Gods of Metal 2012
21/06/12 - Arena Fiera Milano, Rho - Mi


Articolo a cura di SpazioRock

Report a cura di: Davide Panzeri, Alessandra Leoni, Daniele Carlucci, Michael Gardenia

 

Il Gods of Metal è il più famoso festival italiano di settore che, nel bene e nel male, catalizza l’attenzione  dei metalhead nostrani attorno al periodo di Giugno. Criticato più volte in passato per la scarsa varietà di band, per il continuo pellegrinaggio da una location all’altra - basti pensare che, in sedici edizioni, il luogo di svolgimento della manifestazione è stato cambiato sette volte - per la scarsa attenzione dei promoter nei confronti del pubblico pagante, a partire dai prezzi dei biglietti, fino a giungere a quelli alimentari e al numero di servizi offerti, il Gods of Metal giunge alla sua sedicesima edizione in quel di Rho Fiera per quattro giorni di fuoco, in tutti i sensi; dal 21 al 24 Giugno sul palco del festival si alterneranno trentacinque band, tra le quali svettano mostri sacri come Guns ‘N Roses, Mötley Crüe, Ozzy&Friends e il ritorno, dopo dieci anni d’assenza, dei Manowar.

Prima di passare ad un resoconto delle band che più ci hanno impressionato in questa manifestazione, è d’obbligo spendere qualche parola sul festival in generale, evidenziandone i punti di forza e debolezza.

Per chi non lo sapesse, e non l’avesse intuito dal nome, l’arena Rho Fiera è per l’appunto un enorme zona fieristica, utilizzata durante l’anno dal comune di Milano per varie manifestazioni, come ad esempio la Fiera dell’Artigianato. Detto ciò, è facile immaginare che sia una zona evidentemente progettata per accogliere numerosissime persone, ma non per ospitare concerti. Nonostante questo assioma, sono stati numerosi i concerti organizzati proprio qui, dal Rock in Idrho, ai Big 4, giungendo all’Heineken Jammin’ Festival. Partiamo col denunciare l’incredibile furto di 15 € che si è costretti a regalare al polo fieristico, se si lascia la macchina in uno dei grossi parcheggi - di cui alcuni decisamente lontani dall’area concerti - che circondano la zona; perché passi il prezzo del biglietto, ma lucrare così tanto sul parcheggio ci sembra un tantino esagerato - il nostro pensiero va a coloro che hanno presenziato a tutti i quattro i giorni della manifestazione e hanno dovuto usare per forza di cose la macchina, specie il 22 Giugno, quando i mezzi erano fermi, a causa dello sciopero - e questo non concerne solamente il GoM, ma tutti gli eventi che hanno luogo a Rho.

Una volta lasciata l’auto ci si dirige, seguendo le persone davanti a noi, dato che di cartelli nemmeno l’ombra, verso l’ingresso dell’area concerti. Controllato il biglietto, si passa al setaccio dalle forze dell’ordine che, come sempre, fanno togliere i tappi alle bottiglie di plastica, evidentemente preoccupati che la gente con 36°C non abbia niente di meglio da fare che lanciarle sul palco. L’area è leggermente ridimensionata rispetto a quella vista con i Big 4 l’anno precedente, ma rimane comunque abbondantemente ampia per ospitare il pubblico in arrivo. Stand di birra e cibo sono numerosi e posizionati ad intervalli regolari, la scelta è ampia e varia, i prezzi sono un po’ alti, ma d’altronde o ci si porta il pasto da casa o bisogna accontentarsi (per dovere di cronaca, una birra da 0,4cl costava 5€ e in media un panino o una piadina sui 4-5€). Non mancano gli stand di drink energetici, di whiskey e i soliti tabacchini, a cui si vanno ad aggiungere i gazebo di merchandising  (i Manowar hanno posizionato il loro personale merch-gazebo proprio dietro il mixer).

Nota positiva è che la gran parte di questi stand alimentari sono stati posizionati sotto una rampa, e quindi al riparo dal solleone, e numerose panchine e tavoli hanno accolto per tutta la durata della manifestazione stanchi ed accaldati fan, che hanno così trovato un minimo di refrigerio - magari gustandosi un cono gelato dal valore di 3€. Quest’anno sono anche stati piazzati dei nebulizzatori recintati che, data la loro scarsa potenza, sono stati immediatamente ed illegalmente demoliti per essere trasformati in idranti. La colata di cemento è stata senza ombra di dubbio, assieme al caldo, il nemico numero uno dei presenti, dato che già dalle ore dieci di giovedì si registravano temperature sahariane che hanno non poco provato le persone. C’è poco da dire, se non che a parere nostro è veramente assurdo organizzare un evento del genere, tenendo conto dell’area geografica e del periodo, su quel tipo di terreno. Da questo punto di vista (ma anche da molti altri), il Gods of Metal deve ancora imparare molto dai colleghi europei.

Ma siamo qui per parlare di musica o no? Vero, passiamo quindi a una rapida rassegna delle band che più ci hanno colpito e che si sono messe in mostra in questo Gods of Metal 2012.

 

21 Giugno: Day One

Aprire un festival non è mai semplice, soprattutto se si inizia relativamente presto, così i Clairvoyants devono fare affidamento sulla propria esperienza per scaldare un pubblico non numerosissimo e aprire quindi le danze. Compito non facile ma che riescono ad assolvere in pieno. E’ il turno quindi degli Arthemis che così come chi li ha preceduti devono dare il 110 percento e sfoderare la grinta necessaria ad attirare chi ancora è all’ombra e chi sta entrando. Uno show coinvolgente che noi sentiamo da lontano e che speriamo di rivedere al più presto magari in un più accogliente club. Ci sono poi gli Holyhell, band che sotto l’ala protettrice dei Manowar, si gira il mondo suonando solo e sempre assieme a loro. In tutta onestà non mi sono sembrati un granchè e la loro proposta musicale non risalta fra mille, insomma non si capisce bene perché siano così spinti (apprezzabile però la cover finale di “Holy Diver” del mai troppo compianto R.J. Dio). Piacevole scoperta sono invece gli Unisonic della premiata ditta Hansen & Kiske. I due, trovatisi a collaborare in questo progetto, hanno sfornato un album che sa di mediocrità e che dal vivo guadagna quel tanto che basta a rendere lo show brioso, power metal hard rockeggiante nudo e crudo. Il pubblico partecipa a dovere ed esplode in un boato quando vengono eseguite “March Of Time” e l’intramontabile “I Want Out” degli Helloween (e scusate se è poco).

Gli Adrenaline Mob invece, a discapito del nome, non centrano in pieno il bersaglio. Devoti a frizzi e lazzi musicali, il gruppo creato da Portnoy dei Dream Theater in collaborazione tra i tanti con Russell Allen, incanta per perizia tecnica ma raffredda anche gli animi con eccessivi ghirigori. Certo, bravi, forse penalizzati dal sole alto e dal caldo opprimente, ma onestamente crediamo siano molto più adatti ad un ambiente chiuso e intimo. Senza paura tocca agli Amon Amarth riprendere in mano le redini del festival. Gli svedesi sono ormai di casa nel nostro paese, le esibizioni live ormai non si contano più ed ogni santissima volta è sempre lo stesso canovaccio: potenza, grinta e spettacolo. Oggi però qualcosa non è stato oliato a dovere nel meccanismo dei Viking Metallers, e sappiamo tutti che se un ingranaggio non gira bene, tutto l’apparato meccanico ne risente. Vuoi un po’ per il caldo, vuoi per il sole che alto in cielo non ricrea la giusta atmosfera necessaria alla band scandinava, vuoi che il pubblico non fosse numerosissimo, vuoi che magari anche loro fossero un po’ scarichi, lo show degli Amon Amarth è stato abbastanza sottotono rispetto alla media. Scenografia da urlo come sempre con Surtur a giganteggiare sullo sfondo e scaletta incentrata quasi esclusivamente su brani degli ultimi lavori, c’è poco spazio per i brani del passato che purtroppo cominciano ad essere snobbati con un po’ troppa facilità. C’è giusto la presenza di “Victorious March” e dell’immancabile “Death in Fire” sparata a sorpresa nelle fasi iniziali del concerto ed eseguita in maniera fiacca a intervallare le hit  del momento quali: “War Of The Gods”, “Cry of The Blackbird”, “Twilight Of The Thundergod”, “Destroyer of The Universe” e via dicendo. “Guardians Of  Asgaard” chiude un concerto che non rimarrà impresso nella memoria di chi li ha già visti più volte e che forse ha deluso le aspettative di una moltitudine di nuovi stimatori degli svedesi, ma d’altronde una defiance può capitare a tutti.

I Children of Bodom hanno l’onore e l’onere di essere la band che farà strada agli headliner di giornata, e tutti sappiamo bene quanto rischioso sia esserlo in questo caso (forse alla pari con Iron Maiden, Slayer e Metallica). La curiosità di rivedere all’opera la combriccola finlandese era tanta dato che ormai la sterzata musicale è netta. Una macchina fa capolino in parte alla batteria, puramente per scopi scenografici. Alexi Laiho, sempre più idolo delle teenager, fa bella mostra di se sul palco e fornisce nuovamente un’ottima prestazione alla chitarra. Wirman, un po’ in disparte, non scherza e non gioca come suo solito e anzi, sembra un po’ giù di corda, niente da rilevare invece per tutti gli altri componenti della band. I Children Of Bodom fanno il loro sporco lavoro eseguendo brani sparsi qua e là nella loro discografia, ovviamente facendo prevalere maggiormente gli ultimi dischi. Capolavori come la storica “Hate Me!” e “Silent Night, Bodom Night” si alternano a brani di recente nascita come “Blooddrunk”, “Are You Dead Yet?” e “Needled 24/7”. Ovviamente il meglio, secondo il sottoscritto, i finnici lo danno con il vecchio repertorio, ma si sa, bisogna accontentare un po’ tutti. Si giunge in maniera spedita verso la fine del concerto e, mentre delle nubi minacciose sovrastano l’arena, a nostra insaputa il set viene accorciato di un buon quarto d’ora con visibile arrabbiatura sul volto di Laiho che saluta il pubblico e torna nel backstage.

Lungo cambio palco (un’ora e qualcosa) e quindi le luci si spengono. I Re son tornati. Dopo dieci lunghi anni d’assenza dal Bel Paese gli Dei del metallo, signori dell’acciaio e paladini della giustizia metallica, tornano nuovamente a calcare un palco italiano. Era il 2002, quando per l’ultima volta Joey De Maio e soci, si sono esibiti per il pubblico italiano. Dieci anni fatti di speranze, annunci fasulli e continui litigi tra band e promoter che hanno portato all’esasperazione ogni Manowarrior italiano e l’ha costretto, per forza di cose, ad emigrare all’estero per poter vedere un live show dei propri beniamini.

Ladies and Gentlemen, from United States of America……Manowar”, così inizia lo spettacolo del quartetto a stelle e strisce: “Manowar”, “Gates Of Valhalla” e “Kill with Power” polverizzano immediatamente i brutti ricordi e il lungo periodo di buio, il pubblico canta e inneggia alla band come a un gol dell’Italia in una finale mondiale. Belli carichi e in palla i Manowar non si fermano un secondo (forse consapevoli del fatto che sia effettivamente meglio suonare brani uno dietro l’altro che perdere tempo in chiacchiere). Eric Adams in forma strepitosa fornisce una prestazione sublime, Joey De Maio troneggia fiero e impavido col suo basso che ad ogni nota ci fa vibrare gli organi interni (a proposito, per l’esibizione sono stati montati ulteriori amplificatori, giusto per ribadire chi è la “Loudest Band in the Fucking World”), Karl Logan sempre un po’ sulle sue commette errorini qui e là che comunque non vanno a incidere sulla prestazione globale, mentre un ottimo lavoro lo svolge Donnie Hamzik (batterista della band nei primi anni ottanta) che sostituisce Scott Columbus morto l’anno scorso in situazioni non ben chiare. Il pubblico, che a dire il vero non è numeroso come quello oceanico che riescono a ottenere i Maiden o i Metallica, si fa però sentire e tra una “Kings of Metal” ed una “The Gods Made Heavy Metal” c’è anche tempo per far salire sul palco un ragazzo del pubblico che ha l’onore di poter suonare con la band e di venire premiato da Joy DeMaio in persona con la chitarra di Logan per la sua abilità. Lo show procede a passo spedito senza intoppi: “Sons of Odin” e “King of Kings” fanno da preludio ai 5 minuti di pausa che vedono come protagonista Joey DeMaio e il suo attesissimo discorso in cui dichiara nuovamente guerra ai nemici del vero metallo, spiega che i fans dei Manowar valgono 1.000 volte quelli di un’altra band, chiede un minto di silenzio per suo padre e Scott Columbus e promette solennemente di ritornare al più presto senza far passare nuovamente altri dieci anni. Un tripudio di braccia alzate nel famosissimo Sign of the Hammer fa da cornice al monologo di Joey (pronunciato tutto in italiano per altro) che ritorna dietro le quinte per uscirne poco dopo assieme ai compagni. “Hail and Kill” e “Warriors Of The World” squarciano l’arena fino ai bis finali dove una maestosa “Nessun Dorma” precede la conclusiva “Black Wind, Fire and Steel”. La distorsione di basso e chitarra accompagna gli ultimi istanti di concerto in cui tutta la folla è ormai atrofizzata con gli arti superiori incrociati, le luci si spengono e sulle note di “The Crown And The Ring” inizia il defluire verso i parcheggi. Davvero una notte da ricordare.

 

22 Giugno: Day Two

Per quanto riguarda l’afosissimo 22 giugno, forse questo è stato il giorno peggio assortito, tra band prettamente metalcore - quali i coraggiosi Cancer Bats, che hanno iniziato prestissimo, passando per i Killswitch Engage, attualmente al lavoro su un nuovo album di cui si sanno ancora pochi dettagli - band più rock, come gli esplosivi Ugly Kid Joe o i Black Stone Cherry, i Within Temptation, appartenenti al filone del rock sinfonico, per arrivare all’hard rock di Sebastian Bach e dei Guns ‘n’ Roses.

Il pubblico non è stato troppo numeroso, salvo poi riempirsi per l’immenso e ricchissimo spettacolo degli headliner della giornata, nientemeno che la band capitanata da Axl Rose, il quale non è stato neanche troppo vivace od eccessivamente coinvolto. Basti pensare alle facce annoiate - ed in questa sede risparmieremo i commenti irrispettosi che abbiamo sentito - soprattutto durante la performance degli olandesi Within Temptation, che a dire il vero, nonostante gli evidenti problemi di messa a punto dei suoni e il fatto di essere l’ultima band prima degli headliner, sono stati autori di un concerto di tutto rispetto, con la sempre sorridente Sharon Den Adel pronta a coinvolgere gli accorsi, correndo da una parte all’altra del palco intanto che la band sfoderava i brani dell’ultimo album “The Unforgiving” e classici come “Ice Queen”, “Mother Earth”, “See Who I Am” o “Stand My Ground”. Immaginiamo e capiamo perfettamente che buona parte dei presenti fosse letteralmente provata dal caldo, ma certi commenti incivili non si possono sentire, perché chiunque salga sul palco, che sia totalmente diverso dalle band preferite, merita sempre e comunque rispetto.

Più coinvolgimento si è visto paradossalmente nel pomeriggio, con Sebastian Bach, autore di un’esibizione potente e frizzante, incentrata molto sul glorioso passato con gli Skid Row, dopo un inizio traballante, tra microfoni non collegati a dovere e corde vocali che necessitavano di più riscaldamento. Un’altra formazione sicuramente molto apprezzata - ovviamente dopo i Guns ‘n’ Roses - è stata quella dei Killswitch Engage, con al microfono il primo cantante della line-up, Jesse Leach, ritornato dopo la dipartita di Howard Jones. La band è carica ed entusiasta di suonare nuovamente per il pubblico italiano. Com’è logico, la scaletta non presenta grosse novità, è per lo più incentrata su brani vecchi e di maggior successo, per permettere a Jesse di riprendere confidenza con tutto ciò che comporta l’esibirsi in pubblico e gli sforzi di un tour serrato. Gradita e sempre ben riuscita la loro personale versione di “Holy Diver”, a suggello di un buon concerto.

La parte del leone spetta ai Guns ‘n’ Roses, veri protagonisti della giornata e della serata. Il timore principale era rivolto a quanto potessero ritardare nell’esibizione, dati i precedenti. Fortunatamente, i Nostri hanno tardato di soli quindici minuti, e hanno ricompensato gli accorsi con un’esibizione entusiasmante ed elettrizzante, molto varia, ma forse troppo rallentata dai numerosi assoli, jam strumentali e cover, come “Live And Let Die”, “Dead Flowers”, o “Whole Lotta Rosie”. Non manca l’intervento di Sebastian Bach sul palco su “My Michelle”. E i brani della band più leggendari - o quel che è rimasto - della band di Axl Rose e soci? Niente paura, ci sono: “Welcome To The Jungle”, “Rocket Queen”, “Sweet Child O’ Mine”, “November Rain”, “Don’t Cry”, “Knockin’ On Heaven’s Door” e il gran finale esplosivo con “Paradise City”, cantata a gran voce da tutti, per chiudere una giornata decisamente impegnativa ed afosissima. Non c’è che dire, malgrado i Guns ‘n’ Roses non siano affatto quelli di una volta, nonostante tutto hanno saputo offrire uno spettacolo divertente, coinvolgente e decisamente ricco e variegato.

 

23 Giugno: Day Three

“Hotter Than Hell”, quale miglior titolo per la terza giornata del festival? Il sabato milanese è torrido, tanto per cambiare, e allora il pensiero non può che correre ad uno dei brani della band headliner di turno: i Mötley Crüe. L’hard rock invade il Gods Of Metal, quasi fosse la continuazione della serata precedente che ha visto Axl Rose e i suoi Guns n’ Roses protagonisti.

Aprono le danze gli italiani Planethard, nella loro vena più alternative, il cui show si tinge di rosa quando sale sul palco Masha Mysmane, cantante degli Exilia, per l’esecuzione della potente “Abuse”. L’energica prova dell’unica compagine “di casa” di giornata si conclude con gli applausi dei coraggiosi che hanno sfidato il sole cocente dell’ora di pranzo e il testimone passa all’horror show a stelle e strisce dei Lizzy Borden. Alto tasso scenografico – con travestimenti e maschere cambiate a ripetizione dal vocalist Lizzy – e heavy metal dal sapore retrò accompagnano l’intera esibizione del gruppo californiano, che esalta il pubblico con canzoni dal fascino intramontabile come “Eyes Of A Stranger”, “Red Rum” e “American Metal”. Nota di colore quando i due chitarristi della band indossano la maglia dell’Inter e suonano la tarantella: al di là della fede calcistica condivisibile o meno, un bell’omaggio al Belpaese.

Passata l’ora della siesta, gli Hardcore Superstar salgono sul palco ed incendiano letteralmente l’Arena. Non bastasse già il solleone. Il quartetto svedese mette in scena il solito spettacolo devastante, fatto di adrenalina pura e canzoni che atterrano sulla folla come bombe a grappoli. Gli HCSS sono una delle band hard rock migliori che si possono ammirare dal vivo e non fanno sconti nemmeno questa volta, regalando una dietro l’altra canzoni del calibro di “Kick On The Upperclass”, “Dreamin’ In A Casket”, “Wild Boys”, “My Good Reputation” (sempre divertentissima in sede live) e “Moonshine”. Finale esplosivo con “Last Call For Alcohol”, con tanto di “lancio della birra” sulle prime file del pubblico, e l’immancabile travolgente inno “We Don’t Celebrate Sundays”. Jocke Berg e compagni lasciano il palco tra gli scroscianti applausi dei fan e l’unico rammarico è quello di averli visti esibirsi in orario quasi proibitivo.

Inutile nascondere l’attesa per la “prima” dei Gotthard con Nic Maeder in Italia. La formazione svizzera parte con qualche difficoltà, soprattutto dovuta a problemi di suoni (le chitarre stridono per tutta l’opener “Dream On”), ma si rende protagonista di uno show in crescendo che alla fine risulta positivo. Il nuovo vocalist, come un diesel, esce alla distanza e supera la prova; bisogna lavorare ancora un po’ sulla presenza scenica, però la voce del cantante australiano è di livello assoluto e ricorda molto quella del grande Steve Lee. I brani proposti dalla formazione elvetica spaziano dai classici – come “Top Of The World”, “Sister Moon”, “Mountain Mama”, “Hush” e “One Life, One Soul” (dedicata a Steve Lee) – ai nuovi estratti da “Firebirth”, tra cui spicca la splendida “Remember It’s Me”. Prima di lasciare il palco, i Gotthard fanno rimbombare “Lift U Up” e “Anytime Anywhere”, e si congedano davanti ad un pubblico che dimostra di aver gradito l’esibizione.

Altro appuntamento importante ed atteso è il ritorno dei The Darkness in Italia dopo la recente reunion. Il gruppo britannico è in gran forma, con il vulcanico frontman Justin Hawkins che salta da una parte all’altra come una molla e sprizza carisma da tutti i pori. Via con “Black Shuck” e “Growing On Me” ed il pubblico è già bollente; la temperatura sale ancora con “One Way Ticket”, ma un blackout nell’impianto obbliga ad una pausa forzata di un quarto d’ora circa. Alla ripresa prosegue imperterrito il grande spettacolo di puro e scatenato rock n’roll del gruppo inglese, che esalta ancora i presenti con “Love Is Only A Feeling” e la celebre “I Believe In A Thing Called Love”. Grande show, grande band. E la gente gradisce parecchio.

La pioggia cade ed è una vera e propria rinfrescante manna dal cielo, così si può rifiatare a dovere per assistere all’esibizione di Slash. Il chitarrista, accompagnato da Myles Kennedy & The Cospirators, seleziona i brani dai suoi album solisti e da quelli di Guns n’ Roses e Velvet Revolver. Ottime “Halo”, “Anastasia” e “Doctor Alibi”,quest’ultima cantata alla grande dal bassista Todd Kerns . Se i fan mostrano di essersi affezionati anche alle canzoni degli ultimi dischi del musicista, niente è paragonabile al delirio che provocano le varie “Slither” e soprattutto “Nightrain”, Out Ta Get Me”, “Sweet Child O’ Mine” e “Paradise City”. Prestazione della band da incorniciare e spettacolo puro. E che altro aggiungere sul conto della coppia Slash-Kennedy? Niente, non serve. Sono una garanzia e vederli dal vivo vale davvero la pena.

Il gran finale della giornata è affidato allo sfavillante show dei Mötley Crüe, che tornano in Italia dopo la spenta esibizione al Gods Of Metal del 2009 a Monza. Siamo al culmine del sabato più hard rock di stagione, ma la gente che fronteggia lo stage non è tantissima (qualcosa mi dice che il prezzo salato del biglietto centra qualcosa). Il palco è addobbato con una grande struttura sulla quale è ancorata la batteria di Tommy Lee e alle cui spalle si innalza un grande maxi schermo circolare. Il concerto inizia, fuoco e fiamme fanno da cornice ai classici inossidabili “Wild Side”, “Live Wire” e “Too Fast For Love”. Più si va avanti e più la voce di Vince Neil mostra dei preoccupanti cedimenti, ma nonostante questo la band può contare su una serie di canzoni che da sole trascinano il pubblico facendolo saltare e cantare: “Saints Of Los Angeles”, “Shout At The Devil”, “Same Ol’ Situation (S.O.S.)”, “Smokin’ In The Boys’ Room” sono solo alcune delle hit che portano lo show sino al momento più spettacolare, il solo di batteria in cui Tommy Lee comincia ad oscillare a destra e a sinistra sulla struttura di acciaio fino a rimanere a testa in giù e girare come una trottola. E non solo, l’eccentrico artista fa salire a bordo della sua astronave anche un fortunato ragazzo del pubblico per provare le brezza del “giro della morte”. Tutto molto scenografico. Il concerto va avanti e si conclude con quattro pezzi da novanta come “Dr. Feelgood”, “Girls, Girls, Girls”, “Home Sweet Home” e “Kickstart My Heart”, ma ormai è chiaro che Vince Neil non ne ha più. Sarà per questo che lo show termina con ben mezz’ora di anticipo rispetto al previsto ed è un peccato perché lo spettacolo è stato divertente e coinvolgente dall’inizio alla fine. Nikki Sixx e Tommy Lee sono il motore ed il collante dei Mötley Crüe, Mick Mars si fa in quattro nonostante i noti limiti che lo frenano, mentre Vince Neil soffre dell’usura del tempo che ne condiziona la voce. Quando la musica termina e la band lascia il palco rimane negli occhi un concerto piacevole e spassoso, dal quale esce un vincitore indiscusso: Tommy Lee. Pazzo. Fantastico.

 

24 Giugno: Day Four

Altra giornata caldissima per il quarto e ultimo giorno del Gods Of Metal… Le nuvole si alternavano al sole cocente, e le doccette di cui il pubblico poteva usufruire non sono rimaste inutilizzate...

Lo show parte alle 10.30 con gli I Killed The Prom Queen, in cui milita Jona Weinhofen (chitarrista dei Bring Me The Horizon, che durante lo show ha anche cercato di far partire un circle pit, scendendo tra il pubblico e iniziando a correre mentre suonava), e a seguire, con i Kobra & The Lotus che, con il loro heavy metal, divergevano abbastanza con il metalcore "cardine" delle band che si sono esibite durante le prime ore della giornata. Dopo una breve pausa è il turno degli August Burns Red, dalla Pennsylvania. La band si è presentata in versione estiva, con tanto di infradito. Le prestazioni sono decisamente buone, con riff moderni super coinvolgenti, e un'ottima intesa nello scambio della posizione sul palco, tra i due chitarristi JB Brubaker e Brent Rambler. Purtroppo il pubblico, forse per le stancanti condizioni meteo, non era adatto a un gruppo del genere… ma i primi circlepit iniziavano a intravedersi!

Alle 13.40 partono i DevilDriver, il pubblico inizia a scaldarsi. Ottima performance con un approccio che "calma" il metalcore e le movenze peculiari che avevano introdotto gli ABR, ma al tempo stesso "infiamma" molto di più il pubblico, anche a giudicare dal fatto che proprio quest'ultimo proponeva in modo piuttosto "incazzato" un vero e proprio "wall of death"... E qualche ginocchio sbucciato di certo non è mancato! Performance sicuramente buona, ma condita da un suono non particolarmente curato, soprattutto nell'equalizzazione (si alternavano troppi e pochi alti e medi, bassi decisamente eccessivi). Veniamo ora al primo vero gruppo che ha scosso la Fiera di Rho: i Trivium. La loro presenza è decisamente ineccepibile, con uno stage a dir poco "studiato" nei minimi particolari: grandi banner e cartelli che rimandano a un look tetro e freddo, nuvole di fumo e rami in un bosco tetro alla luce di un sole invernale, un freddo da pelle d'oca... Ottimo il loro sound, curato in ogni singola nota, con una batteria (molto compressa) degna di un gruppo thrash moderno, e la perfetta continuità vocale tra le linee principali di Matt Heafy e delle backing di Corey Beaulieu. Ospite speciale sul palco? La nonna del bassista Paolo Gregoletto, di chiare origini italiane, la quale ha assistito allo spettacolo a fianco del nipote…

Sono le 16.15 e il pubblico chiama a gran voce i Lamb Of God, con un classico coro da stadio. Non tardano a presentarsi sul palco e, a volumi decisamente-decisi, scuotono l'intera fiera già dall'intro e dalle prime note di "Desolation". Notevole anche l'esecuzione di "Walk With Me In Hell", e la presenza scenica del bassista John Campbell, che con la sua doppietta "barba e chioma grigia" non passa di certo inosservato!

È l'ora dell'attesissimo Zakk Wylde, che si presenta con un copricapo "pellerossa" molto originale. Grandi piume ornano la sua testa e una marea di chitarre passano tra le sue mani, dalle forme più disparate, come è ben risaputo, tra cui anche una a forma di… bara! Muro di amplificatori alle sue spalle e uno stage decisamente biker: teschi, serpenti e colori gialli e neri per la band dai giubbotti in pelle. Abbastanza noioso il velocissimo assolo di diversi minuti del biondo (anche se ci sarebbe mancato, se non ci fosse stato), ma molto divertenti i mega-palloni gonfiabili neri e bianchi, lanciati sul pubblico, che si è cimentato in una sorta di beach volley sul cemento. Non potevano mancare pezzi come "Suicide Messiah" e "Forever Down". Il biker saluta il pubblico da entrambi gli angoli del palco battendosi i pugni sul petto. Il pit ha dato quasi tutto per i BLS!

A seguire gli Opeth iniziano, con uno stage piuttosto scarso, confronto ai gruppi precedenti. L'esecuzione è stata decisamente buona e la setlist particolarmente crescente per quanto riguarda le sonorità. Da una prima parte molto melodica a un finale, in cui il cantante/chitarrista Mikael Akerfeldt sfoggia un curatissimo growl, che fortunatamente ristora il pubblico, soprattutto quello presente sin dalle prime ore della giornata.

Sono le 21.20 e sul palco vengono proiettate le immagini degli storici video di Ozzy… Lo spettacolo sta iniziando e le migliaia di persone si affrettano dal fondo dell'area, dove stavano assistendo alla partita degli europei, fino al pit. Ozzy si presenta sul palco con ben 15 minuti di anticipo, alla faccia dei Guns N Roses, affiancato dai suoi Friends. Lo spettacolo inizia con "Bark At The Moon" con la straordinaria presenza di niente popo' di meno che… la luna in cielo! Il pubblico esplode e il chitarrista Gus G. riproduce in modo eccellente, quasi uscissero dalle mani di Jake E. Lee i soli del primo pezzo. Suono di chitarra strabiliante! Il concerto è ripreso e proiettato sul maxi schermo alle spalle del Madman, per la gioia anche dei più piccini. Secondo pezzo: "Mr. Crowley"… Cosa volere di più dalla vita? Il pubblico canta a gran voce l'intro ed è sempre più coinvolto in uno spettacolo da brivido, nonostante la voce dell'ormai over sessantenne mostri già i primi segni di cedimento. E chi ha il coraggio di andare a diglielo in faccia? Ozzy è munito di una super idropompa, con la quale "innaffia" le prime file davanti a lui… Guardarlo è un vero godimento, sembra divertirsi come un ragazzino!
Dopo alcuni pezzi del calibro di "I Don't Know", Gus G. e Blasko danno spazio agli special guest della serata su "Iron Man", "War Pigs" e "N.I.B".: Geezer Butler e Slash. Il cambio palco si fa sentire, nonostante la band attuale di Slash abbia una tecnica a dir poco ineccepibile. Ma con musicisti che hanno il suono nelle mani… c'è poco da fare!
Ecco il secondo ospite, di sicuro non inatteso: Zakk Wylde. Ottima esecuzione su "Fairies Wear Boots" e su "I Don't Wanna Change The World" e "Crazy Train" (stavolta con il ritorno di Blasko al basso). Dopo una bella secchiata d'acqua verso i suoi più amati fan, ecco "Mama, I'm Coming Home", prima dell'ultima, divina, "Paranoid", con un "tutti sul palco", con Zakk Wylde, Slash e Geezer Butler. Finale irripetibile da capogiro, per un concerto che ripaga senza alcuna ombra di dubbio, tutto il sudore e la giornata stancante in quel di Rho.
    




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