Giungono al quinto album i gallesi Lostprophets, alfieri da più di un decennio delle sonorità alternative (qualsiasi cosa legata al) rock: e non si tratta solo di una battuta la mia, perché i nostri sono stati in grado di passare dal nu metal melodico degli albori al mondo più generico dell’alternative transitando attraverso territori punk pop, indie rock e crossover, senza apparentemente battere ciglio. Messa così, sembrerebbe in effetti che il gruppo capitanato da Ian Watkins sia stato solo capace di seguire la moda del momento per attirare più fan possibili, rinunciando a quel minimo di coerenza artistica che viene spesso “pretesa” dalla maggior parte degli ascoltatori; ma i cambiamenti dei Lostprophets possono essere visti anche come frutto di un percorso che, partito da sonorità relativamente “pesanti” (con almeno un centinaio di virgolette…), li ha fatti approdare su lidi decisamente più melodici.
Ecco quindi che il loro nuovo album, intitolato “Weapons”, rappresenta un punto d’arrivo abbastanza logico alla luce di quanto fatto con il precedente “The Betrayer”, che ripescava qualcosa dal passato e contemporaneamente si sviluppava molto attorno all’elemento melodico. Ed è appunto da qui che riparte l’ultimo disco, che presenta dieci potenziali singoli spacca classifiche dotati tutti di ritornelli “facili” e cantabili, aiutati da una produzione perfetta e laccatissima: l’opener “Bring ‘Em Down” è quasi un manifesto di quanto possano offrirci i Lostprophets del nuovo millennio, con una strofa a tratti rabbiosa che sfocia in un refrain fatto su misura per catturare gli ascoltatori. La band decide di non togliere il piede dall’acceleratore anche nel secondo pezzo, “We Bring An Arsenal”, che già dal titolo richiama il “noi” che riappare nel ritornello, cantato infatti all’unisono da tutti i musicisti (altro motivo che si può ritrovare nei trascorsi del gruppo). L’atmosfera si alleggerisce poi gradualmente, con brani molto più calmi ma di facile presa come la doppietta posta a metà disco e formata da “Jesus Walks” e “A Song For Where I’m From”, nella quale Watkins paga tributo al suo luogo di origine. La tracklist subisce un’inattesa sferzata con “Better Off Dead” in cui la voce torna a dedicarsi al rap come ai vecchi tempi, ma si tratta purtroppo dell’ultimo momento interessante del disco, che scivola via con gli ultimi tre pezzi piuttosto insipidi.
C’è da dire quindi che questo “Weapons” ha il difetto di dividersi in due parti, perché la prima metà è sicuramente buona e offre pane per i denti di chi apprezza il gruppo, ma nella seconda il calo di tensione è avvertibile (a parte il citato episodio di “Better Off Dead”) e le canzoni sono tra le meno convincenti che i Lostprophets abbiano mai inserito nei loro dischi: senza mordente, semplicistiche, catalizzate intorno al solito ritornello – artificio che alla lunga diventa stucchevole. In definitiva il giudizio viene condizionato da questo finale troppo molle, ma non solo: a detta di chi scrive questo è un disco che, dopo qualche ascolto iniziale, rischia di finire a prendere polvere perché non sembra in grado di offrire molto, se ripreso a distanza di mesi. Per il momento però limitiamoci ad entrare in macchina, alzare l’autoradio e pompare “Bring ‘Em Down”: perché ogni tanto fare la figura del tamarro è anche divertente, e ai Lostprophets possiamo muovere quasiasi riserva, tranne che non siano maestri nel fornire materiale per questo scopo.
Lostprophets
Weapons
2012, Epic Records
Alternative Rock
01. Bring ‘Em Down
02. We Bring an Arsenal
03. Another Shot
04. Jesus Walks
05. A Song for Where I’m From
06. A Little Reminder That I’ll Never Forget
07. Better Off Dead
08. Heart on Loan
09. Somedays
10. Can’t Get Enough