"In The Passing Light Of Day" European Tour
06/04/17 - Circolo Magnolia, Segrate


Articolo a cura di Cristina Cannata

Il progger d'eccellenza ha tipicamente 3 caratteristiche: è classy ed ha una certa propensione verso il concetto di "nicchia", ha una profonda avversione verso tutto ciò che è pari (ma dai?) e colleziona concerti che reputa degni di essere definiti tali, selezionandoli accuratamente, senza perdere tempo e denaro in altre cose varie ed eventuali.
Bene, un concerto dei Pain Of Salvation, per un progger, è proprio uno di quelli da collezione.

La band capitanata da Daniel Gildenlöw torna in Italia a poco meno di due anni di distanza: stesso posto (il Magnolia di Milano), stessa gente (o quasi), musica nuova (finalmente).
Già, perchè finalmente i Pain Of Salvation, tra terremoti di lineup, la dura malattia di Gildenlöw e lavori come "Falling Home" e remix di "Remedy Lane", a sei anni di distanza dall'ultimo vero lavoro "Road Salt One" e "Two" hanno tirato fuori un'altra delle loro genialate: "In The Passing Light of Day". Genialata che il progger d'eccellenza non vedeva l'ora di sentire dal vivo, con tutto quell'alone di aspettative che, a giudicare dalle facce presenti in sala, non sono state per nulla disattese, anzi.

Una sala piena, pienissima, già appena dopo l'apertura porte e all'apparizione sul palco della band d'apertura, i Port Noir. I tre ragazzotti biondissimi e con occhi chiarissimi, svedesi -ovviamente- di Södertälje, ridente paesino vicino Stoccolma, propongono uno spettacolo che subito smuove l'interesse delle teste presenti, manifestato in un headbangig accennato già alla fine del primo pezzo, al termine del quale scatterà un fragoroso applauso la cui intensità accrescerà man mano che si raggiungono le rispettive ultime note di ogni pezzo in scaletta. I Port Noir propongono una cozzaglia di elementi ben strutturata ed equilibrata: una voce delicatissima e impostatissima, attenta, unita a nuance nu metal, gothic rock, un po' di new wave ed il gioco è fatto. Il pubblico è conquistato e la promessa di acquistare il loro ultimo lavoro "Any Way The Wind Carries" è strappata. Bene.

Pochissimi minuti di cambio palco, giusto per sistemare le ultime cose e le luci si fanno scure e blu: arriva sul palco Gildenlöw. Capelli raccolti, maglioncino e piedi scalzi, ha qualcosa da dire prima di dare il via allo show, ha una dedica da fare. Sì, perchè questo concerto è stato tutto per Alberto Granucci, fondatore del fan club italiano dei Pain Of Salvation, scomparso prematuramente qualche giorno prima. Parole toccanti quelle del frontman, che ricorda la sua malattia e con evidente tristezza, espressa tramite un dolce sorriso, ci tiene a precisare che Alberto sta comunque guardando questo concerto.

 

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Ancora qualche minuto, giusto per dar il tempo all'applauso di svanire e a Gildenlöw di sciogliersi i capelli e togliersi il maglioncino (meno male...), e uno dopo l'altro i Pain Of Salvation vanno in postazione. Ad aprire le danze ci pensa "Full Throttle Tribe", tra salti e headbanging di Daniel, dondolamenti di Ragnar Zolberg e colpi violenti di Léo Margarit, per poi passare ad altri due gioielli del nuovo album, "Reasons" e "Meaningless". Il pubblico c'è e si fa sentire. Oltre al fatto che subito dimostra di essersi preparato per benino: tutti cantano tutto, parola per parola, a memoria. E Daniel se ne accorge "Tu conosci tutti i testi"- dice rivolgendosi ad un ragazzo in sala- "se dimentico qualcosa guarderò te".


La scaletta scorre velocemente senza tempi morti, proponendo presente e passato della band. Le chitarre convinte e graffianti di "Linoleum", sostenute dal pizzico delle corde del basso di Hielm e dai tocchi di Karlsson, che poi sfociano in "A Trace Of Blood", "Rope Ends" e "Beyond The Pale" (lunga vita a "Remedy Lane"!). Gioia pura. Si toccano livelli altissimi di perfezione e tecnicismi. Le dita di Gildenlöw sul manico della chitarra non accennano a fermarsi ed ecco che parte la tanto attesa "Ashes" sostenuta dalla impeccabile e bellissima voce di Zolberg, un po' emozionato dalla presenza della mamma in sala, che dimostra di saperne davvero tanto.

 

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Le orecchie dei presenti sono estasiate e, aggiungerei, anche gli occhi -delle donzelle, principalmente-: reso translucido da vagonate di sudore, con capelli che continuano ad impigliarsi nelle chiavi della chitarra, Gildenlöw propone una delle ballate più dolci che abbia mai scritto, "Silent Gold", facendo scendere un religioso silenzio e portando sulle facce dei presenti un'espressione davvero emozionata.

La connessione tra la band e il pubblico è tangibilmente altissima: Gildenlöw parla, e parla tanto, scherza, coinvolge e sorride. Sorride. Tantissimo. E il pubblico con lui. Soprattutto quando dal nulla lo svedese tira fuori una frase come "Quanto costano 5 litri di benzina senza piombo?" A caso. Ci piace.

A chiudere, per finta, il tutto ci pensano l'energetica e apprezzatissima "On a Tuesday" e l'evergreen "The Pshysics Of Gridlock", prima di vedere la band sparire per qualche secondo dietro le quinte e riapparire per ben 15 minuti di "The Passing Light of Day", canzone dedicata ad Alberto, perfetto punto fermo finale al tutto.

C'è poco da dire: i Pain Of Salvation non deludono. Mai. In tutti i sensi.

 

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