Keane
Strangeland

2012, Island Records
Pop Rock

A volte ritornano: i Keane fanno pace con le proprie radici, ma "Hopes And Fears" era tutta un'altra storia...
Recensione di Marco Belafatti - Pubblicata in data: 19/05/12

Strana storia quella del piano rock, un genere esploso in tutto il mondo agli inizi del nuovo millennio che nel giro di pochi anni si è lasciato alle spalle l'attitudine malinconia e la brillantina sui capelli per flirtare selvaggiamente con lo shoegaze e i suoni sempre più vintage di chitarre e sintetizzatori asserviti alla causa del “pomposo è meglio”. Tuttavia, non a tutti capita di sancire un sodalizio con un “Signor Nessuno” come Brian Eno (uno che, senza troppi problemi e giri di parole, ha saputo resuscitare e regalare cifre da record ad una band ormai avviata sulla via del tramonto), e oggi – per l'appunto – non stiamo parlando dei Coldplay, ma dei Keane, da sempre additati come i “cugini sfigati” di Chris Martin e soci...

Impossibile dimenticare il loro album d'esordio, “Hopes And Fears”, che in fin dei conti era un disco pop di classe, pieno di hit e pezzi riuscitissimi: pianoforte elettronico in evidenza, la voce pulita (a volte un tantino melensa) di Tom Chaplin, batteria sbarazzina e basso ben calibrato i suoi elementi essenziali. E poi? Poi il trio (oggi un quartetto grazie all'ingresso del bassista Jesse Quin) si è perso per strada, abbandonando le ballad che li resero famosi (“Everybody's Changing” la state ancora canticchiando nella mente, vero?) nella speranza di reinventarsi tra tenui tentazioni synth-pop e cadute di stile originariamente intese come tributi ad un genere tamarro e diametralmente opposto a quello dei Nostri qual è l'hip-hop. I tour estenuanti e i problemi relativi all'abuso di droga ed alcool del frontman hanno fatto il resto, condannando la band ad un riposo forzato.

Strangeland” tenta di recuperare i tempi degli esordi, ma non solo: gli elementi “estranei” degli ultimi lavori vengono soffiati via come foglie morte dal vento di una “nuova” primavera, e il quartetto di Battle ripropone il classico piano rock di “Hopes And Fears”, rivisitato per l'occasione secondo i dettami della musica pop del 2012 (“retrò è meglio” è il motto dei giorni nostri: provate a chiederlo ai chart-breakers Adele, Florence + The Machine e Hurts). Indi per cui, non vi sorprenda imbattervi in folate di naftalina e immagini in tonalità sepia: il buon Tom canta esattamente come canterebbe Bono Vox dopo aver fatto l'amore (artisticamente parlando) con gli A-ha – perché la reputazione da bravo ragazzo è difficile scrollarsela di dosso, e il Nostro, malgrado gli sforzi, non possiede il carisma innato di un Brandon Flowers (The Killers), tanto per fare un esempio, per potersi distinguere in un mare di emulatori – e il singolo di lancio “Silenced By The Night” potrebbe tranquillamente essere scambiato per uno dei pochi episodi buoni di “Under The Iron Sea” (2006). Nulla per cui valga la pena di trattenere il respiro, insomma; impressione ampiamente confermata dal secondo singolo “Disconnected”, basato su una melodia tanto easy da essere dimenticata nel giro di qualche ascolto e un arrangiamento che più sanremese di così si muore. E se i singoli non funzionano come dovrebbero, figuriamoci il resto: passi l'orecchiabilissimo crescendo di tastiera in pieno stile synth-pop di “Sovereign Light Café”, passi il ritornello beatlesiano di “On The Road”, ma la sensazione di involuzione e lo spettro del “manuale della buona rock ballad” che aleggiano su ogni singolo passaggio del disco rischiano di affossare definitivamente una disponibilità all'ascolto e una curiosità già minate da una discografia in costante declino. La sola “Black Rain”, tra orchestra e beat elettronici, sembrerebbe in grado di strapparci un sentito applauso.

Fortunatamente non tutto il male viene per nuocere, e ascoltando “Strangeland” senza troppe pretese (sì, scordiamoci pure il pathos di una “Somewhere Only We Know” o di una “This Is The Last Time”, perché qui non lo troveremo), si riesce quasi ad apprezzare le sue melodie dolci, leggere e disimpegnate. Probabilmente dimenticherete la maggior parte di queste dodici canzoni se non le riascolterete con costanza, ma non è giusto pretendere troppo da una band come i Keane, così come non è giusto cercare il pelo nell'uovo in un disco che potrebbe accompagnarvi durante un viaggio in macchina sulla riva di un lago, in una giornata di sole, con il vento leggero di giugno che si infiltra tra i finestrini accarezzandovi i capelli. La sufficienza c'è, e voi, dopo aver fatto le dovute considerazioni leggendo questa recensione, potete scegliere se dare o meno un'altra possibilità al caro, vecchio piano rock. Certo, se cercavate l'evoluzione a tutti i costi, avete imboccato la strada sbagliata...





01. You Are Young
02. Silenced By The Night
03. Disconnected
04. Watch How You Go
05. Sovereign Light Café
06. On The Road
07. The Starting Line
08. Black Rain
09. Neon River
10. Day Will Come
11. In Your Own Time
12. Sea Fog

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