Domenica 23 novembre, ore venti e trenta circa, mentre gli occhi di mezza Italia sono puntati sullo Stadio di S.Siro per la classica stracittadina, quelli di tanti rocker guardano esattamente dalla parte opposta della città, per la precisione in zona Mecenate; è qui che un redivivo Billy Idol torna a farsi vivo a pochi mesi dalla trionfale tournée estiva, scegliendo per l’occasione uno dei nuovi templi della musica meneghina. Al Fabrique questa sera si respira un’aria diversa dal solito, sarà per via dell'atmosfera revival, oppure la novità della location, perfetto crocevia fra rock, dj set, night club, racchiuso nello spazio di duemila metri quadri rivestiti in uno stile moderno ed elegante. Il rock di Billy Idol rappresenta invece il tocco vintage della serata e la folla è quella delle grandi occasioni, una lunga fila fuori dal locale (è stato avvistato pure Andy dei Bluvertigo fra il pubblico) come si conviene per un evento già sold out da settimane: nato nel punk, passato attraverso la new wave, presente nell’immaginario collettivo come icona del decennio più spensierato di sempre, al ghigno di Billy Idol va riconosciuto il merito di aver radunato attorno a sé un pubblico trasversale equamente preso in prestito dalla disco, dal rock e dalle new wave.
La platea dalla forma di un’arena in dimensioni ridotte è strapiena in ogni ordine di posto quando, poco prima delle ventuno, le luci si spengono e l’ingresso di Billy è accolto da un boato assordante: Steve Stevens e il resto della band entrano a tutto gas sulle note di “Postcard From The Past” brano estratto dall'ultima fatica “Kings And Queens Of The Underground” che inietta nell’aria la giusta dose di adrenalina. La pratica del nuovo disco viene liquidata in quattro e quattr’otto in alternanza ai classici che tutti desiderano ascoltare:si balla a tempo di rock n’roll sulle note di “Cradle Of Love”, “Dancing With Myself” viene data subito in pasto al pubblico e lo trascina in una danza collettiva mentre Steve Stevens si esalta facendo mulinello modello Pete Townshend. Tocca poi a “Flesh For Fantasy” regalare i primi momenti di sensualità e il primo strip della serata. Il set è una sequenza ininterrotta di hits che risvegliano sensazioni per qualcuno lunghe una vita, ma questa non è una serata in cui c’è spazio per la malinconia, sebbene in platea la vecchia Milano da bere sia più rappresentata dei rocker, Billy Idol ruggisce come ai vecchi tempi e Steve Stevens non lesina chicche da shredder vecchia scuola. “Ready Steady Go” è un altro salto nel passato più remoto di Idol, fino ai tempi dei Generation X e del loro punk spensierato. Il singer inglese ha saputo conciliare l’estetica del rock con quella del pop, e come se non bastasse stasera “Sweet Sixteen” ha un insolito andamento folk con Billy Idol che veste i panni del cantastorie mentre “Eyes Without A Face” consente di tirare il fiato a un pubblico che fino ad ora ha ballato a più non posso. E’ un artista dalle mille sfaccettature, lo guardi e sembra un metallaro consumato, ma poi ti stupisce con una sequenza di brani sensuali, mentre riesce perfino a farti ballare senza che tu te ne accorga. La seconda parte del concerto non conosce soste fino al tripudio dell’inno “Rebel Yell”, in cui Billy Idol mostra tutto il fascino dei suoi (quasi) sessant’anni portati con orgoglio a petto nudo. Il bis di “White Wedding” e della scanzonata “Mony Mony” chiudono il cerchio, “Grazie Italia di aver reso la mia vita così fottutamente incredibile”, tuona Billy magari con un po’ di retorica, ma a giudicare dall’affetto tributato dal pubblico italiano, c’è da dargli ragione, tolta la patina dell’icona da poster, è un artista che si è saputo costruire un’immagine in modo genuino, oggi esaltata da una forma fisica talmente impressionante da fare invidia a tanti presunti rockers. Ed è proprio per questo riesce ancora a emozionare e a farsi amare.
La platea dalla forma di un’arena in dimensioni ridotte è strapiena in ogni ordine di posto quando, poco prima delle ventuno, le luci si spengono e l’ingresso di Billy è accolto da un boato assordante: Steve Stevens e il resto della band entrano a tutto gas sulle note di “Postcard From The Past” brano estratto dall'ultima fatica “Kings And Queens Of The Underground” che inietta nell’aria la giusta dose di adrenalina. La pratica del nuovo disco viene liquidata in quattro e quattr’otto in alternanza ai classici che tutti desiderano ascoltare:si balla a tempo di rock n’roll sulle note di “Cradle Of Love”, “Dancing With Myself” viene data subito in pasto al pubblico e lo trascina in una danza collettiva mentre Steve Stevens si esalta facendo mulinello modello Pete Townshend. Tocca poi a “Flesh For Fantasy” regalare i primi momenti di sensualità e il primo strip della serata. Il set è una sequenza ininterrotta di hits che risvegliano sensazioni per qualcuno lunghe una vita, ma questa non è una serata in cui c’è spazio per la malinconia, sebbene in platea la vecchia Milano da bere sia più rappresentata dei rocker, Billy Idol ruggisce come ai vecchi tempi e Steve Stevens non lesina chicche da shredder vecchia scuola. “Ready Steady Go” è un altro salto nel passato più remoto di Idol, fino ai tempi dei Generation X e del loro punk spensierato. Il singer inglese ha saputo conciliare l’estetica del rock con quella del pop, e come se non bastasse stasera “Sweet Sixteen” ha un insolito andamento folk con Billy Idol che veste i panni del cantastorie mentre “Eyes Without A Face” consente di tirare il fiato a un pubblico che fino ad ora ha ballato a più non posso. E’ un artista dalle mille sfaccettature, lo guardi e sembra un metallaro consumato, ma poi ti stupisce con una sequenza di brani sensuali, mentre riesce perfino a farti ballare senza che tu te ne accorga. La seconda parte del concerto non conosce soste fino al tripudio dell’inno “Rebel Yell”, in cui Billy Idol mostra tutto il fascino dei suoi (quasi) sessant’anni portati con orgoglio a petto nudo. Il bis di “White Wedding” e della scanzonata “Mony Mony” chiudono il cerchio, “Grazie Italia di aver reso la mia vita così fottutamente incredibile”, tuona Billy magari con un po’ di retorica, ma a giudicare dall’affetto tributato dal pubblico italiano, c’è da dargli ragione, tolta la patina dell’icona da poster, è un artista che si è saputo costruire un’immagine in modo genuino, oggi esaltata da una forma fisica talmente impressionante da fare invidia a tanti presunti rockers. Ed è proprio per questo riesce ancora a emozionare e a farsi amare.
SETLIST:
1. Postcards from the Past
2. Cradle of Love
3. Can't Break Me Down
4. Dancing With Myself
5. Flesh For Fantasy
6. Save Me Now
7. Ready Steady Go
8. Sweet Sixteen
9. Eyes Without a Face
10. L.A. Woman
11. Guitar Solo
12. King Rocker
13. Whiskey and Pills
14. Blue Highway
15. Rebel Yell
Encore:
16. White Wedding
17. Mony Mony