Io me lo immagino Steve Harris dopo il concerto di Wacken della scorsa estate, fiondarsi in aeroporto per un volo sola andata destinazione Bahamas; un mese di assoluto relax, lontano dalle folle oceaniche e dallo stress dello star system, l'ideale per ricaricare le batterie in attesa di riprendere il tour di "Book Of Souls" nel 2017. Il tempo di un'escursione e una partita a tennis, un po' di vita da spiaggia, quattro calci al pallone ed è già tempo di rientrare a casa. L'estate lascia il posto all'autunno, arrivano i primi freddi e il tour dei Maiden è ancora lontano, piuttosto che poltrire sul divano aspettando il Natale, perché non fare uno squillo agli amici di vecchia data? Quattro birre al pub, il puntello in sala prove ed ecco che i British Lion si guadagnano una manciata di date in giro per l'Europa, proprio mentre la stagione concertistica riapre i battenti.
La genuinità scorre ancora nelle vene di Steve Harris, figlio della working class che a sessant'anni suonati riscopre il gusto dei piccoli locali e del contatto col pubblico; poco importa che la band non sia di prim'ordine e che l'unica release sino ad oggi abbia lasciato l'amaro in bocca ai tanti fans che confidavano in un gioiellino inedito, quell'imperfezione mista a spontaneità che ha condizionato molte scelte artistiche del nostro beniamino non ha intaccato l'affetto del grande pubblico, che si è presentato a Trezzo sull'Adda sfidando il gelo e la nebbia, armato sì della voglia di trascorrere un venerdì sera quasi conviviale, ma anche di cimeli e memorabilia pronti da mettere sotto il naso del buon Steve al momento di incrociarlo. Di questa band si è detto un po' tutto e quasi mai in termini benevoli: più che un progetto inedito con chissà quali velleità artistiche, sarebbe stato più giusto valutarlo per quello che è, ossia un divertissement, un regalo in parte annunciato che Steve ha voluto fare ai propri fans senza lesinare calore, partecipazione e anche un po' di emozioni. Chi era venuto per vedere da vicino il proprio idolo e magari strappare una foto ricordo sarà rientrato a casa con un inatteso en plein di esibizioni eccellenti.
Sono le nove meno un quarto e sul palco ci sono un hipster, un casual, un alternativo, un metallaro e un batterista non meglio identificato: non è una barzelletta ma la variopinta formazione dei Voodoo Six, cui spetta il compito di aprire la serata per una buona mezz'ora. Il quintetto inglese non è più esattamente di primo pelo, ha una carriera ormai decennale e per qualche strana reminiscenza, ci viene naturale associare il suo nome a quello degli Iron Maiden, probabilmente per qualche tour di supporto in seno ai festival più prestigiosi; la band suona un hard corposo con pennellate di metal/blues /stoner/alternative tanto evidenti quanto armoniose, e non impiega molto ad entrare in sintonia col pubblico, mostrando di sapere il fatto suo; il sound è compatto, il cantante tiene la scena a dovere, non ci sono brani memorabili ma il gruppo potrebbe tenere testa a tanti nomi assai più blasonati. Meriterebbe senz'altro maggior gloria e visibilità, per quello che abbiamo potuto vedere questa sera.
Sono ormai le dieci quando Steve Harris e i suoi amici irrompono letteralmente sul palco del Live: la performance del 2013 era stata senza infamia e senza lode ma aveva lasciato la certezza di un combo ben più a proprio agio on stage che in studio. Tre anni dopo le cose sono ulteriormente migliorate, vuoi perché le aspettative sono assai ridotte, vuoi perché le numerose date live iniziano a dare dei risultati, la band appare più coesa e convincente al punto di potersi permettere di riproporre la scaletta sulla falsariga del 2013 (a occhio e croce) senza dare alcuna sensazione di prevedibilità. Steve Harris ha plasmato la band a dovere in questi anni e i risultati si vedono: un piglio più energico e veloce rispetto al disco, esecuzione coinvolgente e priva di imperfezioni evidenti, brani che si susseguono in rapida successione senza lasciare spazio a pause troppo lunghe o frasi di circostanza. Un impatto sopra ogni aspettativa, complici anche alcuni brani inediti dal sapore più robusto che speriamo di poter ascoltare presto in versione ufficiale. La presenza di Steve Harris conferisce ai British Lion il caratteristico groove tellurico che caratterizza lo stile del bassista di Leytonstone; lo Steve Harris di stasera non è diverso da quello che abbiamo conosciuto nei Maiden: il bassista non lesina sudore ed energia con i suoi nuovi amici, fra smorfie e mitragliate dispensate con una generosità senza eguali, sufficienti a trascinare il Live Club in un susseguirsi di battimani e cori scanditi a colpi di cassa e rullante. Sul finire la band annuncia la pubblicazione di un live album a breve, scelta senz'altro saggia vista la differenza con il risultato di studio, e mentre coltiviamo la speranza che Kevin Shirley e il nostro bassista preferito non rovinino il tutto al momento di andare in console, ecco il momento tanto atteso: ciliegina sulla torta, il non dichiarato meet and greet post concerto, che ha visto qualche centinaio di persone ordinate in fila ad aspettare il proprio turno per l'incontro con il mito, ben supportato dallo staff del locale e della band. Lo spirito dell'operazione British Lion è senz'altro quello giusto, se aggiungiamo ancora una volta che, nonostante tutto, la band on stage se la cava sempre più egregiamente ci sono i presupposti per pensare che il momento di appendere il basso al chiodo per Steve Harris sia ancora di là da venire, Maiden o non Maiden.