Mastodon
10/12/14 - Fabrique, Milano


Articolo a cura di Stefano Risso

I Mastodon chiamano, Milano risponde. Buonissima risposta di pubblico quella accorso al Fabrique nella giornata di ieri per il quartetto di Atlanta che mancava come headliner dai nostri palchi dal 2012 (se escludiamo la comparsata al Sonisphere nel giugno 2013), ricalcando il trend che vede i nostri sempre più sulla cresta della “popolarità”, almeno oltreoceano, tra dati di vendita sempre crescenti e ospitate in tv sempre più frequenti. Ma è proprio tutto oro quello che luccica?

Prima di rispondere alla vexata quaestio, ci soffermiamo alle band incaricate di scaldare (in tutti i sensi, il generale inverno è finalmente arrivato) la serata: Krokodil e Big Business. Se su disco, il debutto “Nachash”, il nostro responso non è stato così favorevole (più per una mancanza di originalità che altro), dal vivo i cinque inglesi ribaltano completamente il giudizio. I Krokodil saranno pur derivativi, Neurosis, Mastodon (una citazione nella citazione quindi) e compagnia bella saccheggiati a piene mani, ma convincono senza mezzi termini. Abili nel destreggiarsi nelle complicate strutture dei propri brani, spettacolari quando basta, precisi e potenti. La classica band che rende meglio live e che spinge a “rivalutare” quando ascoltato in studio. Destino diametralmente opposto per il duo dei Big Business, formato da basso/voce e batteria. Causa anche la defezione del chitarrista Scott Martin, l’insolito duo è autore di un’esibizione che avrebbe potuto rendere di più. Il loro sludge/stoner è sfibrante e agressivo, fatto di lunghe composizioni che alla lunga tendevano ad avvilupparsi sempre più senza mai arrivare al dunque. Ci rendiamo conto che non tutti sono gli Om (per rimanere in ambito sludge) ed esibirsi con soli basso e batteria non è semplice, ma complice anche la prova vocale discutibile di Jared Warren, i tre quarti d’ora a loro disposizione sono sembrati interminabili. Da rivalutare.

 

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Ore 22.30, finalmente i Mastodon si manifestano sul palco davanti a una platea davvero molto nutrita. Da dove partire per giudicare la loro prova… Partiamo subito dalle note più spiacevoli, via il dente, via il dolore. Sono anni che lo ripetiamo, ma alla luce di quanto assistito ieri sera il nostro accorato “grido di dolore” è quanto mai attuale: finchè i Mastodon non impareranno a cantare come si deve, non riusciranno mai a compiere il salto di qualità necessario per diventare una “Top Band”. Se su disco la carriera dei ragazzi della Georgia può dirsi stellare, aggiudicandosi la palma della miglior formazione nata negli anni ‘00 a suon di capolavori ormai canonizzati, dal vivo i pareri sono sempre discordanti. È come se i nostri non riescano mai a chiudere il cerchio. Se si va a vedere in concerto i Mastodon, si va per vederli suonare. Stop. Al limite suonare e urlare, oltre non andiamo. Spiace essere così duri con una formazione a cui si guarda con devozione (ben oltre il normale livello “fan”), ma proprio per questo, per onestà intellettuale, non siamo disposti a chiudere un occhio. Possiamo dire che l’unico a salvarsi al microfono è stato Troy Sanders (a cui però sono affidate gran parte delle linee vocali più dure), seguito da Brann Dailor (la voce migliore del lotto, ma spesso in difficoltà e fiato corto, diviso tra batteria e microfono) per concludere con la vocina nasale di Brent Hinds, tanto spettacolare nei suoi assoli, tanto spompato come cantante. Dalla nostra postazione (frontale al palco), la sua voce arrivava fioca, aiutata a più riprese da Dailor, Sanders e Kelliher (troppo marginale il suo contributo vocale per criticarlo), e sempre in difficoltà.

mastodon_fabrique2Non un accanimento il nostro, perchè se presenti una setlist in cui devi urlare poco e cantare pulito tanto, mostri inevitabilmente il fianco. E qui arriviamo a un altro punto potenzialmente dolente: la scelta della scaletta. “The Hunter” e “Once More 'Round the Sun” ci sono piaciuti, anche tanto, quindi non siamo vedove del periodo “Leviathan”/”Blood Moutain”. Però dal vivo qualche botta di energia in più ce la saremmo aspettata. I nostri si soffermano per la stragrande maggioranza dell’ora e venti di concerto (breve ma dai ritmi molto serrati per la verità) sui due album più melodici e diretti, convincendo e riconfermandone la bontà (dimentiachiamoci delle vocals per un attimo), ma quando i nostri tornano alla produzione di inizio carriera, è come vedere un centrometrista che compie lo scatto decisivo in una finale olimpica. Il salto di intensità è netto, i Mastodon, ritornati a grugnire e urlare, sembrano finalmente chiudere il cerchio accenna sopra, funambolici, tecnici, “mastodontici”, epici, e quanto di meglio possiamo associare agli americani. Pubblico in delirio, formazione che ti prende a sberle a suon di muri di chitarra, è come se per brevi momenti si passasse ad assistere a un concerto Metal, scritto volutamente con la M maiuscola. Ecco, vista la metamorfosi istantanea che i Mastodon mostrano quando tornano a mostrare i muscoli, sarebbe stato più opportuno compiere un miglior bilanciamento nella setlist tra vecchio e nuovo materiale, ben sapendo che questo era il tour promozionale di “Once More 'Round the Sun”. Un’accortezza che avrebbe sicuramente giovato e ci avrebbe permesso di essere un po’ più clementi coi nostri, ma quando te la vai a cercare…

Una serata tutto sommato positiva, che nonostante tutto non ci ha tolto minimamente la voglia di rividere nuovamente i Mastodon all’opera, Dailor durante i saluti finali ha dato appuntamento in estate, finalmente un po’ più gioviali col pubblico (ci sono scappati pure un paio di “Grazie mille Milano”) e coinvolti sul palco. Manca ancora qualcosa per potersi dire soddisfatti al 100%, ma la speranza è sempre l’ultima a morire. Grandi onori, grandi oneri cari Mastodon, ricordatevelo.
 




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