
Con alle spalle una carriera ormai parecchio lunga (il decennale fu festeggiato nel 2011, con un tour che, in occasione del Prog Fest di Veruno, li vide porre piede per l'ultima volta prima d'ora in terre italiche) i Riverside, aiutati sicuramente dal fatto di poter attingere a un repertorio ormai enorme e molto ben assortito, sembrano essere riusciti a trovare l'equilibrio perfetto: quello che permette, nelle due ore circa di esibizione on stage, di far contenti in egual misura coloro i quali si presentano per stare a capo chino e occhi chiusi, pronti per lasciarsi andare in avvolgenti trip guidati da tastiere sognanti, ma anche rocker borchiati che bramano l'anthem da cantare tutt'insieme a unica voce, o il riff prolungato balzellante e adrenalinico, o ancora l'assolo duraturo che suoni come vibrante ode all'essenza del prog. Noi di SpazioRock li abbiamo visti all'opera in quel del Factory di Milano, in una tappa della tranche autunnale del New Generation Tour, lunghissima tournée che li ha portati in giro per l'Europa, per gli States e poi di nuovo per l'Europa, per promuovere il quinto album in studio "Shrine Of New Generation Slaves".

Lasciati a New York i Jolly, compagni di etichetta e fino a poco tempo fa anche di tour, l'apertura dell'evento, come in tutte le date di queste settimane, è affidata ai connazionali Maqama, giovane quartetto dal sound ben inquadrato all'interno del movimento alt-prog made in Poland (non poche le somiglianze con i Retrospective) ma recante -come un buon 90% delle band del genere formatesi negli ultimi anni- il palese segno dell'influenza dei Tool. Una sezione ritmica abbastanza scolastica fa da base a canzoni un po' troppo simili tra loro (viene riproposta nell'interezza la tracklist del secondo LP "Gospel Of Judas") ma rese comunque godibili e coinvolgenti da una discreta presenza scenica del buon vocalist Kamil Haidar e dalle notevoli contorsioni alle sei corde -o alle dodici dell'Oub elettrico sull'interessante "Orient Drive"- del chitarrista Mateusz Owczsarek. Il pubblico applaude e apprezza: a fine serata, mentre molti cercano di farsi spiegare dalla stessa band come diamine si scriva il loro nome, al rimorchio adibito a banchetto merch il digipak del disco vende una quantità non trascurabile di copie.

A costruire il mood perfetto per l'ingresso in scena dei protagonisti della serata ci pensano i venti minuti di jazzy-ambient delle "Night Sessions" (direttamente dal bonus disc di "Shrine Of New Generation Slaves"), diffusi dagli altoparlanti durante l'allestimento del palco. Su un lieve tappeto di eteree tastiere, e insieme a una coltre di fumo alzatasi nel buio, si stagliano limpide le prime vocals di Duda, nella perfetta opener "New Generation Slave". L'esplosione di adrenalina che chiude il pezzo pone le basi per l'esecuzione di due delle più forti hit della band, seguendo una scaletta già ampiamente collaudata nelle tappe precedenti: il malinconico singolo "The Depth Of Self-Delusion", impreziosito da un lungo, velocissimo e orientaleggiante solo di basso sul finale; la coinvolgente "Feel Like Falling", con il suo beat energico e la sua coda rocciosa. I tempi si rallentano nella parte centrale della setlist, dominata da una splendida "Living In The Past": i synth, in appoggio ai quali giunge un cerchio di fari rossi accesi a intermittenza, pulsano disarmonici creando un'atmosfera tesa, inquietante e impenetrabile, lacerata da esplosioni di luce e power chords distorti che giungono come violentissime, dolorose sferzate. Sarà invece un raffinato piano a guidare le delicate morbidezze della recente "We Got Used To Us" o dell'indimenticata ballata "Conceiving You", conclusa dall'elegante compostezza di uno dei più trascinanti assoli, alla chitarra, di Piotr Grudzinski. Confermandosi ancora una volta musicisti impeccabili, i quattro di Varsavia mostrano anche di possedere una verve da intrattenitori cresciuta esponenzialmente col passare degli anni. Inevitabilmente, a catalizzare gran parte dell'attenzione durante lo show è la figura di Duda: il vocalist mima con enfasi le lyrics, chiude minuti di virtuosismi al basso inginocchiandosi con vistosa teatralità, chiede alla platea di intonare i temi dei pezzi e pretende rumorosi segnali di approvazione (su "02 Panic Room" l'intera band si blocca improvvisamente prima del secondo ritornello, e attende di essere "risvegliata" dalle ovazioni degli spettatori). Una personalità carismatica e solenne, a cui fa piacevolmente da contraltare -prendendola talvolta apertamente in giro, come nel caso della presentazione della band a fine serata- quella di Michal Lapaj, che con uno stile inguaribilmente scanzonato dispensa arrampicate sulle tastiere e memorabili (quanto improbabili) espressioni facciali in accompagnamento ai gemiti del theremin.
Unico neo della serata, che funesta irreparabilmente la resa dei dodici lunghi brani, resta la pessima acustica del piccolo palco, che sovrappone anche a sonorità auspicabilmente limpide indesiderati strati di fischi ed eco. Ma se gli sguardi scambiati sul palco sono tra l'indispettito e lo sconsolato, in quelli degli astanti non si legge altro che ammirazione e rapimento. L'encore, che sembra arrivare troppo presto, regala la potenza dell'hard rock di "Celebrity Touch" e l'inarrivabile poliedricità di "Left Out": su quest'ultima un coro, alzatosi dal pubblico, si fonde alle chitarre per guidare uno straripante, travolgente crescendo. Un autentico delirio la conclusione: nell'esplosione di tutte le energie ancora imbrigliate si perdono plettri e saltano corde, in quella che è al tempo stesso la degna chiusura di un live impeccabile e la dimostrazione di avere ancora tantissimo da raccontare. Uno scoppiettante arrivederci alle prossime occasioni, che magari faranno, con pieno merito, la gioia di platee sempre più grandi.
Setlist Riverside:
Night Session 1
Night Session 2
New Generation Slave
The Depth Of Self-Delusion
Feel Like Falling
Reality Dream III
Living In The Past
We Got Used To Us
Egoist Hedonist
02 Panic Room
Conceiving You
Escalator Shrine
Celebrity Touch
Left Out