Mayhem - Purgatorium Europae Tour 2017
17/10/17 - Orion Live Club, Roma


Articolo a cura di Giovanni Ausoni
Dopo una lunga attesa i Mayhem, massimi alfieri del black metal norvegese, planano su Roma suonando integralmente l'opus emblema della nera fiamma: quel "De Mysteriis Dom Sathanas" simultaneamente discusso e idolatrato, simbolo di un intero movimento e lungi dal rivelare segni di cedimento. Al di là delle motivazioni atte a riesumare dal vivo un disco pluriventennale, l'occasione di osservare i protagonisti principali di un'era ricca di stimoli in ambito estremo si presentava propizia. A scortare i norvegesi, gli italiani Naudiz e i britannici Dragged Into Sunlight, loschi figuri fautori di una selvatichezza sonora da lasciare allibiti: le tenebre calano sulla notte capitolina.

 

 

 

naudizNaudiz. Ad aprire la serata provvede il trio romano Naudiz, dedito a un black metal old school memore di Carpathian Forest e Darkthrone, non immune tuttavia da venature doom: schietto e inevitabilmente gradito il mood generale evocato dai brani proposti, tratti sia da "Wulfasa Kunja" (2017) che da "Aftur Till Ginnungagaps" (2014). Non interessa la creazione di un'atmosfera suggestiva: il norreno rigurgitato dall'ugola fiera di Uruz Dagaz risulta incomprensibile quanto affascinante. Niente tremolo picking, né raffinatezze, bensì fraseggio potente e furentemente marziale: la costruzione di un wall of sound massiccio e privo di compromessi e la passione profusa nel breve tempo a disposizione regalano la deliziosa sensazione che l'underground sia in grado di sopravvivere sine die. Intanto l'uditorio, ancora sparuto, apprezza.

 

 

Dragged Into Sunlight. Una frotta di malsane band dal gusto radicale sembra attendere con albagia l'apocalisse imminente, ma poche appaiono complici nella sua perpetrazione come i Dragged Into Sunlight. Nessun paludamento officiante né trucco cadaverico. Il collettivo di stanza a Liverpool si presenta semplicemente in jeans e t-shirt e con la particolarità di interagire volgendo le spalle al pubblico durante il concerto: del resto la logica dell'oscurità è in grado di declinarsi in forme infinite. Partecipare a un loro live significa immergersi in una congerie di suoni piuttosto impressionante: una miscela fangosa in cui doom, death e black rivisitati in chiave noise/sludge brutalizzano l'ascoltatore realizzando un disegno pregno di violenza e sopraffazione auricolare piacevolmente molesta. L'installazione di un candelabro massiccio, provvisto di un cranio caprino nel mezzo, precede l'entrata in scena dell'ensemble britannico: solo quando tutti i sette bracci votivi brillano accesi e piccoli teschi ovini vengono posizionati in vari punti del set la malvagità penetra nei bui anfratti del locale ora maggiormente carico di astanti equino criniti e calvi body builders di nera militanza. Un'introduzione rumorosa e lancinante in power electronics, debitrice di Gnaw Their Tongues e Whitenoise, inaugura l'esibizione: il singer, curvo sul microfono, intraprende la tortura delle proprie corde vocali muovendosi tarantolato mentre evoca dalle profondità dell'anima demoni intimi e personali. L'esorcismo procede issandosi prevalentemente sulla scaletta del debut album "Hatred For Mankind" (2009), tra melmosi inserti strumentali, scariche di virulenza dilaniante e voci registrate veicolo di atroci violenze: Mosè frenetico sulla folla atrofizzata da tanto odio vomitato in dosi massicce, il frontman T sostenuto dall'accolita che lo asseconda in toto, rovescia imperterrito tavole di pietra vergate col sangue della sofferenza e dell'angoscia. Luci disturbanti, vapori nebbiosi e odore di fumo cimiteriale guidano la torma in un cieco tunnel di orrori e lacerazioni: poi un soffio sinistro spenge i moccoli ormai consunti e gli albionici scompaiono solerti trasportati da una spessa coltre malefica.

 

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Mayhem. Qualche minuto di pausa e tocca all'attrazione della serata. Il palco si riempie di drappi raffiguranti angeli accasciati su lastre di marmo: la numerosa platea grida all'unisono il nome di Attila, ma il carismatico magiaro si materializza poscia i compagni d'arme, eccitando la massa adorante. Inizia "Funeral Fog" e il delirio finalmente si concretizza in un headbanging sfrenato: l'aggiunta di una nuova chitarra rispetto all'album in studio, combinata con una non perfetta equalizzazione dei suoni, rendono inizialmente le parole di Csihar difficilmente percepibili, rovinando in parte una pista di grande caratura.

 

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Fortunatamente dopo qualche minuto la situazione migliora e, nonostante il frastuono strumentale non sempre risulti una carta vincente, i musicisti, avvolti interamente da una tunica enorme, diventano minacciosi protagonisti di un culto esoterico che affonda le radici nel passato leggendario e drammatico del combo. Hellhammer, unico membro a capo scoperto, non perde la tentacolare abilità dietro le pelli e, seppur invisibile all'occhio umano, dimostra quanto infondate fossero le accuse di aver utilizzato sezioni di batteria campionata nel disco in studio.

 

"When it's cold. And when it's dark. The freezing moon can obsess you". L'urlo straziante di Dead marchia a fuoco la partenza di "Freezing Moon": Necrobutcher, escluso all'epoca dall'incisione di "De Mysteriis Dom Sathanas" (1994), sevizia il basso con una pervicacia quasi commovente assistito da uno ieratico Ghul, immobile e glaciale nel pizzicare con seghettato furore le funicelle del tetro arnese a sei corde. Si passa rapidamente a "Cursed In Eternity" e il coinvolgimento generale diviene contagioso: Attila salmodia con forte convinzione e verso la fine della traccia la componente emotiva raggiunge apici inusitati. "The demon flies in the blackened stress skies / and crawls in the bottomless depths of hell": spiriti maligni affioranti da dimensioni infernali volano sulle teste della turba in solluchero. Nondimeno emerge una certa stanchezza in "Pagan Fears": scarsamente arrembante e inutilmente rumorosa, avrebbe meritato ben altra interpretazione.

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Immersi in esalazioni multicolori, i cinque si ritirano nel backstage per uno studiato break: la scenografia muta aspetto, compare un tavolino corredato da un teschio tra due ceri roventi, i festoni ritraggono sacerdoti diabolici e animaleschi. I Mayhem rientrano e "Life Eternal" vibra fresca, veloce, spietatamente black: Necrobutcher accetta un tiro di sigaretta dal popolo in esaltazione, Teloch si erge ad assoluto mattatore, con un face painting cadaverico rammentante gloriosi momenti di putrescenza e un riffing work tipicamente zanzaroso e scatenato, Csihar mostra le doti di divino incensiere agitando gli organi prensili secondo leggi misteriose ed emettendo moniti di grasso fragore. "From The Dark Past" non catalizza particolarmente le attenzioni palesandosi anche on stage come il pezzo relativamente debole del lotto; "Buried By Time And Dust" invece spicca in virtù della mossa del cantante ungherese di rimuovere il cappuccio e ostentare il volto pallido e grondante sangue al mucchio fuligginoso. Brividi e fascino si accavallano confusamente, finché la scena modifica le cangianti vesti. Spuntano scheletri incapsulati in un saio prima dell'avvio della title track: muti testimoni dell'ultima lauda declamata in latino e in inglese. Il vocalist, pesante croce rovesciata al collo e paramenti sacri sulle spalle, sussurra versi a un volto disossato, avvicinandogli morbosamente le labbra in un bacio mortifero. È giunta l'ora della fine: Necrobutcher stringe mani elemosinanti, Hellhammer getta nelle fauci della moltitudine le soprannaturali bacchette, Csihar porge i saluti finali con strani gesti benedicenti senza proferir parola. L'opera può dirsi compiuta: dopo il sacco di Alarico la divina urbs subisce l'onore di essere depredata dall'orda di Attila e dai suoi degni generali. Roma capta est.

 

 

"Heic Noenum Pax
Bring us the goat
Psychomantum Et Precr Exito Annos Major
Ferus Netandus Sacerdos Magus

Mortem Animalium" 

 

 

Setlist Mayhem

Funeral Fog
Freezing Moon
Cursed In Eternity
Pagan Fears 

Life Eternal

From The Dark Past

Buried By Time And Dust

De Mysteriis Dom Sathanas 




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