Burzum
Umskiptar

2012, Byelobog Productions
Black Metal

Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 10/05/12

Terzo album in tre anni per Burzum, figura storica del black metal norvegese di cui ormai tutti conosceranno le gesta e i fatti di cronaca (nera) e, in misura minore, il grande lascito artistico delle prime opere. Dopo tutto quel tempo passato a vedere il sole a scacchi, Varg dovrà essersi trovato con una grande voglia di fare, solo così si spiegano queste uscite ravvicinate e l’inutile compilation “From the Depths of Darkness” di qualche mese fa.

Anticipato da un servizio fotografico imbarazzante (qui in tutto il suo splendore), la nuova fatica “Umskiptar” ci dona un Conte ormai canuto che sembra aver perso completamente il contatto con la realtà che lo circonda. E non è che sia necessariamente un male anzi... Potremmo definire la musica di Burzum come senza tempo, completamente avulsa da ammodernamenti, influenze o tendenze attuali. Burzum è Burzum, una creatura che si muove e matura con ritmi del tutto unici, una continua affermazione di se stesso. Infatti anche in questo decimo album in studio i classici dogmi burzumiani ci attendono al varco: linearità delle esecuzioni, la cadenza misitico/ipnotica, l’immancabile produzione alla Burzum (un passo indietro rispetto a “Fallen”). Quello che cambia e che nobilita il disco (oltre a dargli un senso) è lo spirito che pervade “Umskiptar”, praticamente distaccato dal black metal burzumiano, l’album è una lenta cavalcata epic/folk.

Una direzione che già si intravedeva benissimo con le ultime uscite, ma che in questo lavoro raggiunge la completa maturazione. Grande attenzione, probabilmente come non mai, è stata attribuita alla voce, i cui gli scream si contano sulle dita di una mano (facciamo due... ma siam lì); Varg ora non canta, ma declama i suoi testi, usando la musica come puro tappeto sonoro. Il risultato sono canzoni molto rigorose, quasi monastiche, per certi versi cantautoriali, alla ricerca continua di una tensione emotiva che purtroppo fatica ad affiorare. Se “Belus” aveva convinto per un senso di disperazione che virava poi in una “una rinnovata speranza”, la spinta emozionale che avrebbe fatto “scattare” queste tracce non arriva praticamente mai, lasciandoci soli con la parte strumentale di “Umskiptar” che è quello che è... Difficile da sopportare per sessantacinque minuti nuda e cruda.

Il primo vero passo falso del Conte post carcere, avvisaglie già palpabili in “Fallen” e che in “Umskiptar” si scontrano con una povertà di ispirazione difficile da perdonare. Probabilmente con uno studio attendo delle lyrics, tutte estratte dal poema nordico “Völuspá” e del concept dietro il titolo (tradotto, metamorfosi), scelto “in un mondo diretto verso una nuova Era Glaciale”, come “una critica a tutti i movimenti politici popolari nella nostra età delle menzongne”, la comprensione ne gioverebbe. Supposizioni a parte, quello che ci resta in mano è un album senza mordente che vive unicamente del nome sulla copertina.



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