Vintage Trouble
19/01/18 - Phenomenon, Fontaneto D'Agogna (NO)


Articolo a cura di Pamela Piccolo
Si ringrazia Alessandro Regis per la collaborazione

Dopo lo sconvolgente show a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere questa sera, il 19 gennaio dovrebbe essere proclamato come la Giornata Mondiale delle Vibrazioni Positive, ma il posto è già stato assegnato alla Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, abbiamo controllato. L'attesa per il ritorno dei losangelini Vintage Trouble, dopo lo show dello scorso luglio al Carroponte di Sesto San Giovanni, è davvero tanta: la fama di live band del four-piece (anche se in sede live si avvalgono del supporto di un tastierista) di Hollywood è già leggendaria e sono centinaia i video sul web che lo testimoniano; il carisma e la voce di Ty Taylor, che non esageriamo a definire il figlio illegittimo di James Brown, da cui il Nostro ha evidentemente attinto a piene mani e con risultati straordinari, fanno sì che il pubblico presente sappia già in partenza che quello di stasera non sarà solo un altro concerto, ma qualcosa che rimarrà nel cuore e nella pancia a lungo. Se in pochi anni di attività i Vintage Trouble hanno aperto gli show di AC/DC, The Rolling Stones, The Who e Brian May, solo per citare i più noti, è sicuramente dovuto tanto a un ottimo management quanto a un indiscutibile talento superiore; questa è gente che nella vita poteva solo suonare, per capirci. La cornice scelta per l'unico appuntamento italiano è il Phenomenon di Fontaneto d'Agogna (NO); il concerto in programma è il secondo della rassegna "Blues Power" inaugurata da Fabio Treves a dicembre e che si concluderà con il concerto di Popa Chubby il prossimo 16 febbraio. Nonostante le dimensioni generose del club rispetto all'affluenza - qualche centinaio di persone - l'atmosfera risulta essere accogliente e non dispersiva grazie alla scelta di posizionare qualche tavolo con sedie nel parterre: comodo, ma per chi conosce i Vintage Trouble è fin troppo chiaro che quei tavoli non rimarranno lì a lungo.

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Siamo così fortunati che l'artista scelto come special guest sia Francesco Piu, straordinario chitarrista e cantante sardo con un curriculum da brividi, gli stessi brividi che ci ha regalato il suo spettacolo, accompagnato da quella locomotiva che risponde al nome di Giovanni Gaias dietro le pelli. Attualmente in tour promozionale per l'ultimo lavoro in studio "Peace and Groove", Francesco Piu si rivela essere un ottimo performer capace di scrivere brani molto catchy ma mai banali; il duo diverte e coinvolge, sono in due e sembrano una big band per la ricchezza degli arrangiamenti, la bontà dell'esecuzione, i suoni impeccabili. Francesco tiene in pugno il pubblico con la sua contagiosa simpatia, che lo ricambia dimenticandosi in fretta dei tavoli e delle sedie e si presenta in prima fila a ballare tutta la seconda metà del suo live, un esplosivo mix di funky, blues, rock e soul. Trenta minuti di fuoco che terminano con un lungo e caloroso applauso di tutto il pubblico presente; se vi capita a tiro un suo concerto, fate di tutto per non perderlo e non ve ne pentirete.

Dopo un'indispensabile birretta per reintegrare i sali minerali, il tempo necessario a un comodo change over trascorre discutendo dello show appena visto e di quello che ci aspetta, con la netta sensazione che qualcosa di bello stia per accadere. Alle 23:00 "Hound Dog" nella versione del 1952 di Big Mama Thornton irrompe nel PA del locale e i Vintage Trouble salgono finalmente sul palco accompagnati da un continuo applauso del pubblico; applauso che ricambiano prima ancora di imbracciare gli strumenti dando subito vita a una sorta di scambio con i presenti, come a mettere in chiaro che il concerto lo si fa in due: chi è sul palco e chi ci sta davanti.

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Come previsto, basta l'introduzione appositamente prolungata di "Strike Your Light" che i tavoli e le sedie finiscono nel dimenticatoio e davanti al palco si concentra la quasi totalità del pubblico, che da questo momento inizierà a ballare senza sosta fino alla fine del concerto. I suoni sono caldi, nitidi e avvolgenti. La band è in forma oltre ogni più rosea aspettativa; dà l'idea che potrebbe suonare davanti a quattro persone con la stessa identica energia, perché probabilmente il suo segreto si nasconde nelle viscere della ragione più ovvia per cui amiamo fare o ascoltare musica: perché tocca le corde della nostra anima, e i Vintage Trouble danno loro ascolto mentre suonano, non a quanta gente hanno davanti; non è un caso che questa band suoni del (fantastico) "soul", in fondo.

Come se ce ne fosse bisogno, la band soffia sul fuoco e infila "Blues Hand Me Down" come secondo brano in scaletta, che Ty Taylor sceglie per inaugurare le sue numerose passeggiate tra e sul pubblico alla continua ricerca di un contatto, di un legame che non prevede ci possano essere esclusi da questa festa del sound; dopo essersi posizionato in centro sala, decide che dobbiamo sederci tutti e noi non possiamo far altro che obbedire in attesa del suo segnale, quando finalmente possiamo saltare tutti insieme e ballare fino alla fine del pezzo con un continuo botta-risposta di cori sempre più intensi. Con "Doin' What You Were Doin'" e "Another Man's Word" dondoliamo e basta guardarsi intorno per vedere centinaia di sorrisi; siamo incantati dalla sensualità della voce di Ty e dalla rara dote di una band capace di essere sexy anche quando tira il freno e non spinge sull'acceleratore. Seguono "Love Song" e "Love With Me", due strategici filler che fanno da preludio al pezzo da novanta "Nancy Lee", dove è davvero impossibile restare fermi, complice una sezione ritmica che entra subdolamente negli arti inferiori e li scuote senza poter fare nulla; "Rollin'" mette in mostra il lato più moderno della band, a dimostrazione che pur senza esagerare anche il soul può essere contaminato e attualizzato.
 
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"Get It Before What's To Be Got Is Gone" viene proposta con una lunga parte strumentale utilizzata da Ty per fare del sano crowd-surfing e dai membri della band per prendersi qualche minuto di gloria con i rispettivi soli di chitarra, basso e batteria; sembra di assistere a un concerto dei Blues Brothers con James Brown alla voce, siamo in una bolla piena di belle vibrazioni che vorremmo non scoppiasse mai. C'è spazio per una "Crystal Clarity" che ci fa tirare il fiato prima dell'attesissima "Run Like The River", preceduta da un lungo intro che - ovviamente - vede il pubblico protagonista del coro "Run, baby Run!", mentre lo slide di Nalle Colt ci coccola i timpani con un riff che è già storia; come previsto, il brano raggiunge i quasi dieci minuti di durata in sede live, con Ty Taylor che continua a girare in mezzo al pubblico, canta e fa cantare, stringe mani, torna sul palco, è dinamite pura. Quando pensiamo che sia tutto finito, arriva una versione tiratissima di "Knock Me Out" a darci il colpo di grazia: tutto il pubblico balla e tiene il tempo battendo le mani, la band sfoggia sorrisi che solo chi si sta divertendo come un matto può fare, noi siamo avvolti da luci viola, rosse e blu che calzano a pennello con il mood del brano e il nostro applauso finale dura talmente a  lungo che la band non fa nemmeno in tempo a scendere dal palco che ci ritorna per regalarci il bis di chiusura: "Nobody Told Me" torna a farci dondolare fino al gran finale a sorpresa dopo l'inchino di rito. La band scende al gran completo tra il pubblico in fila indiana, con Ty Taylor che chiama l'ultimo botta-risposta "Nobody Told Me - No No No No No" fino a creare una sorta di trenino umano che parte dal palco e arriva alla postazione mixer, batte le mani e canta in coro; il suo "grazie mille!" sancisce la fine di un concerto che, come previsto, ci porteremo nel cuore e nella pancia a lungo. Lunga vita ai Vintage Trouble.




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