prima ha vinto 2:1 il 175° derby cittadino contro i Red Devils dello United) supportato e osannato da un'arena stracolma di tifosi, anzi fan, di parka, sciarpe e maglie celeste cityzens vestiti.

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Stesso bagno di folla non si può certo riportare per gli apripista della serata, gli eroici Trampolene che, con il Red Dragon (bandiera gallese, ndr.) alle spalle, e un'arena pressoché vuota davanti (misericordiosamente censurata dalle luci ridotte all'osso), hanno rotto il ghiaccio con un set e una grinta niente male. Forti di un promettente alternative rock, lo stesso proposto nel disco di debutto "Swansea To Hornsey" rilasciato giusto un mese e mezzo fa, i tre gallesi, già acclamati dalla critica, hanno portato a casa la pagnotta (purtroppo per loro di Greggs, ndr.) includendo un dignitoso solo di "Seven Nation Army", dei The White Stripes, e un siparietto alla John Cooper Clarke che, seppur abbia suscitato qualche "shut up" ciancicato nelle retrovie, è stata comunque una prova di discreto coraggio. Lo stesso dimostrato quando, causa problemi tecnici, il chitarrista ha improvvisato un'estemporanea "Songbird" naturalmente apprezzata dagli sparuti presenti.

 

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Prima di congedarsi, comunque soddisfatti e grati al loro idolo per avergli concesso l'opportunità di esibirsi in una venue sette volte più grande della loro cittadina natale (testuali parole), l'istrionico e venticinquenne frontman, Jack Jones che aveva già "confuso" Gallagher con John Lennon, si inimica eternamente Noel:

 

"They wanna know who built the moon?"
"We all know it was Liam fuc*ing Gallagher"
.

 

Il clima di festa rock coi contro fiocchi prosegue con i Rat Boy (band made in Essex a tratti ispirati dalla rabbia ribelle dei The Clash e il modernismo dei The Beastie Boys), anch'essi freschi di debutto col loro "Scum", disco dal quale era stata estratta la "Laid Back" che oltremanica aveva già doverosamente imperversato in radio, a ulteriore dimostrazione di come in Inghilterra si mangi davvero male ma almeno il vivaio rock sia ancora alive and kicking.

 

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Esaurita la contagiosa adrenalina di "Revolution", le luci tornano ad accendersi e finalmente l'arena finisce di riempirsi quasi alla massima capienza (si viaggia sulla dozzina di migliaia di persone) sulle note di "Get Back dei The Beatles, "Jean Genie" di David Bowie ma soprattutto "I Am The Resurrection" dei concittadini Stone Roses, ultimo asso calato per scaldare gli animi già fradici di birra e/o qualsivoglia alcolico, as usual (con tanto di fan entusiasta capitombolato giù dagli spalti for a certain lack of balance).

 

"We put this festival on you bastards, with a lot of love
We worked for one year for you pigs
And you wanna break our walls down?
And you wanna destroy it?
Well you go to hell!"

[Rikki Farr, Isle of Wight festival 1970]

 

Se non la si fosse riconosciuta, ad aprire il main act della serata, è stata la magistrale scorrettezza di "Fuckin In The Bushes", opener non soltanto dell'altrimenti trascurato "Standing on the Shoulder of Giants" ma anche di numerosissimi concerti degli Oasis che, come da rodata tradizione, catalizza gli animi giocando la consunta, ma non per questo inefficace, carta "nostalgia". Con un'epica doppietta come "Rock 'n' Roll Star" & "Morning Glory" in apertura è facile illudersi per un attimo di essere tra il quarto di milione di fan presenti a Knebworth, evento meravigliosamente omaggiato nel recente documentario "Supersonic". Il bel sogno però si infrange con la successiva "Greedy Soul", unico pezzo dei nuovi a poter vantare una parvenza d'arroganza vecchio stampo. Seguono poi, inevitabili come una condanna, gli altri brani selezionati da "As You Were", passando dalle maracas di "Wall of Glass" ai fiati di "Bold", culminati nella "For What It's Worth" il cui ritornello è stato cantato all'unisono dai presenti alla stregua di un classico.

 

Si torna poi ai sacri anni '90 con una delle B-side più amate dai fan, "Rocking Chair", e la più nota ed esistenziale "Some Might Say" che naturalmente fa la gioia di tutti. La carrellata di successi del passato prosegue con la bellissima "Slide Away" immoralmente mutilata del controcanto finale e la colossale "D'You Know What I Mean?" inno del pendolare northern soul.

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Impossibile o quasi a questo punto fare di meglio, quindi tanto vale sacrificare brani quali "Outta Time" (ancora Oasis) e le più recenti "Come Back To Me" e "You Better Hide" (che comunque dal vivo beneficiano dell'effetto swag come già era stato per "Bold") a mo' di pezzi cuscinetto prima della tanto desiderata "Supersonic" che già al più intimo Alexandra Palace di Londra, una settimana prima, a detta di testimoni oculari, aveva quasi tirato giù il tetto. Infine è il turno della title-track di "Be Here Now", inserita in scaletta per il gusto di far della sana caciara e per fare un dispetto più al fratello maggiore che al pubblico, visto l'entusiasmo dimostrato dai fan sul "come on, come on/yeah yeah yeah" finale. Inevitabile e facilmente pronosticato trionfo unanime, nonostante qualche taglio e riarrangiamento, per non parlare della performance canora che sebbene abbia retto meglio che a Londra è ormai evidentemente deficitaria. Tempo di tirar le somme (più che birra e bicchieri sui malcapitati sottostanti) dunque. A parità di venue, e con solo tre mesi di scarto, meglio Noel o Liam quindi?

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Come saggiamente replicato da Tiger dei Kadavar, scegliere un Gallagher rispetto all'altro è come decidere se si preferisca il sale o il pepe. Se da una parte l'emozione trasmessa da Noel in brani tradizionalmente associati al fratello ("Champagne Supernova" e, udite udite perfino "Wonderwall") è stata effettivamente più sentita di quanto offerto da Liam, questi replica alla ruvidezza e scarna cornice (zero effetti visivi, salvo le luci, e minima interazione col pubblico, sebbene per un'ultima data del tour, per di più in patria fosse lecito aspettarsi ben altro che la solita batutta sui tifosi dello United) con una dose massiccia di carisma ancor'oggi irresistibile e fuoriscala.

 

D'altro canto, ciò conferma quanto si è sempre saputo: date a Liam un microfono e vi solleverà il mondo. Perfino col cappuccio tirato giù fin quasi sul naso, per più di un terzo di scaletta, niente riesce a scollare gli sguardi dalla bocca mentre mitraglia versi, di cui paradossalmente non può vantare la paternità ma alla cui fortuna ha insindacabilmente contribuito, anche soltanto con quell'inconfondiile attitude che, duole dirlo, Noel non riuscirà mai a vantare. Basti pensare all'effetto magnetico di quelle labbra a corteggiare, anzi premere contro il microfono, punto focale di una delle pose più iconiche del rock. E se felpa della Umbro e il tamburino di Maine Road sono stati rimpiazzati da parka griffato e maracas in realtà pare non fregare niente a nessuno, al meno non allo zoccolo duro dei fan.

 

dkrr_wixcaa6lkcTutto il resto infatti è ancora squisitamente cazzuto come da copione, esattamente come allora. Certo, all'appello manca pure una certa chitarra con la Union Jack ma è lo stesso Noel però a snobbarla ormai (insieme a molto altro purtroppo), tradendo così l'affetto di quella fetta di fan nostalgici che altro non vorrebbero che venissero finalmente seppelliti orgogli e asce di guerra for the greater good. Non resta dunque che lasciarsi consolare da una delle ultime vere e autentiche rock n roll star in circolazione, con il più desiderato degli encore: la strepitosa "Cigarettes & Alcohol", "Wonderwall" e la conclusiva "Live Forever", doverosamente dedicata alle 22 vittime dell'attentato nell'unica e minimale proiezione della serata.

 

Non me ne voglia Noel ma Ourkid e la sua big mouth hanno comunque sbancato.

 

"The lasts two songs are called... I'll sing them for £20 of Guinness".


Cheers, mate
.

 

 

 

Setlist:

Fuckin in he bushes

Rock 'n' roll star

Morning Glory

Greedy Soul

Wall of Glass

Paper Crown

Bold

For What It's Worth

Rocking Chair

Some Might Say

Slide Away

D'You Know What I Mean

I'm Outta Time

Come Back To Me

You Better Hide

Universal Gleam

Supersonic

Be Here Now


Encore:

Cigarettes & Alcohol

Wonderwall

Live Forever




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