HateTyler
The Great Architect

2012, This Is Core Music
Metalcore

Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 28/05/12

Debut album per i nostrani HateTyler, gruppo metalcore (definizione, come vedremo meglio nel corso della recensione, piuttosto riduttiva) proveniente da Alessandria, capace di pescare in maniera uniforme dal calderone della musica metal per tirare fuori questo “The Great Architect”. Nove tracce al fulmicotone, che seppur strutturate su una base decisamente metalcore, presentano elementi diversi in grado di arricchire il suono in modo convincente e far drizzare più volte le orecchie dell’ascoltatore durante i quasi 40 minuti di musica.

Gli HateTyler mettono subito in chiaro le cose con “Devil Park”, primo singolo estratto dal disco, che funge da riassunto di quanto la band sia in grado di fare: partenza in stile melodic death (forti le influenze di In Flames e Soilwork, con le armonizzazioni di chitarre, che ricordano anche quanto fatto dagli Unearth – per restare in ambito metalcore), stacco di thrash tecnico come insegnano i Nevermore, gran ritornello melodico che come approccio e timbro di voce (clean vocals “sporche” e incattivite) rimanda agli Avenged Sevenfold, altri alfieri del crossover tra generi musicali. In un singolo pezzo già si sentono tutte le influenze degli HateTyler, ma non ci si deve ingannare: non ci troviamo davanti al più classico (e becero) esperimento di copia-e-incolla di quanto fatto dai mostri del genere in passato, perché i nostri sono molto abili a personalizzare la costruzione dei pezzi, evitando la banalità della struttura strofa-ritornello nella maggior parte dei casi e ad inserire coscientemente i vari frammenti del puzzle per un risultato più che buono. Inoltre c’è una discreta varietà nei pezzi, come i momenti più pesanti di “Need to hate” o della title track posta in chiusura, dove fa capolino un potente breakdown, altro di quei cliché tanto cari al metalcore, oltre al fatto che si possono udire influenze groove thrash che rimandano ai gloriosi Pantera (o agli Extrema, soprattutto nel timbro delle harsh vocals): è il caso di “HateTyler”. Oppure l’ottimo uso delle melodie, sia chitarristiche che vocali, che fungono da virtuale collegamento nella tripletta “Inferno”, “Anything Else” e “Welcome to Tortuga”, dove il cantante, in modo particolare nel secondo pezzo del lotto, fa sfoggio delle sue capacità, sfiorando quasi i confini del post-grunge e dell’alternative rock/metal che dir si voglia. Il tutto è accompagnato da una padronanza degli strumenti notevole, basta come esempio il lavoro della chitarra solista,  e da una produzione davvero all’altezza.

Ovviamente si possono avanzare delle riserve per quanto riguarda l’originalità, perché un gruppo all’esordio che fa sfoggio di tutte queste influenze a tratti rischia di cadere nel citazionismo spinto, o comunque deve affrontare il “male minore” dell’idea del già sentito. Come dicevamo prima, gli HateTyler sono bravi a mescolare le carte in tavola, ma date le basi è per forza di cose impossibile ottenere un prodotto innovativo in tutti i sensi. Resta il fatto che si tratta di un ascolto convincente e che fa presagire una resa live ancora migliore, perché il palcoscenico più adatto per questo genere di musica è senz’altro quello dal vivo.



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