Low - Double Negative Tour 2019
08/04/19 - Auditorium Parco della Musica, Roma


Articolo a cura di Simone Zangarelli

Il concetto di catarsi era ben noto già più di duemila anni fa ai Greci, che, assistendo alla tragedia insieme a teatro, riaffermavano un'identità e si liberavano dalle paure più recondite. Se negli anni questa pratica di condivisione e purificazione è andata svanendo, lasciando il posto a esperienze di fruizione più immediate e bulimiche, alcuni sprazzi di luce riaffermano oggi il significato più profondo del momento artistico. Questa fiamma, i Low la custodiscono con gelosa perizia dagli esordi, e l'8 aprile scorso, in un lunedì come tanti, l'hanno orgogliosamente mostrata al pubblico che gremiva entusiasta la sala Sinopoli dell'Auditorium Parco della Musica. Reduci dalla pubblicazione del capolavoro "Double Negative" (di cui si avrà modo di entrare nello specifico più avanti), il trio di Duluth ha catalizzato l'attenzione per due ore di concerto durante il quale si è fatto i conti con le emozioni più diverse. Grazie a un apparato sonoro onirico ed evocativo, i Low sono riusciti a far confrontare i fan con la propria interiorità, e la risposta di ognuno è forse l'aspetto più curioso: dalla sensazione di calma di "Always Up", passando per l'inquietudine oscura di "No Comprende" e la dolcezza di "Part Of Me", fino al raptus nevrotico di "Tempest".

 

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"Quorum", con il suo ritmo ieratico. introduce la band sul palco e fa emergere gli elementi di novità che contraddistinguono l'ultima fatica in studio: l'impiego ben calibrato della componente elettronica e le atmosfere nichiliste spingono il trio verso un rock d'avanguardia, oscillante tra lo straniamento tipico del post rock e l'inquietudine dell'avant-pop. Cruciale anche l'uso dell'effettistica per basso e chitarra, capace di far strabuzzare gli occhi, per via del tessuto sonoro, a quella fazione post rock elettronica che si serve di complicatissime attrezzature per realizzare musica ambient. Invece, la chiave di volta dei Low è proprio la loro semplicità, l'uso anticonvenzionale di strumenti tradizionali del rock, che in diversi momenti li avvicina concettualmente ai padri del genere, i Sonic Youth, e ai The Cure di "Pornography". Un groove di basso e batteria segna il passaggio al registro più grave con "No Comprende", dove la solennità della musica lascia spazio alle voci dei coniugi Sparhawk, che si rincorrono come in una danza. L'eleganza nel tocco di Alan Sparhawk (voce e chitarra) si mostra con chiarezza durante "Plastic Cup", dove le ritmiche suonate ora sul corpo della sei corde, ora sul manico creano variazioni sonore importanti, a rimarcare in ogni brano l'importanza dei dettagli. Tutta la grazia e la tecnica canora di Mimi Parker (batteria e voce) emerge in una malinconica ballata dal titolo "Holy Ghost" per poi arricchire anche la successiva "Part Of Me", che segna il passaggio al lato più folk del gruppo americano. Il trittico "Tempest", "Do You Know How To Waltz" e "Lazy" sconvolge per la precisione negli stacchi, ma soprattutto per due lunghe parti di improvvisazione rumorista fra un pezzo e l'altro, fatta di chitarre urlanti, ritmiche convulse e groove minacciosi, come a riversare la rabbia sullo strumento per cercare un contatto senza filtri col pubblico. Tanto spontanea quanto spiazzante, la parte improvvisata mette i presenti a contatto con un tipo di esibizione non immediata, fatta di impressioni e sinestesie tipiche di generi come lo shoegaze dei Jesus and Mary Chain e Slowdive, ma al contempo rivelatori di uno spirito creativo audace. Un richiamo alla psichedelia degli anni '60-'70, allo stile di Jefferson Airplain e all'acid-folk britannico. Si ritorna sulla Terra con "Especially Me", pezzo essenziale e diretto in cui è il basso di Steve Garrington a farla da padrone grazie a una tecnica invidiabile e l'utilizzo totale dello strumento, dai registri più gravi e quelli più acuti, dall'appoggio con semplici toniche agli accordi. Una performance memorabile. Di grande effetto l'utilizzo di tre pannelli luminosi che accompagnano con proiezioni semplici e suggestive lo scorrere dei pezzi. Unica nota deludente è la mancanza di pezzi fondamentali nella scaletta come "Lullaby" e "Words", emblema di quello stile slow-core che i Low hanno creato negli anni ‘90 grazie al loro primo LP, il capolavoro "I Could Live In Hope", ma comunque una scelta motivata da esigenze artistiche.

 

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Venticinque anni di gloriosa carriera racchiusi in una sola notte, uno sfoggio della parabola artistica della band che non ha mai presentato alle stampe due dischi uguali e che negli anni ha creato un vero e proprio marchio di fabbrica, e il ritorno emotivo del pubblico è la prova del nove. Un suono inebriante, mesmerico e a tratti futuristico rende l'esperienza di ascolto dei Low un evento totalizzante e senza scampo per chi cerca rifugio nell'immediato, nel facile. Impossibile non trovare spunti di riflessione difronte ad un'esibizione di tale intensità e altrettanto difficile uscire dalla rete tessuta pazientemente dalla band. 

 

Setlist

Quorum
Always Up
No Comprende
Plastic Cup
Holy Ghost
What Part of Me
Tempest
Do You Know How to Waltz?
Lazy
Dancing and Blood
Always Trying to Work It Out
Poor Sucker
Nothing but Heart
Especially Me
Lies
Fly
Disarray
Encore:
Laser Beam
Murderer

 




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