Sziget Festival 2018 day 4-7:Arctic Monkeys, Mumford & Sons, Liam Gallagher and more
11/08/18 - Isola di Obuda, Budapest


Articolo a cura di Simone Zangarelli

Giorno 4

 

La ventiseisima edizione dello Sziget Festival entra nel vivo per la quarta giornata grazie ad una serie di esibizioni dalla potente carica emotiva. La temperatura più fresca rispetto ai giorni precedenti richiama tutti i szitizens sotto ai palchi e in giro per le strade. Dopo una mattinata ideale per fare attività fisica nella sport zone o seguire i numerosi workshop, già dal primo pomeriggio risuonano note su tutti i palchi, occupati dai primi fedelissimi. L'apertura del Lightstage, il palco dedicato interamente ai giovani artisti della scena emergente italiana, vede susseguirsi musicisti di vario genere: il rock acustico di Junior V, gli stravaganti Gomma, la voce suadente di Joan Thiele, il cantautorato pop di Galeffi e moltissimi altri. Ogni giorno tre artisti si esibiscono sul palco situato accanto all'Alternativa Camping, il campeggio "più italiano" del festival.
Il main stage invece è quasi del tutto britannico: si inizia con la cantante Lianne La Havas, di origini greche e giamaicane. Voce soave, tecnica invidiabile e bella presenza, l'artista affronta un palco gigantesco armata unicamente dellla chitarra e del proprio talento. Porta in scena un soul moderno, fresco, impreziosito da raffinati virtuosismi sia nelle parti cantate che in quelle strumentali. La precisione caratterizza la sua esibizione, conducendo delicatamente il pubblico verso la conclusione, seguita dal tradizionale party che si tiene ogni giorno alle 19.00, quando vengono distribuiti gadget ai presenti del Dan Panaitescu stage e filmati dall'alto mentre mostrano il loro entusiasmo.
Il tramonto su Budapest segna l'ingresso dei Bastille. Una formazione che unisce la band ad un set elettronico, caratterizzato soprattutto dai bassi, si dimostra vincente su questo palco. La carica ed il contatto con il pubblico sono parte dello show in modo inedito: Dan Smith, voce potente ed accurata della band inglese, attraversa tutto il parterre per cantare dalla torre del mixer, i musicisti invitano a battere le mani. Senza tralasciare nessuna delle hit, il gruppo alterna canzoni frenetiche a pezzi più rilassati e lenti, mantenendo sempre alta l'attenzione dei fan. Tecnicamente solidi, Dan Smith canta ogni nota con convinzione e la chitarra gioca con effetti interessanti, creando uno spettacolo sorprendentemente diverso dal disco e da quello di altri colleghi dello stesso genere.

 

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Alle 21.30 si spengono le luci e davanti al pubblico si presentano gli attesi Mumford & Sons, acclamati da un boato assordante. È subito spettacolo con il primo dei tre brani inediti suonati durante il concerto "See A Sign", ballata country che si trasforma in grintoso sfoggio di doti vocali per Marcus Mumford. Dal punto di vista strumentale, le esecuzioni risultano più convincenti rispetto ai dischi, con grande controllo sulle dinamiche. Sono scatenati, corrono da una parte all'altra mantenendo un'empatia eccezionale con i fan. Emotivi, spontanei, il gruppo inglese chiama sul palco Lianne La Havas per una stupenda versione di "Awake My Soul", incontro di due splendide anime, mentre con la nuovissima "Woman" lasciano presagire un album ricco di sorprese per l'impiego di synth. Il loro concerto sembra invaso da un alone di magia, il pubblico guarda incantato i quattro musicisti che mettono tutto loro stessi e ricevono un affetto palpabile. Tutti a saltare durante la chiusura con "I Will Wait" e "The Wolf". Ognuno canta a squarciagola fino all'ultima nota, è un trionfo. Alla fine rimangono tutti immobili, come sotto incantesimo, la folla non si muove anche quando gli artisti hanno lasciato il palco. Qualche momento di incredulità per ciò che si è appena visto, una prova di altissimo livello quella dei Mumford & Sons con il loro folk-rock agrodolce. L'asticella ormai sembra irraggiungibile, i quattro hanno realizzato qualcosa di indimenticabile.
I concerti si concludono con il set di Zhu, dj e cantante raffinato, che ama alternare generi molto diversi nei suoi show, includendo parti strumentali di sassofono e chitarra. Una vera chicca per gli amanti dell'elettronica.

 

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Giorno 5

 

Un nuovo giorno ha inizio sull'Isola Della Libertà. Dopo il sold out registrato per la giornata di sabato, altrettante persone sono attese per una delle rassegne più rock del festival: prima gli islandesi Kaleo, attualmente tra le band più apprezzate del panorama rock, soprattutto dopo la nomination ai Grammy Awards di quest'anno. Propongono un blues di impatto, giovane e capace di far divertire anche i meno affezionati al genere. Presenza scenica e groove formidabile rendono i Kaleo magnetici, se a questo poi si aggiunge una voce impressionante e tecnica notevole il risultato è un'esibizione speciale. La band islandese non delude le aspettative, ma anzi raccoglie consensi unanimi, sia per via dell'immagine di rock band di qualità sia per il sound solido. I pezzi si rivelano composti con intelligenza, attraversando più groove nella stessa canzone in modo da non risultare scontante nonostante l'apparato semplice.
Pochi minuti dopo sale sul main stage la leggenda del brit pop, l'ex Oasis Liam Gallagher, che presenta al pubblico dello Sziget il suo primo disco solista "As You Were", valsogli un diffuso successo. Inizia con "Rock N' Roll Star" e tornano in mente i live degli Oasis negli anni '90: mani dietro la schiena, leggermente piegato sul microfono e lo sguardo sbruffone. Gli inni generazionali "Supersonic" e "Cigarettes & Alcohol" richiamano tutti ad urlare e l'interpretazione di Liam trasporta i presenti direttamente nell'Inghilterra degli anni '90. Chitarroni esageratamente distorti e basso potente per un'esibizione energica ma fredda da parte dell'RKID di Manchester, che scherza solo con le prime file e non canta metà "Wonderwall". Il finale con "Live Forever" è da pelle d'oca, mentre un cartellone si alza al cielo "It's Fucking Biblical". Tutto sommato l'emozione che mancava la mette il pubblico, intento a cantare ogni parola e a scatenarsi più di quanto non faccia Liam stesso, una dimostrazione di affetto incondizionato.
Mentre sul Main Stage si esibisce l'icona pop Dua Lipa, headliner della quinta giornata di festival, ci pensano gli australiani King Gizzard & the Lizard Wizard a dilettare quella fetta di pubblico non attratta dal main event, proponendo uno show agli antipodi del pop. Una formazione impeccabile, composta da svariati elementi (ben due batterie) souna come un mostro a molteplici teste, tutte sincronizzate fra loro. Anche progressive rock, psichedelia e jazz hanno i loro rappresentanti al festival. Chi meglio di loro poteva far scatenare il pubblico con questo genere? Personalità totalmente stravagante, precisione e struttura complessa delle canzoni lasciano senza parole in un contesto come questo. Una prova da manuale per un gruppo abituato ad un pubblico di nicchia e che ha dimostrato di saper piazzare ogni cosa al posto giusto, esibizione compresa.

 

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Giorno 6

 

Il caldo e la polvere non danno tregua agli szitizens il penultimo giorno di festival, ma, nonostante le condizioni estreme, già dal primo mattino in molti iniziano a prendere posto di fronte al Main Stage. Una rassegna non particolarmente ghiotta per il rock quella del lunedì, ma che riserva qualche asso nella manica: si inizia con l'alternative rock dei Milky Chance, sul palco con un assetto completamente acustico contrariamente ai lavori in studio, e forse per questo con una marcia in più. Il sound è inaspettatamente malinconico ma con un mood da spiaggia, la chitarra è essenziale e melodica. Nel complesso un'esibizione molto piacevole e anche la folla è trascinata. L'utilizzo dell'armonica a bocca per gli assoli fa decollare l'esibizione verso il finale perfetto.
Il pomeriggio suona italiano nell'European Stage con il concerto di Motta, un concentrato di energia che si sprigiona ad ogni canzone. Live d'impatto per il cantautore pisano: voce profonda e testi malinconici supportati da una band giovane ma sicura delle proprie intenzioni, vivace sul palco e intensa nelle parti più movimentate. Tra ballate e i pezzi più pop suonati con l'acustica arriva il lungo finale strumentale in stile noise rock a chiudere l'esibizione con il botto.
Spostandosi nuovamente è il turno dei Goo Goo Dolls nell'A-38. La band americana capitanata da John Rzeznik entra in scena con un sorriso smagliante, imbraccia subito gli strumenti e parte con "Dizzy". I pezzi non brillano per originalità, ma un'esecuzione pulita e agile li rende facilmente apprezzabili. Seppur il gruppo non abbia dimostrato di star maturando al meglio nel corso degli anni, è indubbio che rimangano un simbolo generazionale per molti adolescenti negli anni '90, dimostrato durante il finale con la sempreverde "Iris", cantata a braccia aperte da tutti i presenti al punto di sovrastare la voce di Rzeznik.
Conclude la serata il gruppo francese La Femme, con il suo rock psichedelico e synth pop. Sono proprio i synth al centro della performance, con effetti inusuali a colorare la voce della cantante. Suadenti e mai scontati, i sei sorprendono per raffinatezza il pubblico dello Sziget, che dopo l'esibizione si riversa nelle strade per godersi il resto della notte dove la musica ancora continua.

 

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Giorno 7

 

La fine dell'avventura è vicina, ma non si può lasciare l'isola di Obuda senza vivere una delle giornate più emozionanti di tutto il festival. L'ultimo giorno di Sziget infatti inizia con uno dei concerti più divertenti di tutto il festival: i Gogol Bordello infiammano un assolato Main Stage con il loro gipsy rock. Sembrano appena usciti da "Pirati Dei Caraibi" e la loro abilità nel fomentare le masse è invidiabile. Eugene Hütz si attacca alla bottiglia di Rum mentre canta, spacca bicchieri, getta la chitarra acustica e salta su e giù dal palco. Anche i musicisti alle sue spalle si scatenano mentre suonano, mantenendo comunque alto il livello della performance. È una festa tra il pubblico, impossibile stare fermi sentendo quei ritmi balcanici in levare. Spettacolari, prepotenti e fuori di testa, i Gogol Bordello eseguono uno spettacolo unico in tutto il festival, grazie ad una fortissima presenza scenica che non tralascia il lato musicale, sostenuto soprattutto dal carismatico violinista Sergey Ryabtsev.

 

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A seguire i Blossoms (presto la nostra intervista) salgono sul palco vestiti come appena usciti da un telefilm anni '70. Il sound costruito e per nulla scontato ha portato loro una recente nomination al Mercury Prize, e ciò lo si percepisce anche dal vivo. Quello che manca è forse un pizzico di dinamica in più, ma nonostante ciò i ragazzi inglesi tengono il palco egregiamente. Proprio verso la fine della loro esibizione un violento acquazzone costringe i meno coraggiosi a rifugiarsi altrove, e quale luogo migliore del Mastercard A-38 Stage dove è in corso il concerto dei Nothing But Thieves?
Proprio nello stesso luogo, un anno prima il gruppo è stato costretto a cancellare il proprio concerto, dunque questa è l'occasione di rifarsi, e la colgono a piene mani. Uno spettacolo mozzafiato, retto dalle straordinarie doti vocali di Conor Mason, dalle chitarre imponenti e da un basso infernale, uniti alla voglia di divertirsi che disegna un perenne sorriso sul volto dei cinque. I Nothing But Thieves mettono la loro energia in tutta la scaletta: dai pezzi più intimi come "Sorry" e "Particles", alle mine esplosive "Itch" ed "Amsterdam". A fine concerto lasciano il pubblico senza forze, una grande prova di maturità per i giovani, reduci dall'ultimo disco "Broken Machine" che lascia presagire una lunga carriera.
Di ritorno sul Dan Panaitescu Stage ci si imbatte nel rock sopraffino dei War On Drugs, stilisticamente vicini agli U2, li richiamano anche durante l'esibizione. Controllo e precisione caratterizzano una delle band più interessanti nel panorama rock degli ultimi anni, superando la prova del live a pieni voti, soprattutto durante i soli e le parti strumentali.
Arriva il momento del concerto più atteso, quello che chiude la sfilza di headliner dell'edizione 2018. Gli Arctic Monkeys, dopo "Tranquillity Base Hotel & Casino" si presentano rinnovati non solo nel sound, ma anche nel look. Li avevamo visti a Roma tre mesi prima, stavolta le aspettative sono altissime. Entrano con passo rilassato, salutano il pubblico e aprono con sulle note di "Four Out Of Five" e l'emozione tra i fan è incontenibile. Sfoderano un repertorio perfettamente bilanciato tra i nuovi pezzi e i grandi classici. Poco a poco qualcosa si rompe, l'entusiasmo si spegne, quasi impercettibilmente i Monkeys risultano distaccati ma comunque spettacolari, troppo perfetti, forse per questo distanti. Le aspettative alle stelle non sono state pienamente soddisfatte, senza nulla togliere all'esecuzione musicale di qualità. Turner si pavoneggia, fa sfoggio di tutto il suo talento come chitarrista e pianista, vocalmente è concentrato e senza sbavature conduce il gruppo all'encore: un'oscura versione di "Star Treatment" e l'immancabile "I Bet That You Look Good On The Dancefloor" e il botto finale con "R U Mine?". Nel complesso uno spettacolo impeccabile ma che lascia, ed è opinione diffusa fra il pubblico, un po' di amaro in bocca. Quasi inspiegabilmente qualcosa è mancato per rendere l'esibizione indimenticabile.

 

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Così anche l'ultima notte allo Sziget giunge al termine. Chi decide di festeggiare con il gigantesco party di chiusura alla Bacardi Arena, chi semplicemente girovaga per l'isola godendosì i fuochi d'artificio. Tirando un po' le somme, viene da chiedersi cosa ci porteremo dietro di questa esperienza?
In primis tanti concerti eccezionali, vissuti insieme a migliaia di persone venute a supportare i loro idoli. Ci porteremo dietro gli abbracci scambiati con ragazzi vestiti da principesse e ragazze ricoperte di brillantini, le lacrime di felicità perché tutta la fatica dell'attesa è stata ricompensata, gli immancabili segni della scottatura, perché il sole picchia sotto al Main Stage; la polvere che non dà tregua, i chilometri macinati per spostarsi da una parte all'altra.
Ci porteremo dietro le amicizie strette per un solo giorno, una settimana o, chissà, per tutta la vita; le pistole ad acqua che spruzzano i passanti; l'odore di cibo per le strade, la birra che per una settimana sostituisce l'acqua. Le lucine fra gli alberi nei campeggi, avvolgenti come una coperta, la musica che risuona senza sosta, il sudore e le bandiere al vento.
Ci porteremo dietro la stanchezza di una settimana in cui non ci si ferma mai, che quando si torna a casa servono almeno due giorni per riprendersi; e ancora l'aria di festa, i dj set a tutte le ore, qualcuno che si esibisce per strada tra un concerto e l'altro, e poi l'alba, che quando la vedi pensi "che bello", ma anche "si è fatto troppo tardi".

La chiamano "Island of Freedom" ma forse è più simile a quella che Peter Pan definiva l'Isola Che Non C'è.




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